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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (14) Capitolo XIV – Come san Giuseppe in tutte le cose fu osservante della Legge e desiderava che tutti l’osservassero

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Libro III – (14) Capitolo XIV – Come san Giuseppe in tutte le cose fu osservante della Legge e desiderava che tutti l’osservassero

Il nostro Giuseppe era osservantissimo della Legge ed in tutta la sua
vita non trasgredì mai cosa alcuna ordinata da quella. Era attentissimo anche
nelle cose più minute. Già si è narrato in più luoghi di questa storia quanto
amasse il suo Dio con tutte le sue forze e con tutta l’anima sua, e quanto
amasse il suo prossimo, bramando a tutti ogni bene, sia spirituale, come
temporale, e come si impiegasse nel sovvenirle: lavorava e s’affaticava per
fare l’elemosina ai poveri bisognosi, privando se stesso molte volte anche
del necessario per darlo ai poveri, compassionando con grande tenerezza di
cuore la necessità altrui, ed a chi non aveva da dare elemosina, dava consolazione
con parole di compassione e di affetto. Molti, trovandosi afflitti,
ricorrevano a lui per essere consolati, e non si trovò mai alcuno che andasse
a parlargli e manifestargli le sue afflizioni che non restasse consolato. Gli
stessi persecutori, quando si trovavano in travagli, erano da lui consolati ed
incoraggiati, e spesso avveniva che poi gli restavano affezionati e gli domandavano
perdono delle ingiurie e dei cattivi termini che per l’addietro gli
avevano indirizzato.
L’amore che portava a tutte le anime dei suoi prossimi era così grande
che si struggeva per la loro eterna salvezza e con tutto se stesso
s’impegnava a porgere suppliche al suo Dio per la conversione dei peccatori.
Fu acceso di un desiderio ardentissimo che tutti conoscessero il Messia già
venuto al mondo, perché – riconoscendo il beneficio – se ne approfittassero e
ne fossero grati a Dio. Soffriva una pena indicibile nel vedere che non si capiva
che il suo Gesù era il Messia Promesso, perché il suo desiderio era che
tutti lo riconoscessero e lo ricevessero con buona volontà e dimostrazioni di
affetto; invece già conosceva che quasi a tutti rimaneva nascosto questo
grande beneficio.
Egli si affaticava a supplire per tutti, facendo a nome di tutti gli atti
di gratitudine, di ringraziamento, di amore e di stima dovuti ad un Signore
così grande.
La carità poi che usava con i moribondi, come già in più luoghi si è
narrato, era così grande che, non potendoli assistere di persona, spendeva le
notti intere in orazione, implorando per essi la divina misericordia; e quando
il Santo sapeva che l’anima dei moribondi stava in disgrazia di Dio, tanto
pregava sin che otteneva da Dio la loro salute corporale perché si convertissero
e tornassero in grazia ed amicizia di Dio. A quelle anime, poi, che stavano
in grazia, impetrava molti aiuti in quell’estremo passaggio, e Dio, in
segno di gradimento che aveva di questa sua grande carità, gli faceva conoscere
chiaramente quelle anime che erano in grazia o disgrazia sua, perché
lui con le sue preghiere impetrasse misericordia a chi era in disgrazia. Erano
così tante le lacrime, che versava per implorare la salute e conversione dei
peccatori, che bagnavano il terreno dove il Santo stava prostrato a pregare.
Non è facile narrare quanto fosse a cuore del nostro Giuseppe questo
precetto della Legge, cioè amare Iddio sopra ogni altra cosa con tutto il cuore
e con tutte le forze, ed il prossimo come se stesso, cercando sempre di
adempierlo perfettamente; così [osservava] anche tutte le altre cose ordinate
dalla Legge che Dio aveva data a Mosè, facendo tutto esattamente e puntualmente.
Andava ogni anno al Tempio per la solennità della Pasqua, per
compiere l’obbligo, e vi andava anche molte altre volte per sua devozione, e
si tratteneva in lunghe orazioni; e in queste visite si consolava molto il suo
spirito. Aveva un desiderio altissimo che tutti osservassero la Legge, e quando
vedeva che qualcuno la trasgrediva, ne soffriva una pena intollerabile, e
tanto faceva con le preghiere a Dio e con le esortazioni ai trasgressori, finché
riduceva [gli sviati] alla debita osservanza. Le sue parole avevano una grande
efficacia, che convinceva i trasgressori, e li faceva ritornare in sé, e faceva
loro capire quanto grande fosse il male nel trasgredire la Legge data da
Dio. E quando i trasgressori erano persone con le quali il nostro Giuseppe
non poteva parlare, si poneva avanti a Dio, piangendo ed impetrando loro il
lume, per poter riconoscere [da se stessi] il male che facevano, e [ricevere] la
grazia per emendarsi. Dio, non lasciava di consolarlo, perché molti si rimettevano
ad osservare esattamente la Legge, senza sapere come e di dove ciò
venisse; questa era la grazia che impetrava loro il nostro Giuseppe.
Quando poi si tratteneva a discorrere con la divina Madre e con il
suo Gesù sopra questo punto, cioè sull’osservanza esatta della Legge, ne parlava
con cuore tutto desideroso, ne sentiva una consolazione inesplicabile, e
mostrava un vivo desiderio che da tutti fosse esattamente osservata. E supplicava
il suo Gesù perché impetrasse grazia dal suo divin Padre, affinché
tutti i trasgressori della Legge si ravvedessero: E gli diceva: «O mio caro
Gesù, Voi potete, se volete, impetrare e lumi e grazia a tutti». E poi, rivolto
alla sua Santa Sposa, le diceva: «E voi, Sposa carissima, osservate, vi prego,
tutte le mie opere e tutte le mie azioni; e se mai scorgeste in me qualche trasgressione,
avvisatemi e correggetemi, ve ne prego, per l’amore che portate
al nostro Dio, poiché intendo e voglio osservare la divina Legge esattamente
in tutto e per tutto».
Spesso meditava quelle parole, cioè [il precetto] di amare il prossimo
suo come se stesso, e rifletteva sul grande bene che da Dio aveva ricevuto, le
molte grazie e favori che gli aveva partecipato e sulla consolazione che ne
sentiva; e diceva a se stesso: «È piaciuto a te, Giuseppe, che Dio ti si sia dimostrato
tanto benefico, tanto cortese, tanto amoroso e tanto liberale! Dunque,
quello che è piaciuto a te devi desiderare che sia fatto ad altri!». Di qui
avveniva che il Santo bramava tanto che tutte le creature godessero di quel
bene che godeva Lui, cioè che tutti riconoscessero il suo Gesù per vero Figlio
di Dio e Messia promesso nella Legge, perché – diceva – «se sarà conosciuto,
sarà anche amato; e se sarà amato, quanti favori, quante grazie riceveranno
da un Dio così buono, e così liberale e benigno! Come saranno tutte le
anime consolate e santificate da questo grande Figlio di Dio!».
Quando poi sapeva che qualche persona era in travagli ed afflizioni,
faceva tutto il possibile per consolarla, e pensava che, come piaceva a lui di
essere consolato nelle sue angustie, così doveva cercare di consolare il suo
prossimo afflitto. E poiché il Santo, come si è detto, era esattissimo
nell’osservare la Legge, i due principali comandamenti furono da lui tenuti
sempre fissi nella mente, e, secondo quelli, regolava tutte le sue opere, cioè,
amare Dio sopra ogni cosa ed il prossimo come se stesso.

Avanzò ancora più il nostro Giuseppe. E quantunque non avesse inteso
ancora i consigli evangelici dal suo Redentore, con tutto ciò li praticò
esattamente, specialmente dopo la natività di Gesù Cristo. Osservava minutamente
tutti i comportamenti di Gesù per imitarlo e poiché gli era stato insegnato
che il Redentore doveva essere l’esemplare di vita per tutti i suoi seguaci,
egli – quantunque non arrivasse a udire la sua predicazione e a vedere
i suoi patimenti e la vita stentata che in quel tempo avrebbe condotto -, con
tutto ciò si studiò di imitarLo in tutto quello che capiva allora.
E fu il primo, dopo la divina Madre, che meglio di ogni altro lo imitasse,
soffrendo tanta povertà, tanti patimenti, tante persecuzioni, tante calunnie,
tanti travagli, con tale pazienza, con tale generosità, con tale rassegnazione
che non è così facile narrarlo.
Le virtù proprie di Gesù Cristo, poi, il nostro Giuseppe le praticò e le
ricopiò in sé tanto altamente che pareva si fosse rivestito dello Spirito del
suo Salvatore.
Era tanto umile e mansueto che mai fu veduto adirato, mai cadde
nella sua mente un pensiero di vendetta e di superbia; sempre affabile,
sempre mansueto, sempre umile, sempre uniformato alla divina volontà.
Chi potrà mai comprendere quanto eccellente fosse in lui la bella virtù
della purezza e quanto studio vi pose, nel conservare illibato il suo candore?!
Il demonio stesso non ebbe mai ardimento di molestarlo su questo punto,
non permettendo Dio che lo Sposo purissimo della divina Madre fosse
mai molestato, né contaminato dalle sordide diaboliche suggestioni. Infatti, il
nostro Giuseppe fu un vivo ritratto delle virtù della sua santissima Sposa
Maria, ed anche delle virtù del Redentore, e per tutto il tempo che visse con
essi procurò di imitarli con tutta perfezione. Vi pose tutto il suo impegno e vi
riuscì eccellentemente, perciò si rese talmente gradito ed accetto a Dio che
era dal Medesimo favorito ed arricchito sempre di nuove grazie e favori: e
non domandava mai grazia che non fosse esaudito.
Giuseppe fu amato molto dalla sua purissima sposa Maria Santissima,
per le sue mirabili virtù e prerogative, in modo che dopo Dio e
l’Unigenito suo Figlio, Giuseppe fu da lei più d’ogni altro amato e favorito,
perché ella ben conosceva quanto grande fosse il merito del suo purissimo
Sposo, e quanto gradito ed accetto fosse al suo Dio, il quale glielo aveva assegnato
per suo custode e Sposo purissimo. Perciò ella l’amò come tale e
come la più pura e santa creatura che fosse al mondo, perché infatti tale era il
nostro fortunato Giuseppe.
La santa Madre ne parlava spesso con il suo Gesù e lo ringraziava
delle molte grazie e favori che si degnava concedere alla purissima anima di
lui, la quale lei vedeva in spirito: era tanto bella e tanto arricchita di meriti
che se ne rallegrava molto e ne sentiva grande piacere, ed anche per questo
aveva di lui una grande stima e lo trattava con tanta riverenza e con tanto
amore e cordialità. Godeva di trattenersi con lui in sacri colloqui, perché con
più chiarezza Dio le faceva vedere la bellezza e ricchezza deH’anima sua, e
le molte grazie di cui lo ricolmando.
Anche il nostro Giuseppe conosceva in qualche modo il merito
grande della sua purissima e Santissima Sposa, la sublimità dello stato a cui
Dio l’aveva eletta ed innalzata, e capiva con molta chiarezza la pienezza della
grazia che si trovava nella sua anima santissima. Quando il Santo si tratteneva
in sacri colloqui, Dio molto spesso lo favoriva facendogli vedere chiarissimi
raggi che uscivano dal volto maestoso [di Maria Santissima].
In tali occasioni il Santo si sentiva riempire l’anima di consolazione
e di giubilo, e anche capiva quanto ricca di grazie e di meriti era la sua divina
Sposa, e diceva fra di sé: «Se tanto bella e luminosa appare al di fuori,
quale sarà la sua bellezza interna! Io non sono degno di starle davanti, né
di trattare con lei ed avere la sorte di essere suo custode e Sposo!».
E qui si confondeva e si umiliava molto davanti a lei, e rivolto al suo
Dio gli rendeva affettuosissime grazie di tanto favore che gli aveva fatto.
Maria era da Giuseppe amata conforme al comandamento della
Legge, e con un amore più cordiale ed intenso, e, dopo Dio, lei fu l’oggetto
al quale il nostro Giuseppe teneva fisso tutto il suo affetto, amandola in Dio
e per Dio, amando quelle virtù che in lei il nostro Dio aveva posto, amandola
come la più bella, la più nobile, la più perfetta e la più degna opera che fosse
uscita dalle mani del nostro Dio. E come tale la guardava e in lei contemplava
l’opera mirabile dell’onnipotenza di Dio. Crebbero in lui l’amore, la stima
e la venerazione verso di lei, quando fu consapevole della sua somma dignità
di Madre di Dio, e che aveva concepito, nel di lei purissimo seno, il Figlio di
Dio per opera dello Spirito Santo.
Chi potrà mai narrare il concetto e la stima che aveva allora il nostro
Giuseppe della sua Santissima Sposa?! Come la rimirasse, a guisa di un tesoro
colma della pienezza di tutte le grazie e quanto le si dimostrasse affezionato,
obbligato, umile e riverente?! Con quale affetto lavorava per procurarle
il vitto! Che desiderio aveva di servirla! E voleva essere suo servo il nostro
Giuseppe, ma ella – che sapeva con quanta esattezza egli osservava tutti i
minimi ordini della Legge – gli suggeriva, spesse volte, che la Legge non ordinava
che lo Sposo fosse soggetto a servire alla Sposa, e che doveva tenere
il suo grado di capo e non farsi servo.
Allora il nostro Giuseppe chinava la testa, e come sentiva nominare
gli ordini della Legge, non rispondeva più cosa alcuna, ma ad essa umilmente
si assoggettava, con molto gusto dell’anima sua, perché pensava che era
quello che Dio voleva da lui, e che nella Legge stessa gli ordinava e comandava.
Il nostro Giuseppe fu grato a Dio per la Legge che aveva dato a Mosè,
e lo ringraziava spesso che l’aveva fatto nascere in quella Nazione, dove
si conosceva e si adorava il vero Dio; e parlava spesso alla sua Sposa di
questo beneficio particolare.
Pensava il Santo a tante Nazioni infedeli e pagane, e si struggeva per
la compassione che ne aveva; e poi, considerando la sua felice sorte, diceva
al suo Dio: «O mio Dio, infinitamente amabile e misericordioso! E che mai
ho fatto io più di tanti pagani, da farmi una grazia così grande, di farmi nascere
nella nazione ebrea e nel vostro popolo eletto dove si osserva la vostra
Legge! Quanto Vi sono obbligato anche per questo grande beneficio! Quanto
sono stato da voi favorito! Quante grazie vi siete degnato di fare all’infimo
dei vostri servi! Io vi ringrazio e professo le mie obbligazioni innumerabili.
Eccomi tutto vostro: poiché altro non ho, Vi dono tutto me stesso, pronto ad
osservare esattamente la vostra santa Legge».

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