Home

La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (11) Capitolo XI – Alcuni travagli sofferti da san Giuseppe ed ella sua invitta pazienza e generosità nel soffrirli

Salva in Preferiti / Segnalibro
ClosePlease loginn

Non ancora registrato? Fallo ora!

Libro III – (11) Capitolo XI – Alcuni travagli sofferti da san Giuseppe ed ella sua invitta pazienza e generosità nel soffrirli

Fremeva di rabbia il nemico infernale contro il nostro fortunato Giuseppe,
né poteva soffrire tanta virtù del Santo; perciò si accinse di nuovo a
fargli guerra, permettendoglielo Dio, perché il Santo acquistasse maggiore
merito ed il nemico restasse sempre più confuso e svergognato.
Si servì l’astuto dragone di alcuni poco affezionati al Santo e mise
nell’animo loro una amarezza ed invidia molto grande contro di lui, perché
era riuscito a salvare la vita al suo figlio, mentre essi non avevano potuto
salvarla ai loro; e dicevano: «Tutti noi siamo restati privi dei nostri figli innocenti
per la tirannia di Erode, e costui solo l’ha scampata».
E di ciò ne sentivano un’invidia molto grande, né potevano soffrire
che il Santo avesse avuto la sorte di salvare la vita al suo Gesù. Non sapendo
come sfogare la loro passione, si fecero avanti a maltrattare il Santo con parole
mordaci.
Di fatto l’incontrarono per Nazaret e gli rimproverarono la sua malizia
– così chiamavano la diligenza che aveva avuto -, e gli dicevano: «Veramente
tu hai avuto una grande malizia! E mostrandoti come uomo semplice,
l’hai fatta da malizioso, fuggendo prima che arrivasse il comando di Erode!
Forse il demonio ti aveva avvisato prima del tempo della strage funesta
dei nostri fanciulli. Veramente sei stato tu crudele, peggio di Erode, perché,
sapendo l’ordine, non hai avvisato nessuno e te ne sei servito solo per te! Ma
Dio ti castigherà, uomo ingrato, e farà che anche tuo figlio perisca, come sono
periti tutti i nostri!».
Ciò gli dicevano con tanta rabbia e furore che pareva lo volessero
fulminare con le parole; ma il Santo chinava la testa, né rispondeva cosa alcuna.
Così questi si confermavano nella loro pessima opinione e gli dicevano:
«Ah, falso! Non sai che rispondere, perché conosci d’avere fatto male!
Basta, tu la pagherai ed il tuo figlio perirà! E noi stessi troveremo modo di
dargli la morte, e se sono morti tutti i nostri figli, non è giusto che il tuo solo
viva».
Ferivano il cuore del nostro Giuseppe queste parole, ma intanto non
sapeva che rispondere, e diceva loro: «Perché infuriate contro il mio figlio
innocente! Se l’avete contro di me, sfogatevi con me, ma lasciate stare lui,
che non ha colpa alcuna!». Ed allora quelli, più infuriati, gli dicevano: «Il
figlio tuo deve perire come sono periti tutti i nostri».

Il nostro afflitto Giuseppe diceva loro liberamente: «Sarà tutto ciò
che Dio vorrà e niente più. Dio gli ha salvata la vita per il passato, e gliela
salverà anche per l’avvenire».
Costoro ancora di più si infuriavano, dicendogli che si riparava con
dire che Dio gli aveva salvata la vita, quando era stato lui [a salvargliela] con
la sua malizia e con i suoi inganni.
Non rispose più il Santo, ma tutto soffri con invitta pazienza; gli durò
[infatti] molto tempo questa persecuzione.
Il nostro Giuseppe se ne tornò a casa tutto afflitto e dolente, più per
le offese che vedeva fare al suo Dio, che per il timore di ricevere qualche
male, perché era sicuro che Dio avrebbe difeso il suo Unigenito e lo avrebbe
liberato dalla furia dei suoi avversari. Sapevano già tutto il suo Gesù e la divina
Madre, ed aspettavano il Santo per consolarlo ed animarlo. Arrivò
[dunque] a casa il nostro Giuseppe, e appena vide il suo Gesù si mise a piangere.
Ma Gesù lo ricevette con straordinarie accoglienze ed amore e gli disse:
«Non temete niente, mio carissimo padre! Perché le fùrie infernali si sono
scatenate contro di voi, ma non potranno nuocervi in nulla. Soffrite pure con
pazienza i cattivi incontri dei nostri avversari, perché voi acquisterete grande
merito e vi renderete degno di ricevere sempre nuovi favori e grazie dal mio
Padre celeste».
Così anche la sua Santa Sposa lo consolava, ed il nostro Giuseppe,
tutto rincuorato, disse loro che non temeva cosa alcuna, ma solo gli dispiacevano
le offese che si facevano al divin Padre. E pregò il suo Gesù e la divina
Madre di volere raccomandare al divin Padre quei miserabili istigati dal
demonio, perché si ravvedessero e si emendassero del loro errore. Difatti rivolsero
calde suppliche al loro Dio perché li illuminasse. Poi Giuseppe raccontò
tutto ciò che gli era stato detto e si propose di non uscire di casa per
allora e fuggire l’occasione, così quelli non avrebbero offeso Dio
nell’incontrarlo e maltrattarlo.
Ma ciò non gli giovò, perché alcuni vicini ebbero quella [stessa] istigazione
del demonio, invidiando la divina Madre e Giuseppe per la fortuna
che avevano avuta di salvare la vita al loro figlio. Si ricordarono che erano
fuggiti segretamente, senza avvisare alcuno; così, tutti sdegnati contro il
Santo e la divina Madre, ne parlavano male, accusandoli in varie maniere.
Tutto soffrirono con invitta pazienza. Ma il nostro Giuseppe, rivolto al suo
Gesù, si doleva amorosamente, dicendogli: «O mio caro ed amato figlio, è
possibile che sempre si debba stare in travaglio? Mentre io credevo che da
tutti i nostri paesani avreste ricevuto buona accoglienza, vedo invece che siete
invidiato e perseguitato! E mentre credevo di godermi in pace la vostra
amabilissima compagnia, vedo insorgere nuovi travagli!».
Lo consolava però il suo Gesù, e gli diceva che quello non era tempo
di riposo e di consolazione, ma che conveniva di soffrire sempre qualche
travaglio; solo nella patria beata sarebbe stato perfettamente consolato, ma
finché fosse vissuto in questo mondo gli conveniva soffrire sempre qualche
travaglio, perché così ordinava il divin Padre, per dare [a Lui] prova della
sua fedeltà e dell’amore che portava al suo Dio. Chinava la testa il nostro
Santo a queste parole, uniformandosi in tutto alla divina volontà.
Persino nella propria casa dove lavorava, il nostro Santo fu assalito
da molti che, per invidia, non lo volevano fare vivere in pace; e fu costretto
in quei primi giorni a fare stare ritirato il suo Gesù, perché quelli, vedendolo,
non si adirassero maggiormente. Godeva il Santo di essere solo a sentire le
ingiurie e le lamentele, per timore che il suo Gesù si affliggesse maggiormente
nel sentirle con le proprie orecchie e che venisse anche a ricevere
qualche affronto con cattive parole: il che sarebbe stato al Santo di afflizione
assai maggiore.
Dopo che il nostro Giuseppe era stato assalito e maltrattato dagli invidiosi
istigati [dal demonio], se ne andava dal suo Gesù per consolarsi, come
altra volta si è detto, perché la sola vista del suo amato Gesù lo consolava
e rallegrava tutto; e quantunque questo solo bastasse al nostro Giuseppe per
restare consolato, riceveva molte finezze dal divino Fanciullo; di esse si riconosceva
sempre immeritevole l’umilissimo Giuseppe.
Il suo Dio, un’altra volta, volle fare prova di nuovo della virtù del
Santo e dargli occasione di meritare molto più, facendolo patire senza conforto
alcuno, anzi, con doppia pena. Successe che a volte, essendo assalito
dai suoi malevoli [vicini] e molto maltrattato, per consolarsi andava a rivedere
il suo Gesù oppure la sua Santa Sposa, e trovava che lei stava nel suo ritiro
ed il divino Fanciullo si faceva vedere con volto serio e maestoso.
Perciò il Santo restava trafitto nell’anima da acuto dolore e, chinando
la testa, se ne tornava tutto afflitto ed angustiato al suo lavoro, e qui si
struggeva in lacrime di dolore pensando che il suo Gesù fosse con lui sdegnato.
Diceva il Santo: «O mio caro ed amato Gesù! Che male ho fatto io,
miserabile, per farmi vedere il vostro volto quasi sdegnato contro di me?!
Me infelice, se vi ho disgustato! E se io ho disgustato la fonte di ogni consolazione
e letizia, dove troverò pace e conforto? Che farò, che dirò per placarlo?!
». E poi, alzando la mente al divin Padre, gli diceva: «O Padre delle misericordie,
mirate per pietà le mie afflizioni, e se è volontà Vostra che il
vostro indegno servo sia in tale modo afflitto e travagliato senza conforto, io
di buon cuore abbraccio questa afflizione. E se Vi piace che io stia in tale
modo tutto il resto di mia vita, volentieri mi sottometto alla vostra divina volontà,
purché in me non vi sia colpa alcuna. Di questo vi prego, o mio Dio,
affliggete pure il vostro indegnissimo servo, castigatelo, privatelo d’ogni
conforto, ma non permettete mai che vi offenda. Cadano prima sopra di me
tutti i mali del mondo, che io abbia mai da dare un minimo disgusto alla divina
Maestà Vostra, degna di essere da tutti amata e venerata!».
Nel dire queste parole al suo Dio, sentiva un po’di sollievo l’afflitto
cuore di Giuseppe e si sentiva internamente confortare, ma la pena che provava
nel pensare di avere veduto il suo amato Gesù con quell’aspetto, gli
trapassava l’anima, e pensava che anche la divina Madre nutrisse
quell’atteggiamento verso di lui, e diceva a se stesso: «Giuseppe, dove andrai
per trovare conforto; se gli Oggetti della tua consolazione sono irritati
contro di te?! Non vi è chi ti possa consolare, solo il tuo Dio; e anche Questi
è irritato contro di te, perché è irritato il suo Unigenito, e la sua divina Madre
». Tra tante angustie non sapeva come comportarsi l’afflittissimo Giuseppe,
e restava nelle sue molte afflizioni.
A un tratto, in modo istantaneo, si sentì un impulso di ritornare di
nuovo dal suo Gesù e gettarsi ai suoi piedi per domandargli perdono, se
l’avesse offeso. Non si arrischiava però il Santo; ma, sentendo gli impulsi
più violenti e quasi attirare a forza, andò pieno di fiducia e di confidenza dal
suo amato Gesù, per gettarsi ai suoi piedi.
Mentre andava, gli venne incontro il suo Gesù e amorosamente lo
abbracciò. Chi può mai narrare la consolazione che in quell’istante sentì il
nostro Giuseppe, il giubilo e la letizia del suo cuore?
Fu per primo il suo Gesù a parlargli dicendogli: «Rallegratevi, padre
mio carissimo, perché da voi non sono stato mai disgustato, e siete da me
molto amato». «O mio caro ed amato figlio – replicò il fortunato Giuseppe –
l’anima mia si è trovata in gravissima afflizione, ma ora si rallegra e gode,
perché vede il vostro volto sereno.
Voi già sapete quale sia il mio timore, e mentre mi assicurate che da
me non siete stato disgustato, si consola il mio cuore».
Gli replicava il suo Gesù: «Godete, mio caro Giuseppe, perché voi
nelle vostre afflizioni date molto gusto al divin Padre ed a me, e vi acquistate
grande merito, uniformandovi in tutto alla divina volontà». Intanto, così dicendo,
il suo Gesù lo conduceva per mano a ritrovare la sua divina Madre,
che con tutto l’affetto stava aspettandolo anche lei per consolarlo, e riceveva
da lei parole di conforto.
Tra tante consolazioni si umiliava il nostro Santo, riconoscendosi indegno
di tante grazie e piangeva per la letizia e giubilo del suo cuore, e supplicò
il suo Gesù e la sua Santa Sposa di degnarsi di rendere grazie al Padre
per quello che gli compartiva con tanta liberalità, da lui mai meritato.
Infatti si posero insieme a lodare e ringraziare il divin Padre da parte
di Giuseppe, il quale poi ne mostrava il gradimento rendendo grazie al suo
amato Gesù ed alla sua Santa Sposa. Da essi veniva molto accarezzato e confortato,
incoraggiato a volere soffrire con generosità tutti i travagli e stare sicuro
che lui non offendeva il suo Dio, anzi, gli dava molto gusto, ed acquistava
grandi meriti per il Paradiso. Così, tutto contento, il Santo tornava al
suo lavoro lodando sempre il suo Dio e ringraziandolo amorosamente di tutto
ciò che permetteva a vantaggio dell’anima sua.
Rifletteva poi sulle molte grazie che riceveva, e riconosceva la divina
liberalità verso di sé, restandone sempre più ammirato, ed invitava, con i
fanciulli Babilonesi, tutte le cose create a benedire e lodare il suo Dio, e
mentre lavorava stava con la mente tutta attenta e raccolta. Il lavoro non era
di impedimento al suo spirito, il quale sempre si esercitava in atti di lodi, di
petizioni, di rendimento di grazie e di amore. Molte volte gli capitava di avere
compiuto il suo lavoro con tutta perfezione senza che neppure se ne avvedesse,
tanta era l’attenzione della sua mente verso il suo Dio, stando sempre
fissa nelPOggetto del suo amore; e mentre il corpo si affaticava nel lavorare,
la mente si deliziava con l’amato suo Bene. Ebbe in questo una grazia particolare
il nostro fortunato Giuseppe, che fu da lui riconosciuta, e si mostrava
grato al suo Dio.
Molte volte avvenne che andando alla sua bottega qualche persona
oziosa, per volere prendersi gusto di parlare con il Santo, non fu dal medesimo
né udita né veduta, e perciò lo chiamavano stolto e insensato.
Quando poi lo veniva a sapere, il fortunato Giuseppe rendeva grazie
al suo Dio che avessero di lui quel concetto, godendo di non essere da alcuno
stimato, anzi, di essere schernito e vilipeso; e quelli che così male lo trattavano
li chiamava i suoi benefattori. Né in ciò errava, perché gli servivano di
mezzo per acquistare grandi meriti e con ciò arricchire sempre più l’anima
sua di tesori celesti. Perciò si applicava a pregare molto per essi, domandando
al divin Padre molte grazie per ognuno. Quando il Santo si incontrava con
quelli che l’avevano maltrattato, o con fatti o con parole, mostrava loro il
volto più del solito allegro e gioviale, li salutava cortesemente e nel suo
interno desiderava loro ogni bene. Infatti tanto pregava il suo Dio che impetrava
ad essi molte grazie a beneficio delle loro anime. Era tanto gradito a
Dio questo modo di trattare di Giuseppe con i suoi persecutori che gli mostrò
più volte il suo compiacimento, concedendogli liberalmente quanto per essi
gli domandava. Il Santo, che sapeva ciò, lo praticava con grande allegrezza e
con molta consolazione dell’anima sua.
Non mancarono altri travagli al nostro Santo, in questo ritorno che
fece nella sua patria, anche [da parte dei] suoi amici, che gli parlavano esortandolo
a non andare più girando ramingo per le città, come sino allora aveva
fatto, perché era da molti schernito e stimato vagabondo e mostrava poco
senno nel condurre fuori della patria la sua Sposa, la quale era tanto savia e
gentile e di così nobile aspetto, ma rischiava di ricevere degli affronti; si stabilisse
e si fermasse una buona volta: ormai era persona adulta e doveva capire
qualche cosa! L’anima del nostro Giuseppe era addolorata da queste parole,
e per non rivelare il mistero nascosto gli conveniva tacere e ritenersi
colpevole. Perciò si confondeva ed arrossiva e, chinando la testa, ringraziava
quelli per l’avviso e li pregava di compatire la sua poca capacità; e nel suo
interno offriva tutto al suo Dio, mostrandosi pronto a soffrire molto più per
suo amore.
Gli diceva: «È ben giusto, o mio Dio, che essendo io da Voi tanto
favorito e colmato di grazie, sia poi dalle creature vilipeso e stimato di poco
senno, ma a me basta solo di dare gusto a Voi e di adempiere la vostra divina
volontà. E se vi piacerà che io tomi di nuovo fuori della mia patria, eccomi
pronto, esponendomi volentieri a soffrire non solo tutti i disagi e i patimenti,
ma anche tutti gli strapazzi e le calunnie degli uomini, che interpretano sinistramente
tutte le mie azioni». Davvero il Santo era prontissimo e disposto
ad eseguire in tutto e per tutto la divina volontà, chiamandola questa il suo
riposo; infatti, trovava il riposo e la quiete nel fare la volontà del suo amato
Dio.
Tornato a casa, il nostro Giuseppe era molto accarezzato dal suo Gesù,
e molte volte – senza che egli gli manifestasse quanto gli era capitato di
disgustoso – il suo Gesù glielo diceva e si rallegrava con lui del merito che
in quell’occasione si era acquistato e del gusto che aveva dato al suo divin
Padre, Allora il nostro Giuseppe si poneva a piangere per la consolazione
che provava, e si umiliava molto, conoscendosi del tutto immeritevole, e
pregava il suo Gesù, perché si degnasse di rendere grazie al suo divin Padre
per l’amore che gli dimostrava, e perché si degnasse di accettare quel poco
che per suo amore soffriva; e si diceva pronto a soffrire molto più, quando
Gli fosse piaciuto di mandarglielo. «Altro non desidero – diceva il
sant’uomo – che adempiere perfettamente la volontà del mio Dio».

image_pdfimage_print