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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (9) Capitolo IX – Consolazioni e grazie che ebbe san Giuseppe prima della morte e come si mostrò grato al suo Dio

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Libro IV – (9) Capitolo IX – Consolazioni e grazie che ebbe san Giuseppe prima della morte e come si mostrò grato al suo Dio

Il nostro Giuseppe era tanto afflitto ed angustiato dall’infermità e da
altri travagli, come si è detto, e si era arricchito di molti meriti per le virtù
praticate e per la sua invitta pazienza. Volle [allora] Dio consolarlo, e non
solo restituendogli la perduta consolazione interna, ma con accrescergliela
molto più, e con altre dimostrazioni di quel grande amore che gli portava.
Stando pertanto il nostro Santo così derelitto e addolorato, gli parlò
l’Angelo nel sonno e gli disse che si consolasse perché Dio lo voleva sollevare
dal suo grande travaglio, e concedergli molte grazie, e lo assicurò che
nel tempo della prova che Dio aveva fatto di lui, non solo era stato arricchito
di molti meriti, ma che aveva dato molto gusto al suo Dio, mostrandogli in
quella occasione la sua fedeltà ed amore.

Si destò il Santo tutto lieto e contento, e intese subito ima dolcissima
melodia di canti angelici, per la quale gli si intenerì il cuore, e nello stesso
tempo si riempì di consolazione, e intese la visita del suo Dio, il quale con
parole di grande amore lo invitava ad un’unione più intima ed amorosa col
suo spirito. Fu tanta la consolazione che inondò l’anima di san Giuseppe che
non potè fare a meno di esclamare ad alta voce, dicendo: «Mio Dio, Dio
mio! Questo a me, servo vilissimo e indegno!». Le voci interne che gli fece
udire il suo Dio ebbero tale forza che lo sollevarono in altissima estasi, dove,
unito al suo Dio, conobbe altissimi misteri della Divinità.
Gli fu rivelato che era molto vicina l’ora del suo felicissimo passaggio,
e domandò grazia al suo Dio di spirare l’anima alla presenza di Gesù e
di Maria e con la loro amorosa assistenza. Ciò gli fu concesso liberamente.
Domandò anche grazia di morire in quell’ora e in quel giorno in cui sarebbe
morto il Salvatore, dicendo che, poiché non poteva trovarsi alla di Lui morte,
bramava almeno di morire in quel giorno ed in quell’ora.
Lo domandò per l’amore grande che portava al suo Gesù, e per la
gratitudine che aveva verso il medesimo, che si sarebbe degnato di morire
per compiere l’opera dell’umana Redenzione. Ottenne anche questo dal suo
Dio, come si dirà a suo tempo.
Allora Dio gli manifestò come già l’aveva eletto e destinato per avvocato
particolare dei moribondi, e poiché si era mostrato tanto sollecito in
vita nell’assistere i moribondi, e con orazioni e con lacrime aveva impetrato
loro la salute eterna, voleva che continuasse questa carità fino a che durerà il
mondo. E dal cielo avrebbe fatto l’ufficio di assistente nei loro confronti e
sarebbe stato avvocato particolare di tutti nelle agonie della morte.
Il Santo volentieri accettò un tale ufficio, godendo di giovare a tutti
nel maggiore ed estremo bisogno. Rese grazie a Dio dell’ufficio destinatogli
e ricevette sin d’allora l’incarico, e si mostrò tutto impegnato per la salvezza
dei poveri moribondi.
Tornato dall’estasi si trovò alquanto alleggerito dai suoi dolori e tanto
acceso dell’amore del suo Dio che gli pareva di non poter più vivere, ma
credeva di morire allora di puro amore.
Era tanto l’ardore della carità che anche all’esterno gli divampava;
era tutto acceso nel volto, tutto infiammato nel cuore, che sembrava uscirgli
dal petto e volarsene nel seno del suo amato Dio. Essendo in tale stato fu visitato
dal suo Gesù e dalla divina Madre, e quando li vide esclamò con grande
amore: «Oh! quam bonus Israel Deus».
Ma non potette dire altro, perché si sentì inondare l’anima di un
nuovo giubilo e consolazione alla presenza dell’amato suo Gesù e della divina
Madre, i quali si rallegrarono con lui della vittoria ottenuta dei suoi nemici
e della pazienza con cui tutto aveva sofferto. Era tanto il gaudio che aveva
nell’anima e nel cuore il nostro Santo, che non poteva proferire parola alcuna,
ma tutto si disfaceva in dolcissime lacrime di giubilo, e meglio che potè
li pregò di ringraziare il divin Padre per le molte grazie che gli aveva concesso.
Allora insieme resero grazie al divin Padre. Vedendosi così favorito, il
nostro Giuseppe si affaticava a rendere grazie e lodare e benedire il liberalissimo
suo Dio. Tutti i suoi respiri erano atti di lode e di ringraziamento fatti
con il più intimo del cuore.
Dopo qualche tempo volle recitare le divine lodi assieme con Gesù e
Maria, e ogni tanto era rapito in estasi il suo spirito, sempre più ricolmo di
consolazione e di giubilo. Con gli occhi sfavillanti e il volto acceso rimaneva
immobile, fissando gli sguardi verso il cielo, aspettando col desiderio l’ora
del suo felicissimo transito, poiché si trovava in compagnia di Gesù e di Maria,
come bramava.
Quietati alquanto i desideri del suo cuore, parlò alla sua Sposa ed al
suo figlio Santissimo e manifestò loro quanto gli era accaduto nella notte
passata, e quanto gli aveva detto nel sonno l’Angelo. Godeva la divina Madre
di vedere tanto consolato il suo Giuseppe e ne rendeva continue grazie al
divin Padre. Il Salvatore fece un lungo discorso sopra la bontà e la liberalità
del suo Padre celeste, con tanta consolazione della santa Madre e del fortunato
Giuseppe, che – subito terminato il ragionamento – andarono tutti e due
in estasi, e vi stettero per lo spazio di più ore.
Tornato il santo dall’estasi, [Giuseppe] fu assalito di nuovo dai suoi
dolori, che soffriva con grande rassegnazione, godendo anche fra le pene e
rendendo grazie al suo Dio, che si degnava dargli da patire per farlo più meritare.
Ed a Lui rivòlto, diceva con grande affetto: «Mio Dio! Non posso mostrarvi
meglio la mia fedeltà e l’amore che vi porto che quando mi trovo aggravato
dai dolori ed afflitto dalle pene; perciò inviatemene pure quante a
Voi piace, perché io possa dimostrarvi quell’amore che per Voi arde nel mio
cuore! Voi vedete, mio Dio, come è grande il mio desiderio di patire per poter
in qualche modo assomigliare al mio Salvatore, il quale soffrirà così crudeli
pene per mio amore! Ed io non ho da soffrire per amore suo? Sì, sì! Soffra
io e patisca per amore di Chi soffrirà e patirà per la mia eterna salvezza».
Questo diceva il nostro Giuseppe, quando si trovava aggravato dai suoi fierissimi
dolori, per il quale si rendeva sempre più grato al suo Dio, e meritava
maggiore grazia.
Si era tanto consumato il nostro Giuseppe dall’amore grande, che nel
suo cuore ardeva, come anche dall’acerbità del dolore che soffriva, che sembrava
uno scheletro; e vedendosi in tale stato ne godeva e ne rendeva grazie
a Dio, dicendoGli che bramava che anche le midolla delle ossa gli
s’incenerissero al fuoco del suo divino amore. Fu poi il Santo visitato alcune
volte da suoi amici e dai vicini i quali, trovandolo per lo più aggravato dai
suoi dolori, stimarono meglio di lasciarlo solo, non avendo cuore di vederlo
fra tanti spasimi. E così dispose Dio che non andassero a visitarlo perché con
più quiete si potesse trattenere con Lui, con il suo Salvatore e con la divina
Madre.
Le parole che il Santo diceva a chi lo visitava non erano altro che
pregarli di raccomandarlo a Dio, perché lo assistesse nei suoi dolori e che
adempisse in Lui la divina volontà.
Restavano tutti ammirati e compunti nel vedere la grande sofferenza
del Santo e l’uniformità grande che aveva alla divina volontà e come soffriva
anche con allegrezza e serenità di volto da sembrare un Angelo.
La sua Santa Sposa lo alimentava secondo che conosceva il suo bisogno,
preparandoGli tutto con grande amore ed attenzione; e quantunque il
Santo sentisse grande pena nel cibarsi per la molta nausea che aveva al cibo,
tuttavia pigliava quello che dalla divina Madre gli veniva dato, né mai si lamentava
della nausea che sentiva, soffrendo tutto in silenzio e pazienza.
Alla fine della sua vita fu favorito molto spesso, il fortunato Giuseppe,
dall’udire i canti angelici che gli andavano annunziavano il suo felicissimo
transito. Li sentiva il Santo con molto gusto e consolazione del suo spirito,
e ne rendeva grazie al suo Dio perché in tanti modi lo favoriva. Infatti
non stava mai solo in quest’ultimo tempo, perché per un po’si intratteneva il
Salvatore consolandolo con la Sua amabilissima presenza e con le sue divine
parole. Similmente faceva la divina Madre, e quando questi [due] si allontanavano
per fare ciò che bisognava per il loro mantenimento, allora gli angeli
si facevano sentire con dolce melodia e soavissimi suoni.
Fra le sue pene rimaneva [così] sempre assistito, e ciò ben si meritava
il fedelissimo Giuseppe, perché durante la sua vita esercitò tutti gli uffici
di carità che mai si potessero esercitare da pura creatura verso i suoi prossimi
e verso Gesù e di Maria. E così Dio, in quest’ultimo [tempo] della sua vita lo
volle in qualche modo ricompensare, quantunque il Santo attribuisse tutto
alla grande bontà e liberalità del suo Dio verso di Lui, riconoscendosi di tutto
immeritevole e confessando che non aveva fatto mai cosa di buono, che
era stato un miserabile, e che non aveva mai corrisposto come avrebbe dovuto
alle molte e quasi infinite grazie che dal suo Dio aveva ricevuto.
Tanto era grande la sua umiltà ed il basso concetto che di sé aveva,
che sovente si sentiva dire: «Ah, mio Dio, quanto male ho corrisposto alle
molte e segnalate grazie che voi mi avete fatto!». E ciò diceva il Santo perché
il suo desiderio era molto grande ed avrebbe voluto fare molto più, quantunque
non avesse mai tralasciato di fare quello che poteva e sapeva, e di farlo
con tutta la perfezione possibile.
[Anche] stando così aggravato dai suoi dolori, aveva un continuo timore
di mancare in qualche cosa ai suoi doveri, e perciò pregava la sua Santa
Sposa di avvisarlo se, per sua inavvertenza, mancava in qualche cosa, per
la quale potesse portare qualche dispiacere al suo Dio; e di ciò la pregava
con profonda umiltà, dicendole che non guardasse al suo demerito, ma al
merito che aveva il suo Dio di essere servito con tutta la fedeltà, e compiaciuto
in tutte le cose.
Si umiliava allora la divina Madre, come quella che superava tutti
nell’umiltà, e poi lo rassicurava: se avesse conosciuto in lui qualche cosa che
non fosse stata fatta con tutta la perfezione e che non fosse stata di tutto
compiacimento del suo Dio, lo avrebbe avvisato, per soddisfare al suo desiderio
ed alla sua richiesta; e così restava consolato il fortunatissimo Giuseppe.

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