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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (13) Capitolo XIII – Il primo lavoro che fece il Fanciullo Gesù: una piccola croce; E LE ANGUSTIE SOFFERTE DA SAN GIUSEPPE IN TALE OCCASIONE

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Libro III – (13) Capitolo XIII – Il primo lavoro che fece il Fanciullo Gesù: una piccola croce; E LE ANGUSTIE SOFFERTE DA SAN GIUSEPPE IN TALE OCCASIONE

Il divino Fanciullo stava già [da qualche tempo] in bottega con il suo
Giuseppe aiutandolo nel suo lavoro, quando un giorno, mentre il Santo stava
lavorando tutto estatico e ripieno della divina consolazione, si pose a lavorare
[da solo]. Non se ne accorse sul principio il nostro Giuseppe ma, tutto assorto
in Dio, attendeva al suo lavoro. Intanto il divino Fanciullo lavorò una
piccola croce. Quando stava per terminarla il nostro Giuseppe si avvide che
il suo Gesù lavorava e si pose tutto attento a guardarlo. Osservò che il divino
Fanciullo lavorava ora lieto, ora mesto ed ora sospirando, secondo gli atti interni
che faceva con il suo divin Padre. Si sentì il nostro Giuseppe riempire
l’anima di tristezza nel sentire sospirare il Redentore, e molto più si afflisse
quando si avvide che il suo Gesù aveva lavorata quella piccola croce, essendo
il suo cuore presago di quello che in futuro doveva seguire, cioè che il
suo Gesù sarebbe stato crocifisso. Ne ebbe un chiarissimo lume dal divin
Padre, perciò, in mezzo a tanta consolazione, si riempì il suo cuore di una
grandissima afflizione e fu penetrato da acutissimo dolore.
Intanto terminò il suo primo lavoro il divino Fanciullo, e poi, rivolto
al suo Giuseppe, che attentamente lo stava guardando, gli disse: «Mio carissimo
padre! Ecco lo strumento dove si compirà l’opera dell’umana Redenzione».

E ciò gli disse con allegrezza e con desiderio che presto arrivasse il
tempo tanto da Lui bramato. Venne meno il nostro Giuseppe all’udire queste
parole, e se non fosse stato sostenuto dalla grazia, sarebbe restato morto per
il grave dolore. Non potè dire [altro] che: «Oh, mio caro Gesù!!!». Si ammutolì
il Santo, versando copiosissime lacrime, ma il suo Gesù lo confortò, dicendogli
che si doveva adempire la volontà del divin Padre; così si uniformò
il nostro Giuseppe, ma non gli si tolse la pena dal cuore.
Intanto il Fanciullo Gesù volle andare dalla divina Madre ed il nostro
Giuseppe vi andò assieme. Entrati nella stanza dove stava la Santissima Vergine
a fare orazione, il divino Fanciullo si fece vedere con quella croce in
mano, mostrandola alla Santissima sua Madre, la quale già in spirito tutto
aveva veduto. Si prostrò in terra la santa Madre, adorò la croce e la baciò in
segno di uniformità al divino volere, offrì il Figlio al divin Padre e con il Figlio
anche se stessa. Restò però l’anima sua trafitta da nuovo dolore, quantunque
fosse di tutto informata. Alla vista di quella croce si rinnovò in lei il
dolore e l’afflizione del suo innocentissimo cuore. Ammirò il nostro Giuseppe
la fortezza, l’uniformità e la generosità della sua divina Sposa, e prostrato
in terra anche lui, adorò la croce, la baciò, tutto uniformato al divino volere.

Il fanciullo Gesù, dopo, fece ad ambedue un discorso sopra il patire,
dicendo loro che da Lui era ardentemente bramato per il desiderio che aveva
di adempire la volontà del Padre e di compiere l’opera importantissima
dell’umana Redenzione. Disse infine: «Ecco, o miei cari, ciò che mi verrà
preparato dal popolo eletto, dopo che sarà stato da me tanto beneficato». E,
innalzando la croce, disse: «Su questo patibolo d’infamia mi faranno morire
fra crudelissimi tormenti, ma io volentieri terminerò su una croce la mia vita,
per compiere l’opera dell’umana Redenzione».
A queste parole cadde svenuto il nostro Giuseppe, e la divina Madre
restò trafitta da acutissimo dolore. Non svenne, ma sempre fu presente a se
stessa per provare continuamente il dolore e il martirio del purissimo suo
cuore.
Fu dal Fanciullo Gesù richiamato e fatto tornare ai propri sensi
rafflittissimo Giuseppe, e dal medesimo fu animato e confortato. Ma
l’afflitto Giuseppe restò con il più vivo dolore impresso neirintimo del suo
spirito, dolore che gli durò per tutto il resto di sua vita; perché, se non si trovò
presente alla Passione e Morte del Redentore, ne soffrì il dolore e
l’amarezza sin che visse. Perciò anche lui ebbe la sorte di acquistarsi grandi
meriti nella memoria delle pene che stavano preparate al Redentore; e per
questo piangeva spesso amaramente.
D’allora in poi ogni volta che si metteva a lavorare, [Giuseppe] si ricordava
della croce sopra la quale sarebbe morto il suo Gesù e versava copiose
lacrime di dolore, facendo vari atti di compassione, di amore, di gratitudine,
di rassegnazione; ed erano tante le lacrime che versava per il dolore,
che bagnava le tavole che lavorava. A volte capitò che, andando gente alla
sua bottega per ordinargli il lavoro, lo trovavano così mesto e piangente e gli
domandavano la causa del suo dolore. Allora il Santo chinava la testa, e non
rispondeva cosa alcuna; perciò credevano che piangesse per la sua grande
povertà, perché era ritenuto per uomo povero. Gli facevano animo dicendogli
che si impegnasse a lavorare, così avrebbe rimediato alle sue necessità.
Altri gli dicevano che non aveva motivo di piangere, perché aveva
un figlio così caro e amabile, che quello solo era sufficiente a consolarlo. E
[davanti] a ciò il Santo sentiva un dolore [ancora] maggiore, perché pensava
che ad un figlio così caro e amabile stavano preparati crudeli tormenti, e rispondeva
loro: «Così è! Questo Figlio è l’unica mia consolazione!». E poi
non rispondeva altro, perciò lo lasciavano in pace.
A volte poi, quando il Redentore se ne stava ritirato a trattare con il
suo divin Padre, il nostro Giuseppe si tratteneva con la sua Santa Sposa a
sfogare la pena del suo cuore, e amaramente piangendo le diceva: «Sposa
mia carissima! Quanto costerà cara la Redenzione umana al nostro amato
Gesù! A costo di tanti dolori Egli comprerà le nostre anime e quelle di tutte
le creature. Che gratitudine gli si deve per così grande beneficio! Io bramo
sacrificare per Lui la mia vita e bramo di patire io tutti i tormenti che a Lui
stanno preparati. Ah! potessi avere io così bella sorte! Come mi stimerei felice!
Ma se non li soffrirà il mio corpo, li soffrirà il cuore, che già ne prova
grande dolore e amarezza. Vorrei trovarmi presente, in quel tempo, alle pene
del nostro Gesù per più compatirlo e per soffrire più tormento nel mio spirito;
ma intanto non mi pare di avere animo e tanta generosità da poter soffrire
una vista così dolorosa. Non è possibile che il mio cuore si conservi in vita
fra tante pene, perciò se piacesse al nostro Dio, piuttosto sceglierei la morte.
Ma intanto, come potrete voi, mia Sposa innocentissima, sostenere così crudeli
dolori, senza avere chi vi assista nei vostri affanni?».
Nel dire queste parole sveniva per il dolore l’afflittissimo Giuseppe,
il quale era dalla divina Madre consolato: gli assicurava che Dio non avrebbe
permesso che lui si trovasse presente a così duri tormenti del suo Gesù e gli
diceva: «Credete, o mio Sposo amatissimo, che il nostro Dio vi consolerà!
Non permetterà che voi siate spettatore di così crudeli pene che al nostro Gesù
stanno preparate! Ma in qualsiasi modo il nostro Dio disponga di noi,
dobbiamo uniformarci alla sua santissima volontà». Allora il Santo si poneva
con la bocca in terra e si offriva tutto al suo Dio, prontissimo ad adempire la
divina volontà in tutte le cose.
A volte poi, quando più del solito apprendeva la gravezza delle pene
che doveva soffrire il suo Gesù, ne restava tanto trafitto dal dolore che non
trovava pace; non poteva cibarsi, né trovare riposo; si struggeva in pianto e
si consumava la sua vita nel dolore. In tale occasione il divino Fanciullo
gli faceva animo, l’accarezzava, gli faceva delle finezze con grande amore:
così il Santo restava consolato e animato; ma non partiva dal suo cuore la
spada del dolore. Godeva e penava, ed in questo ebbe il nostro Giuseppe
qualche similitudine alla sua Sposa, la quale fu sempre, nel suo cuore purissimo,
trafitta dalla spada del dolore, anche in mezzo alle più grandi consolazioni
che godeva per la continua presenza del caro suo Figlio e nell’ascoltare
le sue divine parole. Era conveniente che lo Sposo somigliasse in qualche
modo alla Sposa; perciò, se il nostro Giuseppe godette molto dei divini favori
e delle più care delizie del suo Gesù, soffrì anche crudeli dolori e indicibili
amarezze per la continua memoria che aveva delle sue pene, specialmente da
quando il Redentore gliele manifestò chiaramente.
Anche prima soffriva dell’amarezza per quello che, nella Scrittura,
aveva capito e che benissimo intendeva, ma non gli facevano quella grande
impressione come gli fecero poi le parole del Redentore. Dio permise che
prima non avesse capito molti passi della Scrittura, che trattavano questo argomento,
perché il Santo doveva soffrire tanti altri travagli; ma quando incominciò
a godere mi po’di quiete e cessarono i travagli, capì tutto con chiarezza.

Perciò si può dire con verità che in tutta la sua vita soffrì un continuo
martirio. Ma questo si raddoppiò dopo che furono chiare tutte le pene che
erano preparate al suo Redentore, perché queste gli trapassavano l’anima con
dolori assai più intensi [di prima]: così ebbe occasione di acquistarsi grandi
meriti per la vita eterna.
La croce che aveva lavorato, il divino Fanciullo la teneva nel luogo
dove Egli era solito ritirarsi a pregare da solo ed a prendersi qualche riposo
la notte. Spesso lì andava il nostro Giuseppe, e nel vederla si raddoppiava il
suo dolore. La prendeva, la baciava con grande venerazione e tante lacrime,
perché lavorata dal suo Gesù e anche gli rappresentava quella sulla quale si
sarebbe compiuta l’umana Redenzione; poi si offriva al divin Padre, pronto
anche lui a morire sopra di una croce, quando a lui fosse piaciuto. A volte,
andando a vedere la detta croce, vi trovò sopra a giacere il suo Gesù. Allora
sì che il nostro Giuseppe sentiva più crudeli pene e si prostrava in terra, trafitto
dal dolore, e vi stava piangendo sin tanto che il suo Gesù si alzava e andava
a fargli animo e a dargli conforto.
Non si può arrivare a comprendere il dolore che sentiva la divina
Madre in tale circostanza, lei che assai più di Giuseppe amava il divin Figlio
e sapeva e conosceva più di ogni altro il merito del suo Dio Umanato e
l’acerbità delle pene che gli stavano preparate. Ma ella ebbe assai più fortezza
di Giuseppe, poiché – pur essendo lei molto più afflitta e addolorata di lui
-, consolava in vari modi l’addolorato suo Sposo, esortandolo sempre
all’uniformità al divino volere ed alla generosità nel soffrire i dolori del suo
cuore e le afflizioni del suo spirito, che le pene che stavano preparate al Redentore
gli causavano.
Il Redentore faceva spesso qualche discorso sopra le divine perfezioni
del suo Padre celeste e sopra la gloria del Paradiso, per alleggerire con
questa consolazione le afflizioni e i travagli del suo Giuseppe, il quale si rallegrava
tutto in simili discorsi, E il suo cuore si riempiva di giubilo, accendendosi
in lui un vivo desiderio di andare presto a godere di un tanto bene,
senza mescolanza di pene; e quando ciò sentiva, rivolto al suo Gesù, gli diceva:
«O mio caro e amato Figlio! Io sento un desiderio grande di andare
presto a godere il nostro Dio a faccia svelata, ma intanto, quanto rincrescimento
sento al pensare che questo godimento deve costare a Voi tante pene,
perché non potrò entrare in Cielo se non dopo l’opera dell’umana Redenzione!
». Allora il Redentore gli diceva: «Così è, mio carissimo padre! A costo
di pene e di dolori, da me sofferti, entreranno le anime nella gloria del Paradiso.
Ma non vi affliggete tanto, perché dovete sapere che io vivo con un desiderio
grandissimo di patire, per meritare a tutti l’eterna beatitudine. Quanto
è grande il mio desiderio di compiere presto la redenzione umana!».
Allora il nostro Giuseppe si prostrava in terra e lo ringraziava a nome
di tutto il genere umano per tanto amore che Lui gli portava e per tanto
bene che a tutti meritava col mezzo delle sue pene; e faceva molte espressioni
a nome di tutti, col desiderio di supplire a tutto quello che avrebbero mancato
in questo tutte le creature. Diceva al suo Gesù che egli bramava i cuori
di tutte le creature per poterli riempire tutti di gratitudine e di amore verso il
loro Redentore. «Ma – diceva – o Gesù mio! Io sono tutto insufficiente e non
posso fare che avvenga conforme al mio desiderio; perciò ricevete questo
che io desidero e fate Voi, con la vostra potenza, che tutte le creature riconoscano
un così grande beneficio, che fate loro, perché ve ne siano grati e corrispondano
a tanto amore che Voi portate loro!».
Gradiva molto il Redentore le espressioni del suo Giuseppe e gliene
mostrava il gradimento, ed il Santo si animava a fargliene sempre più, perché
bramava molto di rendersi in tutto e per tutto gradito al suo amato Gesù,
e cercava tutti i modi per fare cosa di suo compiacimento. Perciò domandava
spesso alla divina Madre che gli chiedesse quello che poteva fare, per dare
gusto al suo amato Figlio; e lei lo consolava, dicendogli varie cose per le
quali si sarebbe reso sempre più gradito al divin Figlio. Il nostro Giuseppe ne
sentiva una grande consolazione e metteva tutto in pratica fedelmente, e tutto
praticava con grande amore, senza altro interesse che di dare gusto al suo
amato e diletto Redentore.

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