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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (8) Capitolo VIII – San Giuseppe con la sua Santa Sposa ed il Fanciullo Gesù entrarono a Gerusalemme e visitarono il Tempio; e che cosa loro capitò

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Libro III – (8) Capitolo VIII – San Giuseppe con la sua Santa Sposa ed il Fanciullo Gesù entrarono a Gerusalemme e visitarono il Tempio; e che cosa loro capitò

I nostri pellegrini, arrivati a Gerusalemme, andarono al Tempio per
adorare il divin Padre. Furono guardati da alcuni con stupore, per la bellezza
e grazia del divino Fanciullo, come anche della sua santa Madre, che sebbene
non cresceva in età, cresceva in bellezza, maestà e grazia. Furono visti
stanchi e bisognosi, ma non vi fu alcuno che li consolasse e ristorasse: così i
nostri Pellegrini – affamati, assetati e stanchi – si posero ad pregare.
II nostro Giuseppe ebbe, nel sacro Tempio, una sublimissima estasi,
dove Dio gli rivelò grandi e reconditi segreti e misteri circa le sue opere e
per quale motivo permetteva che il suo divin Figlio patisse tanto in quella
tenera età, facendogli fare un così lungo e impervio viaggio.
Il nostro Giuseppe conobbe anche i grandi meriti che si acquistava
nell’eseguire gli ordini dell’Altissimo con tanta rassegnazione. Conobbe
quanto gradito fosse al suo Dio e quanto restasse soddisfatto in tutte le sue
opere. Fu questo un sommo godimento per il nostro Giuseppe, ma fu anche
di grande confusione, riconoscendosi di tutto immeritevole; e si confondeva
ed umiliava molto più al riflettere come, per se stesso, fosse del tutto insufficiente
a rendere grazie al suo Dio per gli innumerabili benefici che gli faceva
e per corrispondere a tanta bontà, a tanto amore e carità immensa.
Tornato dall’estasi tutto confuso ed umiliato, si pose con la bocca in
terra per adorare di nuovo il suo Dio e si disfaceva in lacrime di tenerezza e
di dolcezza, dicendo dentro di sé: « Mio Dio grande, onnipotente! E perché
mai a me, vilissimo Vostro servo, grazie così grandi? Come mai ho potuto io
arrivare a così grande dignità? Solo la vostra bontà infinita poteva fare questo,
e non altri!».
Così passò [il tempo] in vari colloqui con il suo Dio sin tanto che il
divino Fanciullo e la santa Madre terminarono i loro colloqui col divin Padre.
Usciti poi dal Tempio, il nostro Giuseppe – che non poteva tener più ce203
lato il favore sublime che aveva ricevuto e le molte grazie -, si prostrò ai
piedi del divino Fanciullo, in un luogo dove non era da alcuno osservato, e lo
supplicò di volersi degnare di fare Lui le sue parti con il divin Padre, e rendergli
quelle grazie che richiedevano tanta bontà e liberalità del suo Dio verso
di lui, vilissimo servo. Similmente fece con la sua Sposa Maria, ed ella gli
assicurò che l’avrebbe fatto, come anche il divino Fanciullo, il quale gli disse:
«E non sapete voi, mio caro Giuseppe, che il mio Padre celeste è generosissimo!
Non vi dissi io che per voi è preparata una grande mercede?! E poi,
volete che il mio divin Padre non vi dia qualche rimunerazione anche qui in
terra, per i molti patimenti che voi avete sofferti in questo viaggio?! Godetevi
pure le divine consolazioni, perché ve le siete in qualche modo meritate,
con i vostri patimenti, con il vostro ardente amore e con la vostra obbedienza
e sollecitudine premurosa; anzi, aspettatevi sempre nuove grazie e favori dal
mio amorosissimo e liberalissimo divin Padre!».
Queste parole erano come tanti dardi che facevano vibrare il cuore
infiammato del nostro Giuseppe, e più l’accendevano nell’amore e gratitudine
verso il suo Dio. Così il Santo si sentiva struggere e consumare dal beato
incendio che nel suo cuore ardeva. Lo si vedeva smaniare. E rivolto al suo
Gesù ed alla divina Madre, diceva tutto infiammato d’amore: «Come si potrebbe
fare perché tutte le creature ardano dell’amore del nostro Dio? O mio
caro ed amato Gesù! Che potrei fare io, perché il vostro divin Padre e Voi
foste conosciuti ed amati? Il mio cuore lo aspetta impaziente!». Ed il suo
Gesù lo consolava con dirgli: «Consolatevi, mio caro padre, perché verrà il
tempo nel quale il mio Padre celeste ed io saremo da molti amati, e conosciuti
saranno anche da molti i benefici grandi e l’amore immenso che noi
portiamo al genere umano».
Si consolava molto il nostro Giuseppe a queste parole, ed alzando le
mani al cielo ringraziava il suo Dio della felice notizia che gli dava, e rivolto
al suo Gesù gli diceva: «Dunque saranno adempiuti un giorno i miei ardentissimi
desideri! Dunque verrà il tempo felice in cui Voi, mio Gesù, sarete
amato, come anche il vostro divin Padre! Che consolazione sente perciò
l’anima mia!». Ed invitava il suo Gesù e la divina Madre a lodare e ringraziare
il divin Padre, e poi pregava [prima] tutti i cori angelici e dopo tutte le
creature, a farlo in nome suo.
Godeva molto il divino Fanciullo al vedere il suo caro Giuseppe tanto
acceso nell’amore verso il suo divin Padre, e gliene mostrava il gradimento
accarezzandolo amorosamente.
Non spiego qui quello che avveniva nella divina Madre, non essendo
questo il luogo in cui narrare la sua mirabilissima vita, ma lo potrà bene
ognuno immaginare da quello forse del nostro Giuseppe. E se tanto operò
Dio nell’anima del suo servo, che cosa avrà operato nella purissima e santissima
anima della divina Madre? Che incendio beato, che ardore, che fiam204
me, che desideri accesi, si ritrovavano nel suo cuore! Ma il divn Fanciullo ne
provava un godimento assai grande ed in Lei si prendeva tutte le Sue delizie
e tutte le sue consolazioni. Non è grande cosa che il nostro Giuseppe fosse
tanto acceso d’amore, mentre stava tra due grandi incendi, cioè: Gesù e Maria.
Fortunato Giuseppe! Ed era da lui ben conosciuta e capita la felice sua
sorte, così che spesso esclamava: «E perché mai a me questo, o Signore
mio!» Ed alzando gli occhi al cielo, vi restava immobile per molto tempo, e
poi, tutto confuso, si poneva con la bocca in terra, umiliandosi e riconoscendo
il suo nulla; e con questi atti si disponeva a ricevere nuove grazie.
Per quella sera il nostro Giuseppe trovò un ricovero in Gerusalemme,
dove si ristorarono cibandosi, come al solito, di pane ed erbe. Passarono
la notte in parte riposando e in parte pregando. La mattina tornarono presto
al Tempio, ed ivi si trattennero alquanto a pregare il divin Padre.
Il nostro Giuseppe ricevette nuovi favori dal Cielo, e dopo si trattenne
ad aspettare il suo Gesù e la divina Madre, e si ricordò di tutti i favori e di
tutte le grazie che Dio gli aveva fatto in quel Tempio prima che si sposasse
con la divina Madre. Si ricordò dei segni mirabili che si videro quando egli
si sposò con la santa Vergine Maria e di tutto ne rendeva affettuose grazie al
suo Dio.
Tra tante consolazioni in cui viveva il suo spirito, non gli mancarono
delle amarezze grandi, purtroppo. Si ricordò di quello che il vecchio Simeone
aveva profetizzato alla divina Madre circa il suo Gesù.
Fu questo una spada che ferì il cuore del nostro Giuseppe e tra tanto
giubilo fu costretto a piangere per il dolore. Infatti, in tutte le circostanze ebbe
il nostro Santo occasione di soffrire grandi amarezze. È vero che le sue
consolazioni erano inenarrabili, ma anche i suoi dolori ed angustie furono
inesplicabili, perché parallelamente all’amore grande che portava al suo Dio,
era anche grandissimo il suo dolore.
Terminate le loro orazioni uscirono dal Tempio e partirono alla volta
di Betlemme. In questo viaggio il nostro Giuseppe camminava più che mai
desideroso di arrivare presto alla grotta, dove era nato il suo Redentore.
E nel cammino narrava al suo Gesù le molte grazie che aveva ricevuto
nel Tempio dal divin Padre, quando egli era a Gerusalemme; e ciò che
l’Angelo gli manifestava nel sonno; e che il suo Dio gli aveva promesso
molte grazie, quali già le aveva ricevute; e gli diceva: «L’Angelo non mi
manifestava quali grazie erano quelle che da parte di Dio mi prometteva, solo
mi diceva che sarebbero state grandi e che mi preparassi a riceverle con
orazioni e calde suppliche; ed io ciò facevo. Ma mai avrei potuto pensare che
sarebbero state così grandi! Mai mi venne in mente di potere arrivare ad essere
sposato con la vostra Santa Madre e poi di avere la sorte felicissima di
essere vostro padre putativo! Che grazie sublimi mi ha fatto il nostro Dio nel
farmi tenere in terra le Sue veci!». E mentre ciò narrava, il divino Fanciullo
diceva: «Lodiamo insieme il mio divin Padre e rendiamogli grazie per tanti
favori incomparabili che ha fatto al nostro Giuseppe». Chiedeva alla divina
Madre che anche lei componesse qualche nuovo cantico in lode del suo Dio,
e ella lo faceva e lo cantava con tanta grazia e dolcezza che ne restavano
ammirati gli angeli stessi.
Il divino Fanciullo l’accompagnava, come anche il nostro Giuseppe
si ingegnava a seguirla, ed era cosa meravigliosa sentirli cantare con tanta
dolce melodia. Dopo si udivano gli uccelletti a cori, cantando anch’essi dolcemente,
e lodando a loro modo il Re e la Regina dell’universo. E il nostro
Giuseppe, tutto estatico per la dolcezza del canto della sua Santa Sposa, faceva
quel viaggio avvedendosene appena. Si rallegrava molto nel sentire
cantare quegli animaletti, godendo che lodassero il suo Dio essi, poiché non
lo facevano le creature ragionevoli.
Il nostro Giuseppe intese anche alcune volte i canti degli Angeli,
quantunque non li vedesse mai, ma fu molto di rado; ed essendo abituato ad
udire il dolcissimo canto della sua Santa Sposa, quello degli angeli non gli
portava grande meraviglia. Godeva però nell’udirlo e restava molto confortato.
Il nostro Giuseppe intese questi canti angelici all’avvicinarsi alla grotta
della natività del Redentore, e di ciò molto godette perché in quell’occasione
cantarono con più festa e dolce melodia.
Già immaginava il nostro Giuseppe, quando udiva questi canti senza
vedere cosa alcuna, che fossero gli angeli che facevano corte al loro Re e alla
Regina, ma non osò mai domandarlo. Glielo manifestò però la divina Madre
in occasione del canto delle divine lodi. Diceva: «Impariamo dai cori angelici
a lodare il nostro Dio. Sentite, Giuseppe, come lo lodano dolcemente e sapientemente?».

Così il Santo riceveva conferma che quelli che facevano quella dolce
armonia erano gli angeli santi, ed alla sua Sposa diceva: «Mia Sposa carissima!
Sappiate che mi portano grande allegrezza e consolazione i canti degli
angeli, ma senza paragone è la consolazione che porta al mio cuore il vostro
canto d’incomparabile dolcezza e di grazia inenarrabile! E chi mai potrà narrare
la letizia e la gioia che sente il mio cuore, il conforto che prova il mio
spirito quando, Sposa carissima, alzate la vostra voce dolcissima per cantare?
Io non so a chi paragonarvi, perché di gran lunga le [vostre] melodie sorpassano
[quelle] degli Angeli.
Infatti, Sposa amatissima, il nostro Dio vi ha dotata di tutte le virtù
sublimi e di tutte le prerogative per i quali degnamente possiate tenere il posto
di vera Madre del Messia; ed io godo e mi congratulo con voi, che siate
stata eletta a posto così degno, e ne rendo continue grazie all’Altissimo,
compiacendomi della vostra fortuna.

E voi, carissima, non vi dimenticate di rendere grazie al nostro Dio
per un così grande favore che ha fatto a me, indegnissimo, di eleggermi per
vostro Sposo e custode. Voi, che tanto gli siete gradita ed accetta, ringraziatelo
per me, perché io mi conosco insufficiente e non so come corrispondere
a tanti doni e a tante grazie!». La divina Madre ascoltava quanto le diceva il
suo Giuseppe e si umiliava, esaltando la divina Bontà per tutti i doni che le
aveva fatto. Poi assicurava al suo Giuseppe che non avrebbe mancato di fare
quello di cui egli la pregava.
Questi discorsi il nostro Santo li faceva quando il divino Fanciullo
era tutto attento a trattare con il suo divin Padre: infatti, spesso anche durante
il viaggio si prostrava genuflesso in terra e adorava il divin Padre, pregandolo
per la salvezza degli nomini. Allora il nostro Giuseppe e la sua Sposa accompagnavano
il loro Gesù nelle suppliche, e passavano [il tempo] in questi
santi discorsi, aspettando che il divino Fanciullo terminasse le orazioni che
faceva al Padre.
Godeva molto il nostro Giuseppe nel trattenersi in sacri discorsi con
la sua Santa Sposa, perché ne ricavava sempre qualche utilità per l’anima
sua, e poi restava appagato il desiderio che aveva di discorrere con lei, perché
molto l’amava.

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