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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (6) Capitolo VI – Come diminuivano le forze di san Giuseppe; e l’aiuto che gli davano Gesù Cristo e la Santissima Vergine, e come il Santo si comportava

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Libro IV – (6) Capitolo VI – Come diminuivano le forze di san Giuseppe; e l’aiuto che gli davano Gesù Cristo e la Santissima Vergine, e come il Santo si comportava

Nel nostro Giuseppe crescevano tanto l’amore verso il suo Dio ed il
dolore delle pene che stavano preparate al Redentore, che gli incominciarono
a mancare le forze corporali, in modo tale che non poteva più lavorare se non
con grande fatica. Il Santo appariva molto estenuato ed abbattuto, perciò il
Redentore lo assisteva con molta cura, sollevandolo dalla fatica e facendo
Lui stesso il lavoro più faticoso. Comunque era bene che il Santo stesse nella
bottega, in quanto gli dava maggior sollievo lo stare in compagnia [di Gesù],
perché la presenza del suo Gesù lo consolava e lo rinvigoriva; e faceva qualche
cosa di facile e di meno fatica.
Lo confortava il Redentore con parole di affetto e di compassione,
perciò il Santo cresceva sempre più nell’amore verso di Lui, ed anche nel
dolore, perché mirava la grazia e la bellezza del vaghissimo Giovane, già
cresciuto molto in età ed in ogni altra cosa. Non gli si toglieva mai dalla
mente la morte spietata che doveva fare. A volte mentre il Redentore si affaticava
nel lavorare, egli gli diceva: «Mio amato figlio, Voi ora vi affaticate
nel lavorare questi legni: verrà tempo che ci sarà chi si affaticherà per voi a
lavorarvi la croce sulla quale dovrete terminare la vostra vita!».
Ciò dicendo sveniva per il dolore che ne sentiva, ed il suo Gesù lo
sosteneva fra le sue braccia, e lo consolava, ricordandogli che si doveva uniformare
alla volontà del Padre celeste.
Queste parole respirava il Santo, ed esclamava: «Sì, sì, mio Gesù, si
faccia in tutto la divina volontà! Ma il mio cuore non può fare a meno di non
sentire l’acerbissimo dolore. Sacrifico questo dolore al Padre celeste, e mi
offro pronto anch’io a morire in croce ogni qualvolta ciò sia volontà sua».
Sentiva pena il Santo per questo abbattimento di forze: non poteva
più faticare per acquistare il vitto necessario, tanto per sé che per la sua Sposa
e per il suo Gesù. Perciò ne faceva parola con il Redentore, dicendogli
come si affliggeva, perché non riusciva più a faticare, e molto più sentiva
pena per vedere il Redentore faticare tanto. E tutto amoroso, rivolto al suo
Gesù, gli diceva: «Ah! mio caro figlio e Signore! Quanto mi dà pena vedervi
tanto faticare e che così poco vi posso aiutare! Bramo le forze corporali non
per altro se non per esservi di qualche aiuto e sollievo: ma me ne ritrovo
quasi del tutto privo. Ecco, non sono degno di affaticarmi per Voi!».
E si metteva a piangere, attribuendo il tutto alla sua indegnità.
Era però consolato dal Salvatore, che gli diceva che si era affaticato
già troppo nel passato, e che aveva fatto tutto quello che aveva saputo e potuto;
perciò si tranquillizzasse: adesso era tempo di prendersi qualche riposo
e di adempire la divina volontà, che lo voleva in quello stato di debolezza, da
soffrire con allegrezza, perché faceva la volontà del divin Padre. Così si consolava
il nostro Giuseppe, e soffriva con tutta generosità ed allegrezza la
mancanza delle forze corporali, tanto più che le forze spirituali si facevano
sempre più forti e robuste; con esse praticava tutte le virtù con tanto spirito e
perfezione, facendo grandissimi progressi nell’amore e grazia del suo Dio.
Anche la Santissima Vergine lo consolava e gli faceva animo, e procurava
di preparargli qualche vivanda, perché il suo Sposo potesse cibarsene:
infatti, mangiava assai meno del solito. La gradiva il Santo, e ne gustava,
dandone però sempre una parte ai poveri, verso i quali -, come già si disse –
fu il Santo molto amorevole e compassionevole. E perciò bramava le forze
[anche] per lavorare ancora per fare loro dell’elemosina ma, poiché non poteva
[più] farla con le sue fatiche, la faceva con moltiplicare per essi le orazioni
e le suppliche a Dio, affinché provvedesse ai loro bisogni.
In questo tempo nel quale non poteva lavorare per le cause suddette,
il Santo spendeva più tempo [che nel passato] a contemplare le divine perfezioni;
e si accendeva in lui un più ardente desiderio di andare a vedere e godere
il suo Dio a faccia svelata. Si poneva a mirare il cielo e stava per più ore
con gli occhi fissi, bramando che arrivasse presto quel fortunato giorno in
cui si compisse l’opera della Redenzione, per mezzo della quale sarebbe stato
fatto degno di essere introdotto negli eterni Tabernacoli. A questo proposito
recitava vari passi della Scrittura e dei Salmi di David, anelando a quella
patria beata. Dopo se ne andava dalla sua santa Sposa Maria e le esponeva il
suo desiderio e le diceva: «Quando sarà, mia carissima Sposa, che sarò fatto
degno di essere introdotto nel gaudio del nostro Dio? Oh, che brama ardente
ne prova il mio cuore! A me pare di capire che non abbia da prolungarsi
molto il mio esilio, e che l’anima mia abbia da sciogliersi in breve dai legami
del corpo per andarsi a riposare nel seno di Abramo, ed ivi aspettare che si
compia l’opera dell’umana redenzione per essere poi introdotto nel gaudio
immenso del nostro Dio.
Ciò pare a me perché, non solo mi vanno mancando le forze corporali,
ma sento anche accendersi in me una brama ardentissima di passare da
questa vita. Altra pena non provo che di lasciare Voi, mia cara Sposa, ed il
nostro Gesù, in tanti affanni che dovrete soffrire, ma il divin Padre vi assisterà
e consolerà. E spero di rivedervi dopo breve, quando il Salvatore per mezzo
della sua morte ci aprirà le porte eterne e ci introdurrà nella patria beata».
Sentiva qualche afflizione la divina Madre, perché anche lei conosceva
che il suo Sposo si avvicinava al termine della sua vita corporale; ma
tutta uniformata alla divina volontà non mostrava segno di leggerezza, ma
solo manifestava al suo Sposo, con tutta prudenza, l’afflizione che di ciò lei
provava. Capiva benissimo il nostro Giuseppe che si avvicinava il termine
della sua vita, come già si è detto, perciò si affrettava molto a praticare le
virtù e pregava il Salvatore di volersi degnare di parlargli più spesso delle
cose divine e dei misteri della sua Vita, Passione e Morte, perché – gli diceva
– «non vi potrò più vedere, né udire le vostre divine parole; perciò fatemene
godere ora che sto con Voi e che ho la fortuna di vedervi rivestito della
nostra carne mortale!». Gesù lo consolava e adempiva quanto gli richiedeva,
parlandogli molto spesso dei divini misteri, delle perfezioni e dei divini attributi,
della gloria del Paradiso. Così nel Santo cresceva sempre più il desiderio
di andare a godere il suo Dio a faccia svelata.
E rivolto al suo Gesù, gli diceva: «Oh! Mio amabilissimo Redentore!
Quanto desidera l’anima mia di essere sciolta dai legami del corpo e di godere
il nostro Dio a faccia svelata! Se il solo sentirlo raccontare da Voi mi dà
tanto godimento – che pare si divida l’anima mia dal corpo -, che sarà poi
andarlo a godere ?! Tutta la mia consolazione, però, viene molto amareggiata,
quando penso che non si apriranno da alcuno le porte del cielo fuorché da
Voi, per mezzo della vostra Vita, Passione e Morte.
Questo sì che mi affligge e mi trafigge l’anima! Quante pene, quanti
dolori e quanto sangue vi costerà il nostro riscatto! Noi godremo della visione
beata del nostro Dio a prezzo dei vostri dolori e della vostra penosissima
morte. Mio Redentore amabilissimo, mi sento stringere il cuore ogni volta
che penso a questo, e vorrei potere in qualche modo corrispondere al vostro
infinito amore e dare la mia vita, il mio sangue, per voi. E vorrei potere supplire
all’ingratitudine di tanti e tante, che non riconosceranno un così grande
beneficio ed un così stupendo amore».
Spesso il fortunato Giuseppe replicava questi atti con il suo Gesù, e
sempre più si consumava nell’amore e nel dolore. Mirava attentamente il
Redentore con un amore sempre più ardente e meditava le doti mirabili di
cui era ricolmato; bellezza, grazia, sapienza, scienza, e tutto il resto, nella
persona di Lui spiccavano mirabilmente. [Giuseppe] si dilettava e compiaceva
tanto della ricchezza dei divini tesori che in Lui scorgeva, che anche la
sua anima veniva ricolmata di un beato godimento.
Ma questo godimento, come già si è detto, era molto amareggiato dal
pensiero continuo che aveva delle pene e della morte preparateGli e replicava
sovente fra di sé: «O Gesù, mio Salvatore! Tanta grazia, tanta bellezza,
tanta sapienza, scienza e bontà che in Voi si trova, sarà tanto oltraggiata, vilipesa,
schernita!». Queste riflessioni occupavano quasi di continuo la mente
ed il cuore del nostro Giuseppe e gli consumavano la vita. Gradiva tutto il
Redentore, e gli dava chiari segni del suo gradimento.
Nel recitare le divine lodi con il Salvatore e con la divina Madre,
erano più frequenti i rapimenti di spirito e le estasi sublimi che il Santo aveva,
di modo che per lo più se ne stava in estasi e riceveva frequenti rivelazioni
circa i divini misteri. E l’anima sua, se non avesse avuto la notizia della
Passione e Morte del Salvatore, per la quale sentiva una somma amarezza, si
potrebbe dire che avrebbe goduto sempre le delizie del Paradiso; ma poiché
Dio volle dargli occasione di meritare e di patire per più arricchirlo di meriti,
gli fece conoscere con chiarezza tutti i patimenti preparati al Salvatore.
In questa sua debolezza e mancanza di forze, non tralasciò mai il
Santo i suoi soliti esercizi di orazione, anzi li accrebbe, e se ne stava molte
ore inginocchiato in terra, pregando e supplicando il divin Padre per la salvezza
delle anime e perché ognuno riconoscesse il vero Messia, quando questi
per mezzo della sua predicazione si sarebbe più chiaramente manifestato
al mondo. Tutto già sapeva per divina rivelazione il fortunato Giuseppe, ed
aveva un desiderio ardentissimo che tutti quelli, che avrebbero avuto la sorte
di sentire le prediche e gli insegnamenti del Redentore, ne approfittassero, e
abbracciassero la vera fede e la celeste dottrina.
Di ciò ne porgeva calde suppliche al divin Padre, e diceva spesso fra
sé: «Beati quelli che udranno le divine parole del Salvatore e le custodiranno!».

Di ciò ne parlava frequentemente con la divina Madre e le diceva:
«A voi, mia diletta e amata Sposa, toccherà la bella sorte di udire le prediche
che farà il nostro Gesù.

È vero che soffrirete grandi amarezze nel vedere i suoi grandi patimenti,
le contraddizioni, le persecuzioni che patirà, ma le sue divine parole
vi consoleranno ed il suo amabile aspetto vi conforterà molto. Io godo della
bella sorte eh avrete di patire per amore del nostro amato Gesù; e mi rallegro
anche del godimento che sperimenterete nelle sue visite amorose – che spero
vi farà spesso -, per consolarvi nelle vostre afflizioni, che come amorosa
madre proverete per le sue pene e per le tante fatiche e patimenti che sosterrà
per la conversione dei popoli».
In questi discorsi l’amore del nostro Giuseppe si accendeva sempre
più e [poi] restava talmente abbattuto che spesso sveniva e la divina Madre
lo confortava: gli preparava il cibo per ristorargli le forze ed il Santo lo riceveva
con molta gratitudine, benedicendo sempre il suo Dio che l’aveva arricchita
di tanti doni ed ornata di tante grazie.

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