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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (2) Capitolo II – San Giuseppe e la sua Santissima Sposa trovarono il divino Fanciullo nel Tempio, in mezzo ai Dottori, che disputava; l’allegrezza che perciò sentirono e il ritorno a Nazaret

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Libro IV – (2) Capitolo II – San Giuseppe e la sua Santissima Sposa trovarono il divino Fanciullo nel Tempio, in mezzo ai Dottori, che disputava; l’allegrezza che perciò sentirono e il ritorno a Nazaret

Arrivarono al Tempio la divina Madre e san Giuseppe, tutti bramosi
di ritrovare là l’amato loro Gesù: entrarono e videro quell’unico tesoro da
essi tanto cercato e bramato. Lo videro in mezzo ai Dottori della Legge, che,
con tanto spirito, sapienza e grazia, disputava. Si fermarono in silenzio
anch’essi ad ascoltarlo. La gioia e consolazione dei loro cuori fu tale che
raddolcì loro tutta l’amarezza che per l’addietro avevano provato.
Poco mancò che il nostro Giuseppe non svenisse per la pienezza della
contentezza che sperimentò alla vista dell’amato suo Gesù; ed incominciò
a lodare e ringraziare il suo Dio che si fosse degnato consolarlo, facendogli
ritrovare quel bene che senza sua colpa aveva perduto.
Come rivisse allora il suo spirito! Ben più di quello che sperimentò il
patriarca Giacobbe quando ebbe l’avviso che il suo amato figlio Giuseppe
viveva ed era vice Re nell’Egitto!
Non è così facile narrare il giubilo che sentì il nostro Giuseppe alla
vista dell’amato suo Gesù ed all’udire la sua divina sapienza. Osservava come
tutti i Dottori ivi radunati e tutti i Ministri del Tempio lo stavano ad
ascoltare con stupore, e come erano tutti meravigliati della sapienza e grazia
del divino Fanciullo; e di ciò ne intese un godimento inesplicabile, dicendo
fra sé: «Ecco che il mio Gesù sarà conosciuto e ricevuto per vero
Messia, come è! E come potranno fare a meno di non dargli affetto, se con
tanta sapienza e grazia spiega loro le Scritture e fa loro conoscere che il
Messia è già venuto al mondo?! E come potranno non capire che Lui è il vero
Messia promesso nella Legge, se in così tenera età è arricchito di ammirabile
sapienza e di tanta grazia e virtù? Sì, sì, lo spero [proprio]: resteranno
illuminati dalla Sua sapienza divina ed il mio Gesù sarà da tutti ricevuto per
vero Messia!». Ciò diceva il nostro Giuseppe dentro di sé per il desiderio che
aveva che tutti riconoscessero il beneficio grande che Dio aveva fatto al
mondo, e gliene fossero grati.
Ma questo suo desiderio non restò appagato, perché la durezza del
cuore era troppo grande e le divine parole facevano poca impressione nei loro
duri cuori, essendo ancora pieni di superbia e di ambizione. Non mancò il
nostro Dio di illuminarli e fare loro conoscere la verità, ma ciò non fece il
suo effetto per loro colpa.
Terminata la disputa fu da tutti acclamato il Fanciullo, il quale si avviò
subito verso la sua divina Madre che, tutta amorosa, lo aspettava, dicendogli:
«Figlio, perché ci avete fatto questo? Il vostro padre ed io, dolenti, Vi
abbiamo tanto cercato!».
Rispose con maestà il divino Fanciullo, quasi riprendendoli, [perché
mai] si fossero tanto affaticati nel cercarlo.
Taceva il nostro Giuseppe, e per la consolazione che provava non
parlava, contento di avere ritrovato la sua consolazione, e non si saziava di
mirarlo con grande amore e con lacrime di giubilo,
Molti di quelli che si trovarono al Tempio ad udirlo, si congratulavano
con la divina Madre e con Giuseppe di un Figlio tale: tutti dicevano
[loro] di tener conto che doveva essere un grande Uomo, ed anche un profeta.
Ci furono molti che chiamarono la divina Madre beata per avere partorito
un Figlio tale; dicevano lo stesso anche a Giuseppe, chiamandolo fortunato
e degno di essere santamente invidiato. Di tutto ciò il nostro Giuseppe dava
lode a Dio, e fra tante acclamazioni si umiliava, riconoscendo il suo nulla
e dando a Dio tutta la gloria,
Adorato e lodato insieme il divin Padre, uscirono dal Tempio. Da
tutti quelli che incontravano ricevevano congratulazioni per avere un Figlio
tale, e ciò serviva al nostro Giuseppe per sempre più umiliarsi e riconoscere
la sua indegnità. Tale egli si conosceva, cioè indegnissimo di tante grazie
che il suo Dio gli compartiva, ma specialmente di averlo eletto per custode
del Verbo Incarnato. Si partirono poi da Gerusalemme per tornare a Nazaret,
tenendo il loro amato Gesù fra di loro. Il nostro Giuseppe andava con timore
che il suo Gesù si allontanasse di nuovo da essi e perciò Lo mirava sempre,
con grande cura.
Ma il divino Fanciullo, con un discorso che fece loro durante il viaggio,
assicurò che non li avrebbe più lasciati; e il nostro Giuseppe, ne intese
una grande consolazione.

In questo viaggio, più che in ogni altro che fatto avevano, Maria e
Giuseppe furono spettatori di grande meraviglie, perché sempre furono accompagnati
dagli armoniosi canti degli uccelli che, a schiere a schiere, correvano
a fare ossequio al loro Creatore. Anche le bestie più selvagge e feroci
venivano ad inchinarsi; gli alberi tutti si chinavano al passare del loro Creatore,
la campagna si vedeva tutta brillante e festosa, il cielo sereno e tranquillo,
il sole più che mai risplendente. I canti angelici furono più volte uditi dal
nostro Giuseppe in questo viaggio.
Cantò anche la divina Madre, dolcemente, cantici di lode a Dio per
avere ritrovato l’amato suo Figlio; e fra tanta consolazione, festa e giubilo, il
nostro Giuseppe, ringraziava il suo Dio per tutta la pena ed amarezza sofferta,
perché gli aveva meritato tanta consolazione, tanta gioia ed allegrezza.
Così questo viaggio fu fatto tra le consolazioni, feste e giubili, e si ritrovarono
in patria senza che neppure se ne avvedessero, non sentendo noia né stanchezza
nel cammino, ma consolazione, giubilo ed allegrezza.
E il nostro Giuseppe andava ripetendo le parole del Re David, cioè:
Secundum multitudinem dolorum meorum in corde meo, consolationes tuae
laetificaverunt animarti meam.
Arrivati pertanto a Nazareth con il loro amato Gesù, nell’entrare in
città ricevettero delle congratulazioni dalle vicine e da quelli che sapevano
della perdita, che avevano fatta, del loro amato Figlio, il quale da tutti veniva
lodato per le sue rare bellezze, per le mirabili qualità, per la maestà e grazia
del suo nobilissimo aspetto. Ma fra tanta consolazione non mancò al nostro
Giuseppe qualche amarezza, perché vi fu chi, su istigazione del demonio, si
rallegrò della perdita del divino Fanciullo, e vedendolo ritrovato, mostrò
grande dispiacere.
Di questo venne a conoscenza il nostro Giuseppe, che ne intese non
poca amarezza, benché in tale occasione fece spiccare le sue rare virtù, non
solo mostrandosi amoroso e cordiale con chi gli si mostrava turbato e irritato
per la sorte avuta – di avere ritrovato il suo Gesù -, ma di più, porgendo calde
suppliche al divin Padre perché perdonasse loro e li illuminasse, per poter
riconoscere l’istigazione dei nemici infernali. Difatti Dio non tralasciò di
esaudirlo, conformemente al suo desiderio e alle sue domande, perché in
breve si videro mutati quelli che avevano inteso dispiacere per il ritrovamento
del divino Fanciullo, e tutti allegri andavano da Giuseppe per congratularsi
con lui.
Godeva molto di ciò il Santo e rendeva affettuose grazie al suo Dio,
che si degnava di udire ed esaudire le sue preghiere; quando questi andavano
a congratularsi con lui, perché aveva ritrovato il suo amato Figlio, li accoglieva
con molta cortesia e rendeva loro affettuose grazie, senza dare loro
segno alcuno del dispiacere per quello che gli avevano fatto; così quelli
restavano ammirati delle virtù del Santo e gli restavano molto affezionati e
così restava sempre più confuso il nemico infernale.
Gli domandavano anche il permesso – se egli lo gradiva – di venire
spesso nella sua bottega per poter vedere il suo caro Figlio, perché dalla sua
vista restavano molto consolati.
Ed il Santo, tutto cortese e benigno, rispondeva loro che venissero
pure, perché egli bramava che ognuno fosse partecipe di quella consolazione
che godeva lui alla presenza del suo Gesù, unico ed amabile oggetto del suo
amore. E difatti vi andavano per consolarsi alla vista del divino Fanciullo, e
senza che essi se ne avvedessero, ricevevano da Gesù molte grazie, che meritava
loro dal suo divin Padre.
A volte poi si ponevano a discorrere con Giuseppe e gli dicevano
che era veramente fortunato nell’avere conseguito una Sposa così degna ed
ornata di tanta grazia, sapienza e bellezza, e di avere un figlio tale che rapiva
il cuore di chi lo mirava.
A queste parole il fortunato Giuseppe rispondeva con le lacrime, che
versava per tenerezza e per consolazione; e dopo diceva loro: «Io veramente
sono indegno di tanto bene, né mai l’avrei potuto meritare! Perciò aiutatemi
a rendere grazie al nostro Dio, per tanto bene che mi ha fatto! Che io gli corrisponda
con una fedelissima servitù, e con l’osservanza esatta della sua
Legge». Quelli restavano ammirati dell’umiltà del Santo, e molto più si meravigliavano
che mai l’udivano dire alcuna parola di lamento, né per la sua
povertà, né per gli affronti che aveva ricevuto dai suoi congiunti, che
l’avevano spogliato di tutti i beni temporali.
Non mancarono di quelli che l’esortarono a richiedere la roba che gli
era stata tolta ingiustamente, perché con facilità la poteva riavere; ma il Santo
rispondeva che lui viveva contento nella sua povertà e che gli bastava ciò
che aveva, e si contentava di quanto Dio gli aveva dato, cioè di una Sposa
santa e di un Figlio tale quale già essi vedevano. Diceva: «Con essi io sono
ricco abbastanza e non ho da desiderare altro».
Altre volte rispondeva che Dio era la sua porzione: «Portio mea,
Domine – diceva – e questo mi basta». Restavano molto edificati, benché
non vi mancò chi imputasse ciò a viltà e pazzia, perché avrebbe potuto vivere
comodamente senza faticare.
Ma il Santo di ciò non si offendeva, rispondendo a costoro con tutta
grazia, e diceva che faticava volentieri e si riteneva felice di poter mantenere
la sua Sposa ed il suo figlio con le sue fatiche. E così tutti si quietavano, ed il
nostro Giuseppe se ne restava contento con la sua quiete.

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