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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (5) Capitolo V – Alcune devozioni che san Giuseppe praticava con la sua Santissima sposa Maria, i sacri ragionamenti che fra di loro facevano e l’accrescimento dell’amore verso Dio che CRESCEVA IN SAN GIUSEPPE, ED ANCHE NELLA SUA SPOSA SANTISSIMA

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Libro IV – (5) Capitolo V – Alcune devozioni che san Giuseppe praticava con la sua Santissima sposa Maria, i sacri ragionamenti che fra di loro facevano e l’accrescimento dell’amore verso Dio che CRESCEVA IN SAN GIUSEPPE, ED ANCHE NELLA SUA SPOSA SANTISSIMA

Già si è detto che il nostro Giuseppe aveva una devozione particolare
a quella piccola stanza dove si era celebrato il grande mistero dell’incarnazione
e dove la sua Santissima Sposa dimorava per lo più a fare orazione.
Questa devozione ed amore a quel luogo cresceva sempre più nel
nostro Giuseppe, e perciò pregava la sua Santa Sposa di permettergli di poter
andare là a pregare, quando lei stava occupata nei lavori domestiche della
casa; e ciò gli riuscì. Ma [ancor] più frequenti visite faceva a quel sacro luogo
assieme con la sua sposa Maria e, specialmente quando volevano ottenere
qualche grazia particolare dal divin Padre, si prostravano su quel suolo stesso,
dove stava la divina Madre quando il Verbo eterno si incarnò nel suo purissimo
seno.
E qui si sentiva il nostro Giuseppe accendere il cuore di un più potente
amore e di una grande confidenza nella bontà divina, sicurissimo che in
quel luogo non aveva mai domandato grazia che non gli fosse stata concessa
dalla divina liberalità.
Domandato poi la grazia che bramava, riceveva molta luce dal divin
Padre; ivi aveva estasi sublimi e gli erano rivelati misteri altissimi; e il suo
spirito si univa più intimamente col suo Dio e godeva un paradiso di delizie.
E mentre il divin Redentore stava ritirato pregando il Padre e trattando il tema
importantissimo dell’umana Redenzione, se ne stava il fortunato Giuseppe
con la sua santa Sposa Maria in quella piccola stanza.
La divina Madre, tutta assorta, vedeva quanto passava fra il divin
Padre e il suo Santissimo Figlio, e anche lei gli faceva compagnia nelle domande;
e molte volte ebbe questa rivelazione anche il fortunato Giuseppe, ed
anche lui si univa con il divino Figlio e con la sua Santissima Sposa. Ed alle
suppliche che il Redentore porgeva al suo divin Padre per il genere umano,
si univano anche quelle della divina Madre e di san Giuseppe, facendo in ciò
compagni del Salvatore nel supplicare: e ne risultava un utile per le loro
anime, accrescendo in essi mirabilmente la divina grazia, l’amore verso Dio
ed il prossimo ed i meriti incomparabili.
Di ciò godeva molto il nostro Giuseppe, e quando usciva da quel
santo luogo gli pareva di non essere più quello di prima, ma tutto trasformato
in Dio. Il Santo non era più capace di cosa temporale, ma pareva un’anima
divinizzata a guisa dei Beati. Uscito fuori, si tratteneva alquanto per ritornare
in sé, lasciando la divina Madre tutta assorta. Mai era disturbata dal santo
Sposo, lasciandola egli stare là a Suo piacere, e godeva della consolazione
che la sua divina Sposa in quel luogo gustava.
Cresceva tanto nel nostro Giuseppe l’amore verso il suo Dio, [al
punto] che si consumava anche nel corpo. Pativa il Santo continui svenimenti
amorosi, e ciò per il tratto continuo e familiare del suo amato Gesù, e per
la divina contemplazione e per il trattenimento santo che aveva con la Madre
del Bell’Amore. Era divenuto un vulcano di fiamme il cuore del fortunato
Giuseppe, di modo che spesso esclamava: «O Dio di amore e di carità! Date
fine a questa mia vita, e muoia io incenerito fra queste fiamme, che tanto incendiano
il mio petto!».
E così incominciava il Santo ad avere una brama ardentissima di morire,
consumato ed incendiato nel fuoco del divino amore, e diceva spesso
alla sua Sposa: «O mia cara ed amata Sposa! Io sento nascere in me un vivo
desiderio di morire consumato ed arso nel fuoco del divino amore».
E la santa Madre lo consolava, dicendogli che Dio, che gli dava il
santo desiderio, l’avrebbe anche consolato facendolo morire nel modo che
egli bramava. Allora il Santo, alzando le mani e gli occhi al cielo, esclamava:
«Oh, bontà immensa del mio Dio! Sarà vero che voi mi consolerete nel
modo che io desidero, e arriverò a morire consumato dal vostro beato incendio?!
». E ciò dicendo, tutto acceso e infiammato nel volto e molto più nel
cuore, con gli occhi sfavillanti se ne andava in estasi, dove dimorava molto
tempo, sin tanto che – arrivata l’ora destinata per recitare le divine lodi assieme
con Gesù e con la divina Madre -, ritornava ai propri sensi.
Mirava la santa Madre il suo sposo Giuseppe con molto gusto
dell’anima sua, perché pareva più uomo celeste che terreno, sembrando il
suo volto un angelo di Paradiso; e di ciò ne rendeva affettuose grazie al suo
Dio per quello che si degnava concedere abbondantemente al suo sposo Giuseppe,
riconoscendolo come concesso a se stessa.
Il nostro Giuseppe era anche molto devoto ed affezionato al grande
mistero dellTncamazione; e fattogli conoscere dalla divina Madre, in quale
giorno ed in quale ora avvenne questo mistero, ne celebrava spesso la memoria,
ma in specie ogni mese ed ogni anno. E vi si preparava in modo particolare,
praticando molti atti di mortificazione; e ogni volta che ricorreva
l’ottavo giorno ne rinnovava la memoria, alzandosi a quell’ora stessa ad orare
e rendere grazie a Dio del beneficio fatto al genere umano. Ciò faceva insieme
con la divina Madre in quella stessa stanza, spendendo in ciò molte
ore in atti di ringraziamento e di gratitudine al suo Dio, che chiamava liberalissimo.
Similmente faceva del mistero della natività, alzandosi a mezzanotte
a quell’ora stessa ed in quel giorno in cui era nato il Salvatore, trattenendosi
in tutto il resto della notte nel meditare il mistero e nel rendere grazie al divin
Padre.
Così faceva della presentazione del suo Gesù al Tempio, fermandosi
a meditare le parole che aveva udito dal santo Vecchio Simeone. Praticava
tutto ciò unitamente alla sua Santa Sposa, e con tanto affetto e copie di lacrime
che pareva che gli si disfacesse il cuore per la tenerezza: così si ricolmava
di meriti l’anima sua. Si tratteneva poi con la divina Madre in sacri ragionamenti,
nei quali si andavano sempre più accendendo i loro cuori
nell’amore di Dio, facendo in questo mirabili progressi.
Fra tante consolazioni il nostro Santo soffriva pene e amarezza inenarrabili
per la memoria delle pene che erano preparate all’amato suo Gesù
e, al colmo delle consolazioni, incominciavano a discorrere sui molti passi
della Scrittura, che accennavano ai tormenti del Redentore. La divina Madre
glieli spiegava con chiarezza ed egli ben l’intendeva, e a misura dell’amore
che portava al suo Gesù, sentiva il dolore e il cordoglio e spesso sveniva per
l’acutezza del dolore che provava. Con quanta tenerezza ne parlasse, quanto
compatisse il suo Gesù, e quanto bramasse patire lui quelle pene, in cambio
del divin Redentore, non è facile narrarlo.
E quando sentiva questi discorsi, rivolta alla sua Sposa diceva:
«Sposa mia, io desidero morire incenerito e consumato nel fuoco del divino
amore; ma bramo anche morire tormentato e crucciato dalle pene per amore
del nostro Gesù! Oh, quanto mi stimerei felice, se potessi anch’io soffrire
parte dei suoi dolori e delle sue pene!». Di fatto si accendeva tanto nel desiderio
di patire quando ciò meditava, che ne faceva istanza al suo Dio, e lo
supplicava di dargli da patire prima della sua morte, e da soffrire aspri dolori
per potersi in qualche modo somigliare al suo Gesù, che tanto avrebbe patito
nella sua Passione e Morte.
E quando il suo Gesù si tratteneva con la santa Madre in sacri colloqui,
il nostro Giuseppe andava a prostrarsi in terra, ponendo il volto sopra
quella piccola croce lavorata dal suo Gesù, ed lì tutto acceso di desiderio di
patire, supplicava il divin Padre perché gli desse parte di quei dolori che il
suo Gesù avrebbe sofferto sulla croce. Non andarono a vuoto le sue domande
perché nella sua malattia, che lo portò alla morte, il Santo soffrì gravissimi
dolori, come a suo luogo si dirà.
Quindi come il nostro Giuseppe, per l’eccesso della divina consolazione
e dell’amore ardente che aveva verso il suo Dio, si trovava incapace di
prendere anche il cibo corporale, così, molto più e più di frequente, gli accadeva
per l’eccesso del dolore che egli provava per le pene preparate al suo
Gesù.

Si vedeva il Santo stare giornate e notti intere addolorato e piangente,
senza prendere né cibo né riposo, angustiato, afflitto e quasi fuori di sé
per l’eccesso del dolore, con la mente fissa nelle pene preparate al Redentore;
ed usciva in lamenti verso di quelli che l’avrebbero tormentato, e si sentiva
dire: «Ah, cuori crudeli! E come potrete voi tormentare il vostro amato
Redentore?! Come potrete mettere le mani addosso al vostro Dio Umanato?!
Ed avrete voi cuore di strapazzare il Figlio di Dio, di tanta maestà e
grandezza di tanta grazia e bellezza, di tanta sapienza e bontà, di tanto amore
e carità?! Oh, come potrete mai fare ciò voi, creature vilissime e indegne?!
Ah, crudeli! E come potrete porre le mani sulla persona del vostro Salvatore?!
». Dicendo ciò sveniva per il cordoglio, ed il suo Gesù accorreva a sollevarlo
e consolarlo.
Però non si sentiva [mai] il Santo prorompere in parole di sdegno,
ma [manteneva] un cuore tutto dolcezza e carità, anche verso i crudeli ministri.
Soltanto li chiamava: crudeli, spietati; e poi per essi pregava il divin Padre
di perdonarli; e tutto uniformato [alla sua volontà], si rimetteva alla divina
disposizione ed a quanto il divin Padre avrebbe permesso, perché si compisse
l’opera dell’umana Redenzione nel modo da Dio destinato e ordinato,
cioè morendo il Redentore crocifisso fra pene e dolori.
A volte fissava gli occhi sul volto del suo amato Gesù, contemplandone
le mirabili bellezze, e ne restava rapito; ma subito si faceva presente
alla sua mente il pensiero delle pene che doveva soffrire, e restava tutto amareggiato
e ferito da acuto cordoglio, dicendo dentro di sé: «Ah, volto bellissimo
e amabilissimo del mio Gesù! Quanto sarete Voi afflitto e mesto, quando
dalle vostre creature verrete oltraggiato!». Similmente faceva per tutte le
altre cose che nel suo Gesù contemplava. E quando il Redentore gli parlava
con tanta sapienza e dolcezza, diceva: «Ah, bocca divina, che proferite parole
di vita! Come voi sarete amareggiata, e quanto saranno contraddette le
vostre divine parole e la celeste dottrina che Voi a tutti insegnerete!».
Mirava le mani candidissime e belle del suo Gesù, compiacendosi di
così bella vista, ma subito pensava come quelle sarebbero state inchiodate
sopra di una croce. Mirava tutta la persona del suo Salvatore, contemplando
la vaghezza e nobiltà dell’aspetto, e poi diceva: «Ah, mio Dio Umanato!
Umanità Santissima divinizzata! Eppure giungerete a morire sopra di un patibolo
infame!».
Queste riflessioni erano come tante spade che ferivano e laceravano
il cuore del nostro Giuseppe, e così si consumava nell’amore e nel dolore, e
man mano che andava avanti, si andava sempre più fissando nella sua mente,
la memoria delle pene del suo amabilissimo Redentore; e vedendo che cresceva
in età, più si affliggeva, perché si avvicinava il tempo dei suoi asprissimi
tormenti. Diceva sovente alla sua Santissima Sposa che, al vedere crescere
il suo amato Gesù, cresceva in lui la pena ed il cordoglio pensando che
queirUmanità Santissima, che così mirabilmente cresceva, avrebbe sofferto
così atroci tormenti. A queste parole si accresceva il dolore e l’affanno anche
nella divina Madre, ed a misura del dolore cresceva l’amore, tanto in lei come
nel nostro Giuseppe.
Fu cosa mirabile nel nostro Santo il fatto che, invece di avere orrore
alla croce, come patibolo di infamia e causa di tanta sua pena, dovendo
morire sopra di essa l’amato suo Gesù, il Santo ebbe per essa una devozione
particolare. Così spesso andava a vederla, l’adorava, l’abbracciava e la baciava
con grande affetto e copia di lacrime, rimirandola come uno strumento
sopra del quale si doveva compiere l’opera della Redenzione umana.
Con la croce faceva molti colloqui, sfogando la pena del suo cuore, e
poi diceva a se stesso: «Oh, chi sarà quell’artefice che lavorerà la croce vera
dove il mio Redentore morrà crocifisso?». E così dicendo, si scioglieva in
lacrime il cuore.

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