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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (10) Capitolo X – San Giuseppe con la sua Santa Sposa ed il Fanciullo Gesù arrivarono a Nazaret, loro patria; e ciò che praticarono all’inizio del loro arrivo

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Libro III – (10) Capitolo X – San Giuseppe con la sua Santa Sposa ed il Fanciullo Gesù arrivarono a Nazaret, loro patria; e ciò che praticarono all’inizio del loro arrivo

I nostri santi pellegrini, arrivati a Nazaret sull’ora tarda, andarono alla
loro abitazione. Dio permise che da pochi fossero notati perché non venisse
in quella sera disturbata la loro quiete dalle visite e congratulazioni dei vicini.
Se ne avvidero solo alcune giovani amiche della divina Madre, sue vicine,
e queste brevemente si sbrigarono nel salutarli e dare loro il ben tornato.
I nostri santi pellegrini entrarono in casa e andarono subito nella piccola
stanza, dove si era operato l’altissimo mistero dell’Incarnazione del Verbo
Eterno.

Quivi, prostrati in terra, adorarono insieme il divin Padre, rendendogli
affettuose grazie, perché li aveva fatti arrivare nella loro patria sani e salvi.
Resero di nuovo le grazie del grande beneficio che aveva fatto al genere
umano, mandando in terra il suo Unigenito, per riscattarlo dalla dura schiavitù.
Essendosi qui operato il grande mistero, non è facile narrare le consolazioni
che ebbero i tre grandi personaggi.
Il nostro Giuseppe si sentì subito inondare l’anima in un mare di
dolcezza. Udì l’armonia degli spiriti angelici e godette dei favori straordinari
del cielo. Fu sublimissima l’estasi che ebbe, in cui gli furono rivelati altissimi
misteri dell’incarnazione del divin Verbo, e per molto tempo restò in essa
deliziato dal suo Dio.
[Anche] la divina Madre ed il Fanciullo Gesù terminarono le loro
orazioni e godimenti. Fu allora loro preparato il cibo per mano di angeli, così
insieme si rifocillarono e, dopo avere reso le dovute grazie, si ritirarono a
prendere qualche riposo, essendo la loro umanità di ciò molto bisognosa.
Il nostro Giuseppe non stava in sé dalla gioia che sentiva, ed il suo
riposo in quella notte fu molto breve, passando [le ore] per lo più in rendimento
di grazie, dicendo a se stesso: «Ecco che sono tornato alla mia abitazione,
dove con tutta quiete mi godrò la compagnia del mio caro Gesù e della
mia Santa Sposa! O fortunato Giuseppe! Che farai tu per il tuo Dio che
tanto ti benefica? Come corrispondere a tante grazie?!» E poi, rivolto al suo
Dio, gli diceva confidenzialmente: «Eccomi, mio Dio, pronto ad eseguire i
Vostri santi voleri. Io per me mi spenderò tutto in servizio vostro, del vostro
Unigenito e della sua Santa Madre. Farò ciò che potrò per procurare loro il
vitto necessario, poiché a me è toccata così bella sorte. Voi sapete, mio Dio,
che il mio desiderio è di servire la Madre ed il Figlio, di stare in tutto ad essi
soggetto, di obbedirli in ciò che mi comanderanno.
Ma poiché Voi, Dio Altissimo, ordinate altrimenti, e volete che io
sia il capo e comandi, sottometto a Voi la mia volontà. Vi prego, però, di dare
al vostro servo la grazia di potere esercitare il suo ufficio come deve. Datemi,
mio Dio, tutte le virtù necessarie, perché io non occupi indegnamente il
sublime grado a cui mi avete destinato, e che non abbia da fare mai cosa alcuna
che non sia conforme al volere Vostro e del vostro Unigenito, come anche
[quello] della mia Santa Sposa».
Il nostro fortunato Giuseppe passò quella notte in queste suppliche, e
ogni ora gli parevano mille [nell’attesa] che arrivasse il giorno per rivedere il
suo caro Gesù e la sua amata Sposa. Tutto sollecito, il Santo pensava di trovare
ciò che era necessario per il loro mantenimento, e pregava il suo Dio di
provvedervi ed inviargli il lavoro, perché potesse compiere il suo obbligo nel
mantenimento necessario della casa. Attento e sollecito si mostrava in tutte
le cose, e Dio gradiva la sua attenzione, e non mancava di provvederlo secondo
che il suo bisogno richiedeva.

Corrispondeva anche il nostro Giuseppe alle grazie che riceveva nel
fare affettuosi ringraziamenti riconoscendo tutto dalla bontà e liberalità del
suo Dio. Niente per suo merito, perché si stimava di tutto in degnissimo, e
perciò spesso piangeva, vedendosi provveduto con tanto amore, dicendo che
lui non meritava cosa alcuna, ma che il suo Dio il tutto gli dispensava per
sua sola bontà.
Fattosi giorno il nostro Giuseppe si pose ad assettare la casa e la sua
piccola bottega per poter lavorare, e poi si mise ad aspettare la divina Madre
ed il suo Gesù per salutarli e per recitare insieme le divine lodi. La santa
Madre uscì dal suo ritiro, così pure il divino Fanciullo, e si congratularono
con il loro amato Giuseppe. La sua Santa Sposa si mostrava sollecita nel
chiedergli se stava bene e se si era riposato, mostrandosi affezionata come
richiedeva l’obbligo di sposa amata e fedelissima.
Si mortificava il Santo a queste parole della sua Santa Sposa, e la
ringraziava cortesemente della sua amorosa cura, e a lei si offriva come servo,
desiderando di servirla veramente in tutte le cose. E le diceva: «Troppo
contento io sarei [già] stato, o Sposa mia carissima, se il nostro Dio mi avesse
destinato come vostro servo; ma poiché vuole che io faccia da vero sposo,
ed ordini e comandi, io mi rimetto in tutto alla divina volontà, e farò
quest’ufficio per ubbidire a Dio. Voi perciò, mia cara Sposa, mi compatirete
in tutte le mie mancanze e debolezze, e mi aiuterete a lodare e ringraziare il
Signore di tanti favori e grazie che si degna dispensarmi».
Mentre le diceva ciò, osservava come lei si umiliava tanto e ne sentiva
pena, ma non poteva fare a meno di manifestarle i suoi desideri. La vedeva
sempre più bella e graziosa, umile e maestosa e ne restava ammirato,
provando sempre una consolazione indicibile ogni volta che la guardava, e
diceva dentro di sé: «Che fortuna è la mia, avere la sorte di stare in compagnia
di creatura sì degna! Dove mai potevo io meritare favore così grande
dal divin Padre?!».
Poi, rivolto al suo amato Gesù, prima si umiliava riconoscendosi indegno
di parlargli, e poi fissava su di Lui i suoi amorosi sguardi, e animato
dalla confidenza e dal grado che teneva – di padre putativo -, gli parlava con
tanto affetto e gli manifestava i desideri del suo cuore, che erano di servirlo e
amarlo. Era tanta la consolazione che il nostro Giuseppe aveva nel mirare
l’amato suo figlio Gesù che rare volte lo guardò senza che i suoi occhi non si
riempissero di lacrime, per la dolcezza che ne sentiva. Infatti, Gesù e Maria
erano per il nostro Giuseppe due oggetti di somma consolazione, e quando il
Santo stava afflitto, bastava che li guardasse e subito il suo cuore restava
consolato. Non sapeva più che [altro] bramare in questo mondo.
Perciò il Santo non sentiva consolazione in altre cose, e tutto ciò che
vedeva non faceva a lui alcuna impressione, perché tutto il suo godimento lo
sperimentava nel guardare Gesù e Maria, nei quali era tutto il suo amore; anzi,
non si curò nemmeno mai di guardare altri oggetti. Ogni cosa gli sembrava
vile ed insipida; e ciò con ragione, perché in essi risiedeva la pienezza
della grazia divina ed in Gesù la Divinità stessa, la quale cosa dal nostro
Giuseppe era ben capita.
I nostri grandi personaggi recitarono le divine lodi con sommo gusto
del nostro Giuseppe. Poi, terminate le lodi, [Giuseppe] partì di casa con il
beneplacito della sua Sposa e del divino Fanciullo, per andare a cercare
qualche cosa necessaria al loro mantenimento. Trovò subito da lavorare il
nostro Giuseppe: glielo aveva procurato la divina provvidenza, perché si potesse
acquistare il vitto con [il frutto delle] sue fatiche.
[Inoltre] il nostro Giuseppe ricevette da molti le congratulazioni per
il suo ritorno, cioè dai suoi amici. Da più d’uno era interrogato su dove aveva
abitato tutto il tempo che era stato fuori di Nazaret, ma il Santo non rispondeva
altro che era stato dove la divina provvidenza l’aveva condotto per
salvare la vita al suo Gesù e che volentieri aveva patito dei disagi, purché il
suo caro figlio scampasse dalla furia di Erode. Si rallegrarono di ciò i suoi
amici, ma non fu così dei suoi avversari, come si dirà a suo luogo.
Trovò intanto il nostro Giuseppe qualche cosa – datagli in elemosina
-, con cui poter provvedere il vitto necessario per sé e per la sua famiglia.
L’aveva domandata con grande umiltà ai suoi amici, che di buon cuore gliela
diedero, conoscendo il suo grande bisogno; e così se ne tornò a casa tutto lieto,
ringraziando il suo Dio per la provvidenza trovata.
Nell’entrare in casa vide il suo Gesù che stava intrattenendosi con la
santa Madre in sacri colloqui.
Quando fu veduto da Gesù, [Gesù] gli andò incontro con grande
amore, come era solito fare quando stava in Egitto. L’accarezzò con gesti
puerili, pigliandolo per la mano e portandolo accanto alla divina Madre, alla
quale disse: «Ecco il nostro amato Giuseppe, che ci ha provvisto del vitto
necessario».
A queste parole ed a queste finezze gli si irrigò il volto di lacrime. Il
fortunato Giuseppe non poteva dire altre parole se non: «O Gesù mio, caro
figlio! O mio amato Gesù, delizia del mio cuore!».
Anche dalla divina Madre era accolto con dimostrazioni di affetto,
mostrandogli il suo gradimento per quello che lui operava per il loro sostegno.
Narrò loro quanto gli era capitato e l’elemosina che aveva trovato, come
anche il lavoro col quale avrebbe potuto provvedere il vitto necessario; e
dopo avere loro narrato tutto, [insieme] resero grazie al divin Padre perché
con tanta provvidenza aveva soccorso al loro bisogno, magnificando la sua
divina beneficenza e patema cura.

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