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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (8) Capitolo VIII – San Giuseppe incominciò a patire gravi dolori; l’invitta PAZIENZA CON CUI LI SOFFRIVA E LE CONSOLAZIONI CHE DA GESÙ E Maria, sua Sposa, riceveva

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Libro IV – (8) Capitolo VIII – San Giuseppe incominciò a patire gravi dolori; l’invitta PAZIENZA CON CUI LI SOFFRIVA E LE CONSOLAZIONI CHE DA GESÙ E Maria, sua Sposa, riceveva

Il nostro Giuseppe, [sempre] più abbattuto ed estenuato di forze, soffriva
anche una grandissima inappetenza, avendo una nausea ad ogni sorte di
cibo corporale. Gli era gradito e gustoso solo il cibo spirituale della santa
orazione e della divina Parola, che spesso udiva dal Redentore. Tuttavia il
Redentore faceva in modo che il Santo si cibasse, e anche la divina Madre
che si studiava a cucinargli qualche vivanda di suo gusto, e il suo Gesù gliela
benediceva e vi infondeva la sua grazia; così il Santo si cibava, soltanto però
quel tanto che bastava a mantenerlo in vita.
Una notte il Santo fu assalito da fierissimi dolori e li soffrì con invitta
pazienza, offrendoli a Dio in sconto dei suoi debiti; così diceva, quantunque
non ne avesse mai contratti. Non volle il Santo inquietare la sua Sposa e
nemmeno il Salvatore, ma soffriva aspettando con tutta rassegnazione la divina
provvidenza.
La divina Madre vedeva tutto in spirito e pregava molto per il suo
Sposo, perché Dio l’assistesse e gli desse forza per poter soffrire ed acquistare
il grande merito che si acquista soffrendo con rassegnazione.
Aspettava la divina Madre il beneplacito divino per andare a trovare
il suo Giuseppe, consolarlo nel suo dolore e porgergli anche qualche rimedio.
Inteso il divin beneplacito, ne andò subito a trovare il suo Giuseppe e
con essa vi andò anche il Salvatore.
Quando il Santo li vide, alzò le mani ed il cuore al cielo, ringraziando
il divin Padre che così presto l’avesse consolato mandandogli gli Oggetti
della sua consolazione, poi, rivolto al suo Gesù, lo chiamò con grande amore;
similmente [fece verso] la sua Sposa e si trovò subito alleggerito dai suoi
dolori. Con tutto ciò la divina Madre, tutta sollecita, non mancò di scaldare i
panni e darli al suo Giuseppe, per ristoro dei suoi dolori; ed ivi si tratteneva,
mostrando grande compassione del male sopraggiunto al suo amato Sposo,
Giuseppe, e cercando [di capire] in che cosa poteva adoperarsi per servirlo e
per alleggerire la sua malattia. Ma il Santo tutto consolato le diceva che bastava
la presenza sua e del suo Gesù a consolarlo.
Di fatto allora provava il Santo un grande sollievo e consolazione,
ma non appena essi si allontanavano, si sentiva dividere il cuore dal petto, e
si sentiva anche aggravare il suo dolore. Non ardiva però il Santo pregarli di
stare lì a tenergli compagnia, ma si rimetteva tutto alle divine disposizioni e
diceva: «Se il mio Dio vorrà consolarmi, ordinerà che tanto il Figlio come la
Madre non mi lascino; ma se mi vorrà in pena ed afflizione, ordinerà che si
allontanino da me. In qualsiasi modo piace al mio Dio, avvenga. Eccomi
pronto, mio Dio, ad eseguire la vostra divina volontà!»
Si trattennero per un pezzo Gesù e Maria in compagnia di san Giuseppe
sin tanto che, riavuto dai suoi dolori, si sentì del tutto sollevato.
Tornata la divina Madre nel suo ritiro, come anche il divin Figlio, il
Santo prese un po’di riposo, e nel sonno l’Angelo del Signore gli parlò e
l’awisò da parte di Dio che, avvicinandosi il tempo del suo transito, doveva
disporvisi e prepararsi con l’acquisto di molti meriti e con la pratica di molte
virtù. Dio l’avrebbe provato molto con una penosa infermità di fierissimi dolori.
Lo esortò alla sofferenza e gli assicurò che in quei dolori avrebbe dato
molto gusto al suo Dio, con la sua pazienza e uniformità. Si svegliò il nostro
Giuseppe e, tutto uniformato alla volontà divina, fece un’offerta di tutto se
stesso al suo Dio, mostrandosi pronto a soffrire quello che la sua divina volontà
gli avrebbe inviato; lo ringraziò dell’avviso datogli e lo pregò del Suo
aiuto in quel travaglio. Dopo si alzò, stando alquanto sollevato, e manifestò
tutto alla Santa Sposa, perché anche lei pregasse per lui e gli impetrasse il
dono della sofferenza con l’aiuto della divina grazia.
Si mostrò molto amorevole la sua Santa Sposa, ed anche pronta a
soffrire lei i suoi dolori ogni qualvolta fosse piaciuto al divin Padre, ma il
Santo non glielo accordò, volendo lui soffrire, per il desiderio che aveva di
imitare in qualche modo il suo Redentore: sapeva infatti quanti tormenti gli
stavano preparati.
I dolori del nostro Giuseppe erano dolori molto acuti nelle viscere, e
soffriva anche di svenimenti, – causati alcuni dai dolori, altri dall’amore ardente
verso il suo Dio – e di palpitazioni di cuore e smanie amorose, le quali
si quietavano alquanto alla presenza di Gesù. [Egli era] il suo vero ed amato
Oggetto: quando Gesù gli si appressava e lo pigliava per la mano, il Santo si
quietava e ne andava in estasi, non sentendo in quel tempo alcun male, ma
godendo le più care delizie del Paradiso.
Sentiva il nostro Giuseppe un grande rincrescimento a lasciare la cara
ed amorosa compagnia di Gesù e della divina Madre. È vero che bramava
di sciogliersi dai legami del corpo, per poi a suo tempo andare a godere il
suo Dio a faccia svelata, ma il pensiero di dover lasciare il suo Gesù e la sua
Santa Sposa lo crucciava. Dio, però, in questa sua penosa infermità distaccava
e purificava sempre più il suo amore che – quantunque fosse santo e perfetto
– comprendeva sempre tuttavia qualche cosa di umano.
Amava, è vero, con un amore puro e sincero, ma vi era anche la propria
soddisfazione e gusto di vedersi in compagnia di così cari ed amati Oggetti.
In questa sua infermità si dispose il Santo a restarne privo senza sentirne
pena, anzi, godendo di adempire in ciò la divina volontà, a costo della
privazione della soddisfazione e gusto proprio.
Per l’addietro si sentiva il Santo spesso sospirare quando mirava il
suo Gesù e la sua Santa Sposa, e ciò accadeva quando pensava che avrebbe
dovuto lasciarli. Ma ora era disposto [a farlo], e quando li vedeva, diceva fra
sé: «Oh, mio caro figlio! Oh, mia cara Sposa! Ma avrò la bella sorte di godervi
per sempre nella casa del Padre celeste!» E così passava [le sue giornate],
bramando che arrivasse presto il tempo destinato ad essere introdotto negli
eterni Tabernacoli.
Ora che il nostro Giuseppe era già preparato a soffrire i suoi dolori
con tutta la generosità [possibile], questi si facevano sentire ogni tanto, assalendolo
con fierezza per lo più nelle ore notturne, quando la divina Madre e
il Salvatore stavano prendendo qualche breve riposo. A volte accorreva subito
la Santa Sposa, ma a volte Dio le teneva celato [il rincrudire della malattia],
e ciò succedeva quando voleva provare il suo Giuseppe e lasciarlo solo
fra i suoi dolori senza alcun conforto. E di fatto il Santo pativa molto, ma
molto meritava.
Avrebbe potuto chiamare la divina Madre con facilità, ma non lo faceva,
aspettando che Dio gliela inviasse, confidando nella divina provvidenza.
Diceva: «Voi, mio Dio, volete che io ora soffra con pazienza e con silenzio,
ed io lo faccio volentieri, ma aiutatemi Voi con la vostra grazia, perché
io, da solo, non so, né posso niente!» E così addolorato offriva al suo Dio i
suoi dolori, in memoria dei tanti patimenti che stavano preparati al suo caro
Gesù.
Andava poi da lui la divina Madre per divina ispirazione – essa le
faceva conoscere il travaglio del suo santo Sposo – e lo trovava quasi esanime,
tutto immerso in fierissimi dolori. Lo consolava la santa Madre, lo scaldava,
pregava per Lui il divin Padre sin tanto che gli portava sollievo e alleggerimento
dei suoi dolori, e gli chiedeva perché non l’avesse chiamata in
suo aiuto. Ma il Santo le rispondeva: «Non vi apporti ciò meraviglia, mia carissima
Sposa, perché sono certo che quando il nostro Dio mi vuole dare
questo sollievo e alleggerimento, vi fa capire lo stato in cui mi trovo e Voi
accorrete con la vostra solita carità; e così sto tutto abbandonato alla divina
volontà e disposizione.
Quando vuole darmi sollievo, lo ricevo, e quando mi vuole tenere in
travaglio, pure vi sto contento, perché così faccio la divina volontà».
Restava tutta consolata la divina Madre al sentire i sentimenti del
Santo e ne rendeva grazie a Dio. Si tratteneva con lui a discorrere della divina
bontà e provvidenza e delle opere mirabili del suo Dio, ed allora il Santo
si infiammava nel volto e molto più nel cuore, ed esclamava: «O Dio mio!
Quanto siete mirabile nelle opere vostre! Quanto è grande la vostra bontà!
Che potrei fare io per darvi gusto e per corrispondere al vostro amore ed agli
immensi benefici che mi fate?! È vero che mi affliggete con questi dolori,
ma quanto mi consolate con le vostre grazie e quanto sollievo mi date per
mezzo della mia Santa Sposa e del mio amato Gesù! Accrescete, se vi piace,
i miei dolori, perché io sono pronto a soffrirli, purché vi degniate di accrescere
in me la vostra grazia, perché possa soffrire con pazienza e rassegnazione.
Se ricevo le consolazioni con tanto gusto, perché non riceverò io nello
stesso modo anche i dolori e le pene? Sì, mio Dio, eccomi pronto a soffrire,
poiché sono pronto anche a godere!»
Mentre stava così infermo, non tutte le volte il nostro Giuseppe poteva
avere la consolazione di vedersi presente il suo amabilissimo Gesù, perché
questi andava a lavorare per potere acquistare il vitto necessario al loro
mantenimento. Andava però ogni tanto a trovarlo e consolarlo; ma la divina
Madre lo assisteva con più permanenza, perché non lo lasciava se non tanto
quanto era necessario per preparargli il cibo. Di ciò si accontentava il Santo,
e quantunque il suo desiderio fosse che il suo Gesù non si allontanasse mai
da lui, anche in questo si rimetteva tutto alla divina volontà. Alla fine dei
suoi giorni poi non fu mai lasciato dal Salvatore.
Provarono in questo tempo la povertà molto più [del solito], perché
la divina Madre stava occupata intorno al Santo e Gesù anche vi spendeva
del tempo, perciò gli restava poco tempo per poter lavorare. Ma la divina
provvidenza non smetteva di soccorrerli, o per mezzo di qualche loro amico,
o delle vicine, ed alle volte anche per mezzo degli angeli; e ciò avveniva,
quando non vi era alcun soccorso umano. Quando al Santo veniva il desiderio
di qualche frutto o cibo straordinario, Dio gli inviava degli angeli per
consolare il suo fedelissimo Giuseppe, che pigliava l’ardire di dire alla sua
Santa Sposa ciò che avrebbe voluto mangiare; ed ella allora con gentili maniere
gli rispondeva che stesse di buon animo, perché Dio l’avrebbe provveduto
di quello che voleva gustare; e di fatti così avveniva.
Già si è detto che il Santo aveva una grandissima inappetenza e non
poteva cibarsi che con grande pena, ma Dio ogni tanto lo consolava con inviargli
quei frutti ed altro che gustava. Alle volte gli inviò pane bianchissimo,
perché il Santo se ne cibasse, e la santa Madre gliela conservava con
grande cura, come cosa venuta dal Cielo.
Capiva benissimo il Santo quando si trovavano in tanta povertà, perché
non vi era neppure un pane per cibarsi, e di ciò ne sentiva afflizione e
supplicava il divin Padre di volersi degnare di provvedere al bisogno del suo
Unigenito e della sua Madre Santissima. Erano esaudite subito le suppliche
del fervoroso Giuseppe, non tardando la divina provvidenza a soccorrerli di
tutto il necessario.
Quando il Santo si accorgeva della grande povertà in cui si ritrovavano,
sentiva pena, come ho detto, a motivo del suo Gesù e della divina Madre,
ma per lui stesso godeva che – anche nell’ultimo [tempo] della sua vita
– provasse la povertà e la privazione del necessario. Di ciò rendeva grazie al
suo Dio, godendo di trovarsi in tale stato e di poter esercitare tutti quegli atti
di virtù che conosceva essere tanto care al suo Dio. Di fatto li esercitò mirabilmente,
con tutta la generosità, pazienza e rassegnazione, ed anche con gusto
ed allegrezza, imitando in tutto e per tutto il Salvatore e la divina Madre.
Il nostro Giuseppe divenne un perfetto esemplare di ogni virtù, come altre
volte si è detto.
Nel colmo dei suoi asprissimi dolori non fu mai udito dire cosa che
potesse dare segno di disgusto, ma sempre lodava e ringraziava Dio, dicendo:
«Mio Dio, se piace a Voi di aggravare più i miei dolori, eccomi pronto, e
vi rendo grazie di quanto mi inviate. Il tutto ricevo dalle vostre sante mani».
Nel nominare il suo Dio, sentiva nel cuore una grande consolazione e giubilo,
e per questo, nel colmo dei suoi dolori, il fortunato Giuseppe godeva e
rendeva grazie al suo Dio.
Dio volle però provare il suo fedele servo molto più, per farlo molto
più meritare. Perciò lo tenne per qualche giorno aggravato da dolori e con
grande aridità di spirito e con levargli il gusto interno circa le cose divine.
Una notte fu assalito dai suoi dolori con più violenza [del solito], e si sentì
nello stesso tempo in un totale abbandono [da parte di Dio] e privo di ogni
gusto e consolazione interna. Chiamava in suo aiuto l’amato suo Dio, ma
non sentiva più la solita consolazione di prima. Si conobbe del tutto abbandonato
e privo di ogni conforto, e fra se stesso diceva: «O mio Dio, che cosa
è mai questa? In che stato miserabile io mi trovo! Dove avrò io mancato, e
che disgusto vi avrò dato, visto che Voi mi avete abbandonato nel colmo delle
mia afflizione! In questo luogo ove io mi trovo vi è anche il Salvatore e la
sua divina Madre: eppure sto qui abbandonato e privo di ogni conforto. La
mia Santa Sposa e il Salvatore sapranno benissimo in che stato mi trovo, eppure
non accorrono a consolarmi. Mio Dio! Pietà del vostro servo! Ma se
Voi mi volete così abbandonato, afflitto, desolato, sono contento di adempiere
la Vostra divina volontà, purché io non vi abbia disgustato». Così si lamentava
amorosamente il nostro Giuseppe con il suo Dio, e si rimetteva
completamente al suo santo volere.
Si alzò il Santo con molta fatica per andare ad ammirare il cielo e
per ricevere qualche conforto – perché solitamente, mirando il cielo, ne provava
una grande consolazione -, ma il suo desiderio non conseguì ciò che
bramava. E [Giuseppe] esclamava: «O cieli, voi racchiudete il mio tesoro!
Voi sempre mi siete stati propizi, ma ora vi siete chiusi e mi tenete nascosta
ogni consolazione!».
Stette alquanto così l’afflitto Giuseppe, poi se ne tornò a riposare,
ma non era capace di trovare riposo, sia per l’acerbità del dolore che sentiva,
come anche per le smanie del suo cuore al vedersi privo di tutto il suo conforto.
Piangeva amaramente e supplicava il suo Dio di fargli conoscere in
che l’aveva disgustato, e che occasione gli aveva dato; il motivo per cui si
era appartato da lui e l’aveva lasciato così derelitto.
Tanto si agitava l’afflitto Giuseppe, ma non trovava alcun conforto,
e tutto uniformato anche in questo, ne rendeva grazie al suo Dio. Poi si faceva
animo e diceva: «Verrà la mia amata Sposa Maria, e mi porterà sollievo, e
resterò consolato alla vista di lei, ed ella mi impetrerà grazia presso il divin
Padre. Verrà il mio amato Gesù ed allora il mio cuore resterà consolato appieno,
ed il mio spirito ritroverà la perduta consolazione». Così stava aspettando
con desiderio il Figlio e la di Lui Madre: sapeva per esperienza che la
loro vista lo consolava completamente.

[Invece] tardarono molto quella mattina ad andare a visitare il Santo:
così ordinava il divin Padre, per tenere esercitato il suo servo e per fare prova
della sua pazienza e virtù. In essa il Santo si esercitò molto, soffrendo con
grande rassegnazione e generosità; anzi: si umiliò molto, conoscendosi indegno
della loro visita. Diceva: «Io non merito che tanto il Figlio come la Madre
si ricordino di me; e non sarà grande cosa se mi abbandoneranno, e si allontaneranno
da me lasciandomi qui solo a patire, perché infatti così merito».
E di fatto ebbe il Santo un grande timore che, per la sua indegnità, sarebbe
stato abbandonato tanto da Gesù come dalla sua Santa Sposa; ed ebbe per un
pezzo questo timore, stimandosi indegno della loro assistenza; ma alla fine
manifestò il suo timore alla sua Sposa e da lei fu rassicurato: non l’avrebbe
abbandonato mai; e così [Giuseppe] si quietò.
Stando dunque il nostro Giuseppe così afflitto ed angustiato, fu visitato
dal Salvatore e dalla divina Madre, e la loro vista non gli portò alcun
sollievo. Allora sì che si sentì morire da acuto dolore! Si applicò la divina
Madre a dare sollievo al suo santo Sposo con i rimedi necessari al suo dolore,
ma non era questo ciò che cercava l’afflitto Giuseppe, perché cercava ciò
che potesse consolarlo appieno: la grazia e amore del suo Dio, che gli pareva
di avere perduto; perciò – tutto afflitto -mirava la faccia del suo Gesù e col
cuore gli diceva: «Mio caro e amato figlio Gesù! Mio vero bene! Voi sapete
in che stato mi trovo! Per pietà, soccorrete il vostro Giuseppe derelitto e abbandonato!
». Lo mirava il suo Gesù con grande compassione, ma lo lasciava
così penare perché si arricchisse di più meriti.
Il Santo credeva che l’amato suo Gesù non lo esaudisse, ma non per
questo si lamentava; invece, si umiliava molto e diceva: «Mio caro bene!
Voi ora mi trattate come merito! Anzi, molto più di ciò che merito, perché io
non sono degno che Voi siate qui da me! E giustamente non mi esaudite,
perché non ho corrisposto come dovevo alle vostre molte grazie e benefici.
Così, se mi terrete in questo stato sino all’ultimo respiro di mia vita, Voi farete
ciò giustamente ed io di buon cuore abbraccio questo abbandono in
sconto delle mie incorrispondenze ed ingratitudini».
Poi mirava la sua Santa Sposa e la vedeva tutta attenta a porgere sollievo
al suo dolore. Ma il Santo fra di sé diceva: «Sposa mia! Se voi sapeste
in che stato si ritrova il mio spirito, certo vi muovereste a compassione e mi
impetrereste il bramato sollievo.
Ma vedo che neanche la vostra amabile presenza mi porta la consolazione
che è solita portarmi, perciò credo che il mio Dio mi vuole così afflitto
e derelitto, ed io adoro le divine permissioni, e mi umilio e uniformo ai
voleri del mio Dio». Così trascorse tutto il giorno il nostro Giuseppe, in continui
atti di rassegnazione e soffrendo tutto con grande pazienza; era però assistito
nel suo male da Gesù e dalla santa Madre.

Volle Dio provare anche più la fedeltà del suo Giuseppe permettendo
al demonio che lo tentasse, e ciò avvenne nella notte seguente. Mentre il
Santo era afflitto e privo di ogni conforto, fu assalito da più veementi dolori
ed anche da una fierissima tentazione di diffidenza ed impazienza. Si può
ognuno immaginare in che stato si trovasse il Santo. Si sentiva aggravato da
dolori, abbandonato da ogni conforto e fieramente tentato. Ma non mancò di
mostrare a Dio la sua fedeltà e la sua invitta pazienza. Superò con tutta generosità
il nemico, facendo atti di confidenza verso il suo Dio: quantunque gli
paresse di essere da Lui abbandonato, con tutto ciò a Lui si raccomandava e
confidava che, nella Sua bontà e clemenza, non avrebbe tardato a soccorrerlo.
Soffrì tutto con grande pazienza, ed in quel conflitto praticò gli atti di virtù
più eroiche che si possono mai immaginare.
Essendo stato per molte ore in questo grande travaglio, l’afflittissimo
Giuseppe si raccomandò di cuore al suo Dio. Fu visitato dal Salvatore, alla
vista del quale sparì il nemico, vinto e confuso dalla virtù del nostro Giuseppe.
Aprì le braccia il Santo, quando vide l’amato suo Gesù, ed esclamò: «O
Gesù mio, soccorretemi! Perché mi trovo in grave afflizione!». E di fatto era
ridotto in procinto di spirare l ’anima. Fu soccorso dal suo Gesù e restò libero
dalle tentazioni e sgravato dai dolori e molto rinvigorito nel suo interno,
ma non trovò la bramata consolazione, stando in tale stato di desolazione per
più giorni, come si è detto.
Ricevuto il sollievo suddetto, si quietò e riposò alquanto, e dopo fu
visitato dalla sua Santa Sposa, alla quale narrò tutto il suo travaglio; e dalla
medesima fu esortato a soffrire allegramente e con generosità perché quello
era tempo in cui Dio voleva arricchirlo di molti meriti, per farlo più grande
nel suo Regno. Lo assicurò della grazia del suo Dio: non l’aveva abbandonato,
come lui pensava, ma [Dio] stava continuamente in sua compagnia, dandogli
forza da soffrire e godendo di vederlo costante e fedele.
Queste parole, quantunque non recassero la bramata consolazione,
con tutto ciò incoraggiarono molto l’afflitto Giuseppe e lo sollevarono dalla
grave angustia in cui si trovava. E, rivolto alla sua Sposa, le rese umili grazie,
e poi la supplicò caldamente di volere pregare per lui il divin Padre, perché
non lo abbandonasse in tanta afflizione, e – se era sua volontà – gli restituisse
il sentimento interno che di Lui sempre aveva avuto, provando la continua
consolazione delle sue visite amorose.
Se poi fosse piaciuto alla sua divina Maestà di tenerlo così derelitto,
era prontissimo a soffrire tutto con rassegnazione. Lo rassicurò la divina
Madre che avrebbe fatto quello che da lei bramava; e di fatto non mancava
di eseguirlo con tutta premura, pregando molto il divin Padre per il suo santo
Sposo, mostrandogli – in questo ed in ogni altro suo bisogno – fedelissima
compagnia, esercitando verso di lui tutti gli atti di carità e di servitù ed
amorevolezza che mai si siano da ogni altra [sposa] esercitati. E con tutto
l’amore e la buona volontà amava ella molto le rare virtù di cui era ornato il
suo santo Sposo.
Conosceva poi benissimo il Santo la carità, l’amore e l’attenzione
con cui lo serviva la sua Santa Sposa e gliene mostrava tutto il gradimento;
anzi, si confondeva molto nel vedersi servito da ima creatura così degna,
perché già sapeva quanto era grande la sua dignità ed il suo merito. Il Santo
non sapeva che fare per dimostrare la stima e l’amore che le portava.
Osservava dove posava i suoi Santi piedi, e quando Lei se n’era andata,
si alzava e, ivi prostrato in terra, venerava e baciava quella polvere dove
ella aveva posato i suoi santi piedi;. Il Santo diceva che lo faceva per debito
di ossequio e per mostrare agli angeli ivi assistenti in quanta stima e venerazione
tenesse la sua Santa Sposa. Così faceva anche al Salvatore, con
culto ed ossequio maggiore come a Figlio di Dio, perciò, senza paragone,
maggiore della divina Madre.
Tutte le cose poi che ella gli portava perché le mangiasse, le pigliava
come cose venute dal cielo; e con molta venerazione e devozione, se ne cibava
con molto suo gusto spirituale. E quantunque non potesse cibarsi che
con grande fatica, per la grande nausea che aveva del cibo, non diede mai
ripulsa alcuna alla sua Sposa, ricusando di cibarsi, ma le mostrò sempre il
gradimento ed il gusto che sentiva nel vedere i cibi da lei preparati; e si sforzava
anche di mangiarne, quantunque, come si è detto, avesse in questo
grande nausea e inappetenza.

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