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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (12) Capitolo XII – San Giuseppe conduce con sé nella bottega il Fanciullo Gesù, e ciò che gli capitò in quest’occasione

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Libro III – (12) Capitolo XII – San Giuseppe conduce con sé nella bottega il Fanciullo Gesù, e ciò che gli capitò in quest’occasione

Il divino Fanciullo era stato alquanto ritirato, trattenendosi con la sua
Santissima Madre, e aspettava che si calmasse la furia di quelli che, istigati
dal comune nemico, invidiavano e perseguitavano il nostro Giuseppe, perché
aveva salvato la vita al suo figlio. Cessata alquanto la furia di quei perversi,
e stancatisi di perseguitare il Santo, il divin Padre ordinò che il suo Unigenito
si abbassasse a fare la sua comparsa nella piccola bottega e, quivi impe220
gnato, servisse di aiuto a san Giuseppe. Perciò il divino Fanciullo si risolvette
di andare subito ad eseguire la volontà del divin Padre. Parlò a san Giuseppe
e gli manifestò la volontà del suo Padre celeste.
Il Santo si rallegrò molto per la sua felicissima sorte, perché già aveva
sperimentata la consolazione che gli portava la compagnia del suo Gesù,
quando era in Egitto; ma si riempì anche di confusione, riconoscendosi indegno
di tale grazia, e riflettendo sull’abbassamento del Figlio di Dio, visto
che il suo Gesù aveva deciso di andare ad aiutarlo nel suo lavoro. Il fortunato
Giuseppe si prostrò in terra adorando gli ordini del divin Padre, ed insieme
lo ringraziarono. La mattina, terminati i loro esercizi di orazione di lodi ed
altro che solevano fare per la gloria del loro divin Padre, se ne andò il nostro
Giuseppe a lavorare assieme col suo amato Gesù.
Quando il nostro Giuseppe si vide nella bottega l’amato suo Gesù,
gli si riempì il cuore di un giubilo inenarrabile, e diceva spesso: «Chi mai lo
crederebbe, che l’Unigenito del divin Padre si abbassi tanto e che io abbia a
godere una sorte così felice?! Ormai sì che il mio cuore non proverà più mestizia,
e se sarò ingiuriato e maltrattato dalle creature, avrò qui con me il mio
consolatore. E come potrà entrare più amarezza alcuna nel mio cuore, se ho
qui con me la dolcezza del Paradiso?!».
E rivolto al suo Gesù gli disse: «O mio Gesù, o caro figlio, Voi sapete
che il mio desiderio è di servirvi, ma poiché il divin Padre ordina altrimenti,
io adempirò la divina volontà e vi comanderò secondo il bisogno. Ma come
vi ho detto, lo farò [soltanto] per adempiere la divina volontà, servendo
per questa vostra umiliazione a mia somma confusione». Gli fece animo il
suo Gesù e l’esortò a comandargli liberamente in ciò che bisognava, perché
dovevano ambedue adempire perfettamente la volontà del Padre celeste.
Restò consolato il nostro Giuseppe, ed ogni volta che ordinava al suo
Gesù che gli facesse qualche cosa, lo faceva sempre con l’intenzione di
adempire la volontà del divin Padre.
Se ne stava là il divino Fanciullo tutto attento, osservando ciò che
doveva fare per aiutare il suo amato Giuseppe, e già sapeva benissimo quello
che aveva bisogno, ma rare volte lo preveniva, perché aspettava che il suo
Giuseppe glielo comandasse. Voleva praticare quest’atto di umiltà e soggezione,
cioè di essere comandato, e voleva dare anche occasione al Santo di
praticare quell’atto di mortificazione e di uniformità alla volontà divina, nel
comandare all’Unigenito del divin Padre; così, servendogli ferrami, tavole ed
altro, il Santo li chiedeva ai suo Gesù ed Egli prontamente l’obbediva.
Lo aiutava ad alzare le tavole ed i pesi con molta grazia e leggiadria,
puliva la bottega dalle stecche, teneva aggiustate ed in ordine tutte le cose,
tutto attento ed applicato. I vicini si avvidero che il figlio di Giuseppe stava
in bottega ad aiutare suo padre, così molti di essi vi accorsero per vederlo, e
restavano tutti stupiti per la meraviglia, ed ammirati della rara bellezza del
divino Fanciullo.
Chiamavano felice e fortunato il padre putativo san Giuseppe.
E quelli che prima lo perseguitavano ed invidiavano, alla vista del
divino Fanciullo, restarono liberi dalla vessazione e istigazione del nemico
infernale, e compunti dicevano: «Veramente ha avuto ragione Giuseppe di
fare il possibile per salvare la vita ad un figlio così degno e caro! Veramente
Dio lo ha liberato dalla crudeltà di Erode, perché lo meritava, essendo tanto
caro, tanto bello! Sarebbe stata troppa crudeltà se fosse morto un figlio così
degno!». Molti chiesero perdono a san Giuseppe delle parole impertinenti ed
ingiuriose che gli avevano detto in passato e gli dicevano: «Avete avuto ragione
a fare il possibile per salvare la vita a questo vostro figlio, perché è
troppo caro e amabile, e porta a tutti grande consolazione la sua bellezza, la
sua grazia e maestà. Voi felice che siete stato degno d’avere un figlio tale!».
Sentiva molta consolazione il fortunato Giuseppe all’udire queste
parole, specialmente da quelli che l’avevano perseguitato, e mostrava loro
tutto il gradimento come se da essi non avesse ricevuto mai alcun dispiacere.
Così essi restavano molto ammirati della virtù del Santo e si cambiava in affetto
verso il medesimo tutto il male e rancore che per l’addietro gli avevano
portato. Rendeva poi il nostro Giuseppe affettuose grazie al suo Dio, perché
si era degnato di ascoltare ed esaudire le sue preghiere, cambiando il cuore
dei suoi avversari, e rivolto al suo Gesù gli diceva: «O mio caro ed amato
Figlio! Quanta consolazione sente il mio cuore al vedere emendati e compunti
quelli che ci perseguitavano! Come è potente la Vostra presenza ad allontanare
i nemici infernali da quelli che vengono istigati e tentati! Come la
vostra grazia e bellezza sa accattivarsi i cuori! Veramente siete tutto amabile
e desiderabile, mio caro Gesù!». E ponendosi a contemplarlo, se ne stava
estatico, godendo l’anima sua un mare di dolcezza.
Andavano poi a desinare, e il fortunato Giuseppe raccontava tutto alla
divina Madre, e lei mostrava gradimento delle notizie che le dava, e quantunque
già sapesse tutto, non glielo dimostrava, ma godeva di sentire il suo
Sposo Giuseppe tutto contento, e unitamente rendevano grazie al divin Padre,
e poi si trattenevano in sacri colloqui con il loro amato Gesù.
Egli era la delizia dei loro cuori. Dopo che si erano nutriti, tornavano
a lavorare, ed il nostro Giuseppe sentiva qualche pena, perché conducendo
con sé il divino Fanciullo, restava priva la divina Madre della Sua amabile
presenza; perciò se ne condoleva con lei, manifestandole l’afflizione che
provava, ma ella l’animava e lo esortava a non affliggersi, perché godeva si
adempisse la volontà del divin Padre. Così restava consolato il nostro Giuseppe
e andava a lavorare con l’amato suo Figlio.

Sparsasi la voce in città della rara bellezza e grazia del figlio di Giuseppe,
che in quella tenera età assisteva ed aiutava il padre suo con tanta attenzione;
della giovialità e maestà del suo aspetto, e di come riceveva tutti
con tanta cortesia e con gentili maniere, molti vi accorrevano per vederlo; e
benché vi andassero per pura curiosità, non vi fu alcuno, di quelli che vi andarono,
che non restasse consolato ed insieme edificato; e il divino Fanciullo
impetrò molte grazie ad ognuno di essi dal suo divin Padre, quantunque
quelli non lo sapessero. Le molte persone che li accorrevano, come si è detto,
servivano al nostro Giuseppe di impedimento alla continua applicazione
della sua mente in Dio, e di potersi godere con quiete da solo a solo
l’adorabile presenza del suo amato Gesù. Però non si lamentò mai il Santo,
ma godeva che altri restassero consolati, tanto era grande la sua carità verso
il suo prossimo; anzi, era pronto a restarne anche privo, quando al divin Padre
fosse ciò piaciuto, per il bene e la consolazione spirituale del suo prossimo,
tanto era in tutto uniformato alla divina volontà. E quando restava solo
con il suo Gesù, glielo manifestava, dicendogli che lui godeva molto del bene
del suo prossimo, perciò gradiva le visite di quelle persone e si contentava
di restare lui privo della sua soddisfazione più intima, perché altri ne godessero,
ed Egli fosse da tutti conosciuto ed amato.
Con l’occasione poi che avevano per andare a vedere il divino Fanciullo,
ordinavano molti lavori al nostro Giuseppe e poiché il Santo non aveva
cuore da ricusare la fatica, né di ricusare la soddisfazione a nessuno, pigliava
tutti i lavori e si affaticava per compierli a tempo. Perciò guadagnava
molto, benché in quanto al pagamento si contentava di quello che gli veniva
dato, senza mai lamentarsi, quantunque alcuni di poca coscienza gli dessero
molto poco. Allora il Santo stringeva le spalle e pigliava quello che gli era
dato a titolo di elemosina. Di questo suo guadagno poi si teneva solo quello
che era necessario per il loro mantenimento, il resto lo dispensava ai poveri.
Perciò si affaticava volentieri per poter fare la elemosina ai poveri mendicanti,
elemosina che faceva con tanto gusto suo, del suo Gesù e della sua Sposa.
Quantunque avesse molto da lavorare il nostro Giuseppe, non tralasciò
mai il solito tenore di vita, trasconrendo del tempo nel recitare le divine
lodi e nel trattenersi da solo a solo con il suo Dio nell’orazione.
Ma Dio benediceva il suo lavoro perché, quantunque sentisse la fatica
nel lavorare, faceva più lui in un’ora sola che altri non avrebbe fatto in più
ore. Ed essendoci nella sua bottega il Re degli angeli, dal quale veniva aiutato,
non sdegnavano gli angeli stessi di aiutarlo, secondo la necessità che alle
volte ne aveva, per soddisfare quelli che richiedevano presto il lavoro. Così
il sant’uomo dava a tutti la sua soddisfazione. Conosceva la grazia che riceveva
dal suo Dio e Gli si mostrava molto grato, ringraziandolo cortesemente,
e si umiliava, riconoscendosi di ciò indegnissimo, praticando in tutte le circostanze
la bella virtù dell’umiltà, tanto a Lui cara.

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