Home

La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (4) Capitolo IV – Alcuni travagli sofferti da san Giuseppe e le virtù che praticò IN TALE OCCASIONE

Salva in Preferiti / Segnalibro
ClosePlease loginn

Non ancora registrato? Fallo ora!

Libro IV – (4) Capitolo IV – Alcuni travagli sofferti da san Giuseppe e le virtù che praticò IN TALE OCCASIONE

Molte persone andavano, come si è detto, alla bottega di san Giuseppe
per vedere il divino Fanciullo e consolarsi con la sua amabilissima presenza.
Vi furono alcuni che con retta intenzione riprendevano il Santo, dicendogli
[mai] come avesse cuore di tenere un figlio così degno e di tanta
grazia e bellezza a strapazzarsi in quella bottega: essendo di così nobile indole
e di così raro talento, avrebbe dovuto applicarlo allo studio della Scrittura,
perché sarebbe divenuto grande dottore della Legge ed avrebbe fatto
buona riuscita; il che sarebbe stato onore anche della Patria.
Il Santo a queste parole – che gli penetravano il cuore – non rispondeva
nulla, soltanto si stringeva nelle spalle, perché era da quelli ripreso per
avere poco amore al suo Figlio e [ancor] meno compassione della sua delicatissima
costituzione. Accesi di zelo, che credevano buono, [costoro] rimproveravano
il Santo di essere crudele, indiscreto, e disamorato della sua prole e
[insinuavano] che – per avere chi lo aiutasse nel lavoro – non si curava di assoggettare
a fatiche [manuali] un figlio tale. Gli dicevano: «Se vi fosse un
altro che avesse un figlio di questa sorte, metterebbe a rischio anche la vita
per faticare, guadagnare, e fare in modo che il figlio avesse comodità di studiare!».

Il nostro Giuseppe udiva tutte queste cose con grande mortificazione
e pena del suo cuore, riconoscendo che avevano ragione, parlando umanamente,
ma non poteva spiegarsi con loro, perché non aveva ordine di manifestare
il segreto e il mistero nascosto.
Perciò il Santo a questi [tali] rispondeva con grande umiltà e sottomissione,
dicendo loro che avevano ragione, ma che egli, avendo bisogno di
aiuto, non doveva privarsi di quel figlio che Dio gli aveva dato, e che se
avesse conosciuto una diversa volontà di Dio, sarebbe stato pronto ad eseguirla.
Si burlavano quelli delle parole del Santo, dicendogli: «Adesso verrà
Dio a dirvi ciò che dovete fare! Grandi pretese sono le vostre! Voi con ogni
mezzo dovete applicare il vostro figlio agli studi».
Chinava la testa il Santo, non rispondeva più e soffriva con invitta
pazienza la loro importunità, né mai disse parola per la quale si potessero offendere,
che si sarebbero infatti meritati per la loro importunità; anzi, li ringraziava
della premura che mostravano e dell’affetto che portavano al suo
figlio.
Ma quelli incominciarono a ritenere il Santo per uomo di testa dura,
che non voleva lasciarsi persuadere in cosa tanto doverosa, e come tale lo
giudicavo per tutta la città. Durò molto questo travaglio e molestia per il nostro
Giuseppe, perché ogni volta che andavano alla sua bottega lo molestavano
su questo punto; ma il Santo tutto soffrì con invitta pazienza, né mostrò
mai il volto turbato, né disse mai parole di dispiacere, ma sempre parlava loro
con umiltà e con sottomissione, mostrando godimento di quanto dicevano
contro di lui. E infatti lo gradiva, perché in tale occasione praticava quegli
atti di virtù che sapeva che erano tanto grati al suo Dio e di tanto merito per
l’anima sua, e pregava molto per quelli che tanto lo molestavano e gli dicevano
parole offensive.
La pena e rammarico che il Santo sentiva erano che gli dispiaceva di
vedere il suo Redentore affaticarsi in quella vile bottega, e perciò, quando
quelli ciò gli dicevano, restava più che mai ferito il suo cuore. Per la compassione
che aveva verso il divin Figlio piangeva spesso amaramente, ma
poi si uniformava alla divina volontà.
Il Redentore gli mostrava quanto gradisse quegli atti di virtù e di pazienza,
che lui faceva, e con uno sguardo ridente che gli dava, lo consolava
di tutto. Si poneva a mirare il suo bellissimo Gesù, cosa che effondeva un
giubilo incomparabile al suo cuore, e gli diceva: «O mio caro Figlio, la sola
vista di Voi è sufficiente a raddolcire qualsiasi amarezza. L’anima mia si liquefà
tutta al vedere Voi, oggetto amabilissimo! Vengano pure i travagli,
sia io disprezzato e schernito dalle creature, sia maltrattato e vilipeso: tutto
mi si rende dolce e soave alla sola vista di Voi, caro mio bene!».
E così dicendo se ne andava in estasi per la dolcezza.
I travagli sofferti dal nostro Giuseppe a causa delle creature, che i
nemici infernali apposta istigavano contro il Santo, furono molto leggeri in
paragone di quelli che il Santo soffrì a motivo del suo Gesù, e che Gesù stesso
gli inviava, per farlo più meritare. A volte in bottega Gesù si faceva vedere
tutto mesto, con gli occhi fissi sul lavoro, sospirando, mentre pensava alle
gravi offese che riceveva il suo divin Padre, e ne sentiva amarezza e dolore.
Ciò non sapeva il nostro Giuseppe e, vedendo il suo Gesù in quel modo, restava
ferito da acuto dolore.
Oh, quanto grandi erano i desideri del suo cuore! Quanto grandi le
afflizioni del suo spirito! Non trovava quiete, e non poteva dire poteva altro
che: «Caro mio Gesù, che male vi ho fatto, da farmi vedere il volto mesto e
dolente?!». E ciò diceva nel più intimo del cuore. Pensava [allora] il Santo di
andare dalla sua Sposa e sentire da lei che cosa avesse il suo Gesù, ma non si
arrischiava a partire. Voleva domandare a Lui la causa della sua mestizia e
non ne aveva il coraggio, e così afflitto lavorava, versando copiose lacrime
di dolore. Gesù lo lasciava stare nella sua afflizione, volendo che il Santo
acquistasse merito e si rassegnasse.
Infatti, il nostro Giuseppe, tutto uniformato [alla volontà divina], offriva
al divin Padre il suo grande dolore – gli trapassava l’anima in verità -,
e stava in quella afflizione finché arrivava l’ora di cibarsi, perché allora si
faceva animo e tutto confuso diceva al suo Gesù: «Mio caro figlio, è giunta
l’ora destinata al cibo! perciò, se vogliamo andare, ve ne do avviso». Allora
l’amabile Gesù, compatendo l’afflitto Giuseppe, si rasserenava nel volto e lo
mirava con tutta la sua solita grazia, e gli diceva: «Andiamo, padre mio: è
doveroso che voi vi ristoriate, avendo faticato tanto».
A queste parole dette da Gesù con tutta grazia e dolcezza, si consolava
tutto l’afflitto Giuseppe, e gli tornava lo spirito che per il dolore aveva
smarrito, e tutto contento andava con il suo Gesù a trovare la divina Madre.
Ella aveva già tutto preparato, e, poiché aveva penetrato, mirava il suo Gesù
con grande amore, e poi il suo Giuseppe con grande compassione; e da quello
sguardo Giuseppe capiva che la sua Sposa già sapeva tutto e che molto lo
compativa; e chinava la testa in segno della sua gratitudine.
Dopo essersi cibati, il Redentore faceva loro qualche discorso, parlando
delle perfezioni del suo Padre celeste, della provvidenza divina,
dell’uniformità che si deve avere nelle cose avverse, e dell’amore che il divin
Padre porta al genere umano. Infatti, non passava giorno che il divino
Maestro non facesse qualche ragionamento, in particolare dopo il [tempo
del] cibo, per nutrire con le sue divine parole le loro anime e ristorarle. Davvero
restavano molto ristorati e confortati e sempre più illuminati ed ammaestrati.
Godeva tanto il nostro Giuseppe alle parole del suo Redentore, che
ogni ora gli pareva mille [nell’attesa] che arrivasse quel tempo che era destinato
a quel discorrere, e [durante il quale] per lo più se ne andava in estasi
per la consolazione che ne sperimentava il suo spirito.
Poi il divin Figlio si ritirava e restava Giuseppe con la santa Madre.
Si ponevano a parlare delle perfezioni del loro amato Gesù, della sua grazia
ed amabilità, della sua divina sapienza e delle altre sue mirabili virtù e prerogative.
Poi diceva il Santo alla sua Sposa: «Oh, Sposa mia! Dove mai ho
meritato io un così grande bene di stare in compagnia del nostro Salvatore e
di Voi, sua Madre Santissima?! Quanta bontà e carità ha usato il nostro Dio
verso di me, eleggendomi a un posto così degno». Ed unito alla sua Sposa,
ne rendeva affettuose grazie al divin Padre. Poi manifestava alla divina Madre
quello che gli era capitato nella bottega con il suo Gesù; ed ella, quantunque
sapesse tutto, non lo dava a vedere, ma compativa molto l’afflizione
che egli aveva avuta, e molto più compativa l’amato suo Figlio. Ed esortava
il suo Sposo a non affliggersi soverchiamente nel pensare di essere lui la
causa delle angustie che mostrava il suo Gesù, ma che piuttosto si affliggesse
delle offese che il divin Padre riceveva dal genere umano: così avrebbe fatto
compagnia al suo Gesù afflitto per tale causa. Il Santo non mancava di eseguire
quello a cui la sua Sposa lo esortava; ma a lei rivolto le diceva [anche]
che il solo vedere il suo Gesù in quella mestizia gli causava estremo cordoglio.
Per questo veniva molto da lei compatito, perché anche lei provava ciò,
ma molto più di Giuseppe, per l’unione più intima e cordiale che Lei aveva
con l’amato suo Figlio.
Il Santo andava poi a lavorare col suo amato Gesù, e nel lasciare la
sua Sposa, le diceva che facesse memoria di lui presso il divin Padre: desiderava
[infatti], anche per quel breve tempo che si appartava per andare a
lavorare, che la sua Sposa si ricordasse di lui, perché sapeva che lei aveva
continuo contatto con Dio. Le diceva anche che la compativa molto, perché
il suo divin Figlio non restava con lei, ma che egli non avrebbe mancato di
dare cordiali saluti al suo Gesù da parte sua, mentre stava nella bottega con
lui a lavorare, e che l’avrebbe anche pregato di volerla andare a trovare.
Gradiva molto la divina Madre le espressioni che il suo Giuseppe le
faceva e l’attenzione e la premura che mostrava, di vederla consolata e di
soddisfare il suo desiderio; così ne rendeva affettuose grazie al suo Giuseppe.
Non mancava egli di fare quelle parti che già aveva promesso alla sua
Sposa: infatti, mentre era a lavorare con il suo Gesù, quando questo per consolarlo
gli parlava, egli subito gli manifestava cordiali saluti da parte della
divina Madre. Gesù ne mostrava gradimento, ricevendoli con volto allegro e
ridente. E quando lo pregava di andarla a trovare, vi andava con grande amore
e premura, perché si sa quanto Egli amasse la divina Madre, essendo quella
la delizia del suo cuore; e ciò spesso succedeva come già altre volte si è
narrato.
Così il nostro Giuseppe [stava] fra le sue angustie ed afflizioni, [ma]
veniva poi consolato dal suo Gesù e dalla divina Madre. Non duravano molto
le sue angustie, benché alle volte si raddoppiassero perché non solo soffriva
lui, ma anche la sua Sposa si trovava in pena, e ciò era quando il Redentore
si mostrava con volto serio anche alla divina Madre per farla patire e meritare,
e teneva a Lei celata la causa delle sue angustie. La santa Madre veniva
allora a soffrire un grande martirio nel suo cuore.
Il nostro Giuseppe soffriva doppia pena nel vedere il Figlio mesto,
serio e angustiato e la Madre travagliata. Allora sì che il nostro Giuseppe
non sapeva che cosa fare, perché Gesù si ritirava a pregare il Padre, e la sua
Sposa era afflitta e angustiata. Egli allora andava nella sua stanza del lavoro,
e qui prostrato in terra piangeva amaramente, ma ricordava le parole che gli
aveva dette la sua Sposa. Così orientava le sue lacrime nel piangere le molte
offese che riceveva il divin Padre e si sfogava in caldi sospiri, supplicando la
divina clemenza di volere perdonare ai peccatori; e poi Lo pregava di volere
consolare la divina Madre e [anche] lui, con fare loro di nuovo vedere il volto
di Gesù rasserenato. Quante cose diceva al suo Dio, confidenzialmente, il
nostro Giuseppe, mostrandosi in tutto rassegnato e pronto a soffrire quella
pena per quanto tempo fosse piaciuto alla sua divina volontà! Poi tornava
dalla sua Sposa e, vedendola ancora mesta e addolorata, procurava di consolarla,
quantunque egli [pure] avesse bisogno di essere consolato.
Trovandola tanto uniformata alla volontà del suo Dio, restava sempre
più edificato ed ammirato delle sue virtù, procurando di imitarla in tutto
come Sposo amante e fedele.
Dopo che il divin Figlio aveva veduto come la santa Madre e san
Giuseppe avevano praticati gli atti di virtù e che si erano in tutto uniformati
ed arricchiti di meriti, si faceva vedere ad essi con volto sereno ed affabile, e
tutto amoroso parlava loro, e li animava alla sofferenza. Allora si rallegravano
i cuori della santa Madre e di san Giuseppe, e si riempivano di giubilo,
restando tutti consolati.
Davano lodi e ringraziamenti al divin Padre, ed il nostro Giuseppe,
come capo di famiglia, parlava al suo Gesù confidenzialmente e gli diceva:
«O mio caro ed amato Figlio! In quanta angustia si è trovato il mio cuore e
quello della mia Sposa, nel vedervi con volto mesto ed angustiato e dolente!

Non prova il mio cuore maggior pena di quando vede Voi in afflizioni. Allora
sì che il mio dolore è inenarrabile e non so come io possa vivere in tale
dolore!». Il suo Gesù lo mirava con volto ridente, lo compativa e gli diceva
che di ciò non doveva soverchiamente angustiarsi, anzi, che doveva rendere
grazie al divin Padre che ciò voleva, per maggiormente arricchirlo di meriti e
per tenerlo esercitato negli atti di virtù.
Udiva ciò il Santo con grande sottomissione, e si stampava nella
mente e nel cuore le divine parole, per poi metterle in pratica alle occasioni
che gli si sarebbero di nuovo presentate.
A volte poi per provare il Santo in più modi, l’amato Gesù si faceva
vedere tutto amabile e amoroso, ma con un più chiaro segno della maestà e
divinità che in Lui si trovava. E di fatto il suo aspetto allettava per
l’amabilità, ed atterriva per la maestà.
Allora il nostro Giuseppe si sentiva ferire il cuore con un potente
dardo, e tutto acceso d’amore verso il suo amato Gesù, e attirato dalla sua
grazia e bellezza, voleva appressarsi a Lui, ma si vedeva atterrito dalla sua
maestà; così non ardiva appressarsi e parlargli, sicché soffriva, né sapeva
come fare e languiva d’amore.
Aveva vicino l’Amato e non poteva saziare le sue brame, nemmeno
con il rimirarlo, perché la maestà l’atterriva. Allora si prostrava col volto al
suolo, ed adorava la maestà del suo Dio Umanata, né si alzava sin tanto
che da lui non era rialzato ed invitato a farlo, e poteva fare senza timore,
perché [Gesù] avrebbe nascosto i chiari segni della divinità.
Così il suo Giuseppe poteva dare adito all’amore e saziarsi nel rimirare
l’Oggetto l’amato, e parlargli confidenzialmente, e narrargli quanto
l’amava e quanto godeva della Sua amabilissima presenza.
In vari modi il divin Redentore provava il suo fedelissimo Giuseppe,
e ciò faceva non perché non lo sapesse era fedelissimo in tutto, ma per dargli
motivi di acquistare meriti e di praticare gli atti di virtù, stando in tutto rassegnato
ed umile, e non perdendo mai la sua invitta pazienza, né mai lamentandosi
di quanto gli accadeva, e dando sempre la colpa a se stesso di tutte le
cose, dicendo che tutto succedeva per la sua indegnità. Si riconosceva sempre
meritevole di molti castighi, e perciò quanto gli capitava il contrario, diceva,
che era poco [a confronto] del suo demerito.
Il nostro Giuseppe in qualsivoglia modo venisse travagliato – o dalle
creature, o dalla furia dei nemici infernali che istigavano molti contro di lui,
oppure dallo stesso suo Gesù, che voleva tenerlo esercitato nel soffrire -,
praticò sempre gli atti di tutte le virtù in grado eminente e procurò di imitare
quei grandi esemplari, che Dio gli diede in custodia.

image_pdfimage_print