Home

La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro IV – (1) Capitolo I – Dolore che soffrì san Giuseppe per lo smarrimento di Gesù; e come si comportò in quei tre giorni che Gesù si trattenne nel TEMPIO

Salva in Preferiti / Segnalibro
ClosePlease loginn

Non ancora registrato? Fallo ora!

Libro IV – (1) Capitolo I – Dolore che soffrì san Giuseppe per lo smarrimento di Gesù; e come si comportò in quei tre giorni che Gesù si trattenne nel TEMPIO

20 OTTOBRE 1736
LIBRO QUARTO

Già si è narrato nel capitolo antecedente quanto fosse esatto il nostro
Giuseppe nell’osservare la Legge data da Dio a Mosè, e come andava ogni
anno, per la solennità della Pasqua, al Tempio di Gerusalemme. Avendo
dunque il divino Fanciullo compiuto dodici anni, volle che si rivelasse vero
Figlio di Dio e di Messia promesso nella Legge, facendo conoscere ai farisei
e scribi e dottori della Legge la sua divina sapienza, perché conoscessero
chiaramente chi Egli fosse.
Il nostro Giuseppe andò dunque al Tempio con la sua Santa Sposa e
il divino Fanciullo. Andava il nostro Giuseppe tutto lieto e contento per i
grandi personaggi che conduceva con sé, cioè Gesù e Maria.
Questo viaggio fu fatto con una consolazione straordinaria del nostro
Giuseppe, sia per le parole che il Redentore gli diceva durante il cammino,
sia per l’acclamazione che udiva da tutti quelli che rincontravano. Era in verità
una cosa assai mirabile vedere la grazia, la bellezza e la maestà del divino
Fanciullo, che portava a tutti stupore ed ammirazione, ed insieme consolazione.
Chiamavano mille volte felice e fortunato Giuseppe tutti quelli che
l’incontrarono, per avere avuta una tale prole. Alcuni si fermavano appositamente
a parlargli, per poter avere la fortuna di ammirare il bellissimo ed
amabilissimo Gesù, ed il nostro Giuseppe godeva molto di quanto gli veniva
detto a lode del suo Gesù.
Lo guardava poi come si suole guardare un ricco e prezioso tesoro,
benché non cessasse però di soffrire anche delle amarezze, al vederlo andare
a piedi. Temeva che il suo Gesù patisse per il viaggio, e perciò si struggeva il
cuore amoroso del Santo, e tanto più quando pensava alla sua delicatissima e
gentilissima umanità; infatti, sentiva che durante il viaggio più d’uno ammirava
la gentilezza e la nobiltà del divino Fanciullo, che pareva nato di stirpe
più che regale. Non mancarono però quelli che biasimavano il nostro Giuseppe
per la poca carità e amore che mostrava verso il suo figlio, permettendo
che andasse a piedi un figlio di tanta gentilezza.
Ferivano il cuore del Santo queste parole, ma non per questo si turbava
o inquietava, ma si umiliava, si confondeva e taceva; e rivolto al divin
Padre gli diceva: «O Dio e Padre del mio Gesù! Voi ben sapete il mio desiderio,
e quanto onore vorrei fare al nostro divin Figlio! Ma la Vostra divina
disposizione è quella che il mio Gesù patisca; così io non so che fare, solo
che adempire i Vostri ordini divini e tacere. Penserete Voi, poi, a fare che il
nostro Gesù sia onorato ed esaltato, e che la sua santissima Umanità non soffra
tanti patimenti». Sentiva anche una consolazione più grande del solito in
quell’andare al Tempio, ma non capiva il Santo per quale motivo il suo Dio
lo tenesse più del solito consolato: infatti, non sapeva il grande travaglio che
gli stava preparato nella perdita del suo amatissimo Gesù, perdita che sarebbe
durata per tre giorni continui.
Arrivati a Gerusalemme andarono subito al Tempio, dove vi erano
molte persone per la solennità. Fu da tutti ammirata con stupore la maestà,
bellezza e grazia del divino Fanciullo, la modestia e gravità, invidiando tutti
la sorte felice di Maria e di Giuseppe che avevano un figlio tale.
Fece in questa visita del Tempio più spicco che mai il divino Fanciullo,
perché andava crescendo, e cresceva anche in bellezza, maestà, sapienza
e grazia, di modo che il nostro Giuseppe ne sentiva un sommo
compiacimento. Il nostro Giuseppe rendeva grazie al divin Padre per tanti
favori e benefici che si degnava concedergli.
Già si è detto come il nostro Giuseppe, quando si trovava nel Tempio,
godeva più che mai dei divini favori; ora molto più in abbondanza ne
godeva, quando vi era anche il suo Gesù. Mentre si tratteneva il divino Fanciullo
nel Tempio, trattando con il suo Padre celeste, vi si trattenne anche la
divina Madre, facendo compagnia al suo Gesù negli atti interni; ed il nostro
Giuseppe ebbe ivi una sublimissima estasi e intese che gli stava preparato un
grande travaglio, e così in mezzo alle più sublimi consolazioni del suo spirito
venne anche ad essere amareggiato.
Non gli fu però rivelato quale fosse il travaglio che doveva soffrire,
perciò il Santo si umiliò, e tutto uniformato alla divina volontà si mostrò
prontissimo a soffrire tutto, dicendo: «Eccomi pronto, o mio Dio: fate di me
ciò che piace alla divina Maestà Vostra! Tutto soffrirò volentieri per vostro
amore, ed avendo con me il mio Gesù, non vi sarà cosa che possa soverchiamente
affliggermi, perché il solo amatissimo suo aspetto, mi consola e
rallegra totalmente». Non pensava proprio il nostro Giuseppe che di Colui,
appunto, che tutto lo consolava e rallegrava, doveva restare privo; e che così
il suo travaglio doveva essere puro, senza consolazione. Terminata la visita
al Tempio, trovarono un luogo dove potersi riposare e ristorare alquanto,
trattenendosi sempre in sacri colloqui. Non manifestò il nostro Giuseppe cosa
alcuna alla divina Madre di quello che gli era capitato, come era solito,
ma tenne nel suo cuore le afflizioni.
Fatte di nuovo le visite al Tempio, partirono per tornarsene a Nazaret,
loro patria: la divina Madre era in compagnia di alcune donne devote e
il nostro Giuseppe con altri uomini, suoi amici. Per tutto il viaggio discorrevano
delle rare qualità del loro bellissimo Gesù, la santa Madre con le devote
donne e Giuseppe con quelli che gli si erano accompagnati.
La divina Madre credeva che Gesù fosse con Giuseppe e Giuseppe
credeva che fosse con la divina Madre, perciò non fu da loro cercato, benché
ognuno di loro avesse un cuore bramoso di avere con sé il caro Figlio; ma
poiché ne discorrevano e ne sentivano dire tante lodi, i loro cuori si consolavano
con questo, bramando però di presto rivederlo, ed udire le sue divine
parole, che riempivano la loro anima.
Arrivato prima Giuseppe all’albergo, si mise con desiderio ad aspettare
la divina Madre e il suo amato Gesù. Giunse la santa Madre e domandò
a Giuseppe dove fosse il caro suo Figlio. E contemporaneamente Giuseppe
domandò dove fosse il suo caro Gesù. E restarono feriti dal dolore i loro cuori,
al non vedere l’amato Gesù. Scopersero come ognuno di loro credeva che
fosse in compagnia dell’altro, cioè Giuseppe credeva [Gesù] con la Madre e
la Madre lo credeva con Giuseppe!
Quale fosse il dolore di quei due cuori amanti nel vedersi privi del
loro amato tesoro, non vi è lingua che sia sufficiente a manifestarlo. E specialmente
soffriva la Santissima Vergine, assai più di Giuseppe addolorata:
con tutto ciò fu più generosa nella sua pena, non patendo mai alcuno svenimento,
come lo patì [invece] il nostro Giuseppe.
Domandarono a tutti quelli che erano tornati da Gerusalemme se
avevano veduto il loro Figlio, ma non trovarono chi gliene desse notizia; e
così si accrebbe il loro dolore.
Spasimava il cuore di Maria, e spasimava il cuore di Giuseppe; non
trovavano riposo né quiete. Passarono tutta la notte in lacrime e sospiri,
chiamando nel più intimo del cuore il loro amato Gesù.
Era trafitto da doppio dolore il nostro Giuseppe al vedere l’angustia
della divina Madre, e bramava consolarla, e non sapeva come. Le diceva che
facilmente, la mattina seguente, sarebbe venuto il loro caro Gesù!
Ma ciò non era sufficiente a quietare il cuore amante, il quale solo la
presenza dell’oggetto amato lo poteva consolare. Anche alla divina Madre si
accresceva il dolore e l’affanno, quando vedeva che Giuseppe per l’acerbità
del suo dolore sveniva e pativa grandi accidenti. Così, [pur] essendo tanto
afflitta, le conveniva consolare l’afflittissimo suo Sposo. Tornava ai propri
sensi l’afflitto Giuseppe, e subito guardava se era tornato il suo Gesù; e non
vedendolo, si metteva a piangere e con affetto lo chiamava: «O mio Gesù!
Dove siete? – diceva – Dove vi siete nascosto?! Sono stato io la causa del
vostro allontanamento da noi! Le mie incorrispondenze, le mie ingratitudini
vi hanno fatto allontanare! Ma vi prego di tornare perché, se non lo merito
io, lo merita la vostra Santissima Madre! Muovetevi a pietà di questa colomba
innocentissima! Per l’amore che a questa avete sempre portato, vi prego
di perdonare quello che di male e disgustoso che avete trovato in me, per il
quale Voi vi siete allontanato».
In quanti modi il nostro Giuseppe richiamasse l’amato Gesù, non è
facile narrarlo! Con quanto amore e con quanto ardore aspettava il suo ritorno!
Ma non vedendolo tornare, non poteva soffrire ulteriormente il suo cuore.
Così la mattina, appena giorno, partirono verso Gerusalemme, andando in
cerca del loro amatissimo Gesù.
Quanti sospiri, quante lacrime spargeva in quel viaggio! Che se
nell’andare a Gerusalemme con il suo Gesù vi provò una consolazione
straordinaria, nel tornarvi senza il suo Gesù vi provò una pena straordinaria
ed un angustia più che grande del suo afflitto cuore.
Arrivati a Gerusalemme si misero subito in cerca del loro amato Gesù,
andando da per tutto, domandando se l’avessero veduto. Andavano dagli
amici e da altri, fra i quali avevano qualche parentela; ma Dio dispose che
non vi fosse alcuno di questi che potesse dargliene chiara notizia. Andarono
anche al Tempio, ma fu nel tempo in cui il divino Fanciullo era uscito per
andare in cerca di qualche cosa [datagli in] elemosina per cibarsene.
Lì al Tempio piangevano e sospiravano, e non domandarono a nessuno
dei Ministri se l’avessero veduto; e così afflitti partirono, andandolo a
cercare altrove.
Anche in questo [frangente] soffrì il nostro Giuseppe dei travagli,
perché non vi mancò chi lo trattasse da trascurato, che così poco conto avesse
di un figlio tanto caro, e ben gli stava se si era smarrito! Ferivano il cuore
del nostro Giuseppe queste parole, perché gli pareva che dicessero il vero,
imputando alla sua trascuratezza la perdita del suo amato Gesù.
Per tre giorni continui cercarono l’amato Figlio senza prendersi mai
riposo. Infine fu loro detto che era stato sentito nel Tempio discutere con gli
scribi. Non era più capace di vivere in così grande pena l’afflitto Giuseppe,
tanto era arrivato all’apice il suo dolore. Udendo la notizia si consolò alquanto,
restando però [dubbioso] fra il timore e la speranza. Subito si avviò verso
il Tempio con la divina Madre, desideroso di ritrovare là l’amato suo Gesù,
come infatti ve lo trovò. In tutto il tempo in cui il nostro Giuseppe stette privo
del suo Gesù – e furono tre giorni -, fra i suoi acerbissimi dolori non perdette
mai la pazienza, e nel colmo delle afflizioni benediceva il suo Dio, perché
si degnava e compiaceva di tenerlo in tanto grande travaglio; e internamente
praticò tutti gli atti di virtù e di rassegnazione alle divine disposizioni.

image_pdfimage_print