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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (7) Capitolo VII – Continua il viaggio verso Nazareth; il timore che ebbe san Giuseppe sentendo che regnava Archelao

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Libro III – (7) Capitolo VII – Continua il viaggio verso Nazareth; il timore che ebbe san Giuseppe sentendo che regnava Archelao

I nostri santi pellegrini continuavano il loro viaggio, nel modo che
già si è narrato; e quantunque la divina provvidenza non mancasse di soccorrerli
in tutti i loro bisogni, con tutto ciò furono molti i patimenti che sostennero,
e la loro umanità restò, molto debilitata.
Dio, in questo viaggio, volle mettere alla prova il suo fedele servo
Giuseppe, come anche la divina Madre, ed arricchirli di grandi meriti attraverso
la sofferenza nel patire e la rassegnazione perfetta che avevano di fronte
a quanto Dio permetteva per esercitare la loro pazienza.
Quante volte in questo viaggio, non ebbero di che nutrirsi, e soffrirono
fame e sete! Quante volte furono bagnati dalla pioggia e non ebbero
dove asciugarsi e ripararsi ! Quante volte furono costretti a starsene la notte
in mezzo alla campagna all’addiaccio; e quante volte ancora, arrivati alle città,
non trovarono chi li alloggiasse, ed afflitti dalla fame e dalla sete non trovarono
neppure un bicchiere di acqua, né un pezzo di pane per rifocillarsi!
E dovevano uscire fuori della città perché non trovavano chi li volesse
alloggiare! Tutte queste cose erano tante spade al cuore del nostro Giuseppe,
che già sapeva chi erano i personaggi che conduceva con sé, e il vederli
tanto patire era per lui un grande tormento ed un dolore inesplicabile.
Con tutto ciò, sempre paziente, mai si lagnò di quanto Dio permetteva.
Mai si lagnò di chi gli negava un pezzo di pane e lo licenziava con
tanta scortesia. Il massimo che il nostro Giuseppe poteva fare era il rivolgersi
al suo Gesù, e dirgli : «Mio caro Figlio, quanta pena soffre il mio cuore nel
vedervi trattato cosi dalle vostre creature! Ma compatitele, perché non vi conoscono;
se vi conoscessero, di sicuro non vi negherebbero un poco di alloggio
ed un poco di cibo. Perciò sono degne di compassione».
A volte poi, quando si ritrovavano in mezzo a quelle campagne desolate,
dopo avere rivolto dappertutto gli occhi, e non vedendo luogo alcuno
da poter passare la notte, si affliggeva a causa del suo Gesù e della sua Sposa,
diceva al suo Dio dentro di sé: «Mio Dio, Voi fin dalla mia fanciullezza
mi prometteste che mi avreste soccorso ed aiutato in tutte le mie vie.
Ora vedete il bisogno in cui mi trovo. Non tanto per me vi prego,
quanto per il vostro Unigenito e per la sua divina Madre.
Questi sono di costituzione tanto nobile e delicata: quanto dunque
sarà grande il patimento che sentiranno?! Perciò io vi supplico, fate che essi
non lo sentano e mandatelo tutto sopra di me». Dio udiva le parole del suo
fedele servo e gli parlava al cuore, consolandolo e facendogli animo; e il
Santo restava molto confortato.
A volte, mentre camminavano per quei deserti, venivano delle bestie
feroci a fare l’inchino al divino Fanciullo, prostrandosi umilmente ai suoi
piedi; ed era cosa mirabile perché questi non partivano sin tanto che il divino
Fanciullo non le licenziava; e nel partire facevano anche atto di riverenza alla
divina Madre e poi a Giuseppe. Le ammirava attonito il nostro Santo, e
poi rivolto al suo Gesù gli diceva: «Come mai, figlio mio, le bestie più feroci
e selvagge vengono ad ossequiarvi e vi riconoscono per loro Creatore, e gli
uomini razionali non vi conoscono, né fanno alcun conto di Voi?! Anzi, vi
negano un po’di alloggio e un bicchiere d’acqua! Grande cosa si vede fra le
creature! Ora che siete piccolo vi riconoscono le fiere e non gli uomini;
quando sarete grande chi sa come sarete trattato!».
Ed allora il divino Fanciullo, sospirando, alzava gli occhi al cielo e
poi diceva: «Io sarò trattato come di Me è già stato scritto e si adempiranno
perfettamente tutte le Scritture».
Non capiva molto queste parole il nostro Giuseppe, altrimenti sarebbe
morto di dolore; tuttavia il suo cuore pareva presago, perciò molto si af200
fliggeva. E questo pensiero dei patimenti che il suo Gesù doveva soffrire in
avvenire serviva al nostro Giuseppe come un continuo dolore che, a guisa di
spada, feriva il suo amante cuore. Quando questo pensiero gli occupava la
mente più del solito, il Santo sveniva e si poneva a sedere.
Allora il divino Fanciullo accorreva con la santa Madre, reggendogli
la testa e confortandolo con le sue amorose parole. L’accarezzava con le sue
manine, l’accostava al volto e l’abbracciava amorosamente. Il Santo si rinvigoriva
tutto, levando quel pensiero dalla mente e quella pena dal cuore, ed il
suo spirito provava tanto godimento quanto era stato il dolore che aveva sofferto.
Altre volte, stanchi, si ponevano a sedere ed il divino Fanciullo se ne
stava in piedi facendo loro qualche discorso sopra le divine perfezioni, e tanto
la Santa Madre che il nostro Giuseppe se ne andavano in estasi per la consolazione
che sentivano.
Già si è detto come il nostro Giuseppe era solito patire svenimenti
d’amore, quando il beato incendio si accendeva più mirabilmente nel suo
cuore. Ed in queste circostanze il divino Fanciullo gli metteva le sue braccia
al collo e lo sosteneva, stando il Santo a sedere in terra, e poi diceva alla sua
santa Madre: «Mirate, Madre carissima, come il nostro Giuseppe langue
d’amore!». E mostravano di ciò molto gusto tanto il Figlio come la Madre.
Giuseppe stava per un pezzo in quel beato godimento fra le braccia del suo
amato Gesù. Alla fine Gesù lo chiamava, dicendogli che il divin Padre ordinava
che proseguisse il viaggio, ed allora, all’ordine del divin Padre, il fortunato
Giuseppe si riscuoteva e, tutto rinvigorito, seguitava il suo viaggio.
Prendeva per mano il suo Gesù: al Santo pareva che [il Fanciullo] gli servisse
di grande sostegno e di forte appoggio, come infatti lo era.
I nostri santi pellegrini, avendo viaggiato a lungo nel modo che si è
detto, si avvicinavano alla patria. Lasciava il divino Fanciullo la sua benedizione
in tutti i luoghi che passava. Il nostro Giuseppe era tutto contento di
trovarsi quasi vicino al termine di quel suo impervio viaggio, pensando che
presto sarebbero terminati i patimenti del suo Gesù e della sua diletta Sposa.
Mostrò grande consolazione con ambedue, dicendo loro che godeva molto
che si avvicinavano alla loro patria.
Fu però amareggiata questa consolazione del nostro Giuseppe, perché
fermandosi ad alloggiare la sera in un luogo vicino a Gerusalemme, intese
dire che regnava Archelao e che era persona assai terribile. Temette molto
e si contristò, dubitando che questo potesse perseguitare il suo Gesù come
aveva fatto Erode. Non voleva dichiarare la sua pena alla divina Madre perché
non si affliggesse anche Lei, né tanto meno il suo Gesù: così il Santo se
ne stava tutto mesto ed afflitto.

La Santissima Vergine già conosceva tutto. Non tardò molto a consolare
il suo afflitto Sposo, pregando anche il suo Gesù di consolarlo, assicurandolo
che non sarebbe successo nulla contro di lui. Gesù gli parlò insieme
con la Sua santa Madre, e lo consolarono, animandolo a non temere perché
sarebbe stato tutto come il divin Padre avrebbe permesso e niente più. E poiché
il divin Padre l’aveva richiamato dal suo esilio, non dovevano temere di
cosa contraria.
Si consolò molto l’afflitto Giuseppe per le parole del suo amato Gesù
e della sua Sposa, e svanì dal suo cuore ogni timore. Così rassicurato dalle
parole dei medesimi, lieto e contento proseguì il suo viaggio.
Si consigliarono [tra di loro] su come dovevano fare per il resto del
loro cammino e se dovessero andare a visitare il Tempio di Gerusalemme,
come anche la grotta di Betlemme – cosa di cui il nostro Giuseppe, come anche
la divina Madre, avevano un grande desiderio, per potere adorare il luogo
dove era nato il loro divin Figlio, avendovi una devozione particolare -.
Quantunque il nostro Giuseppe ordinasse tutte le cose come Capo
della Santa Famiglia, si rimetteva in tutto al divino Fanciullo ed alla Santa
Madre: voleva che si facesse in tutte le cose la divina volontà, che essi già
conoscevano perfettamente.
Fu stabilito di andare a visitare il sacro Tempio di Gerusalemme, per
ivi adorare il divin Padre e ringraziarlo di tutti i benefici fatti loro in quel
viaggio, e per il fatto che, avendoli richiamati di nuovo in patria, li aveva fatti
arrivare sani e salvi; poi sarebbero andati anche a Betlemme per adorare il
luogo della Natività. Così stabilito, seguitarono il loro viaggio con molta allegrezza
e consolazione del nostro Giuseppe ed anche della divina Madre.
Il nostro Giuseppe diceva alla sua Sposa ed al suo Gesù: «Chi sa se
ci riconosceranno quelli del Tempio e quelli della Città? Chi sa, Gesù mio,
come sarete Voi guardato da quella gente, e se mostrerà buona volontà verso
di Voi! Chi sa come saremo trattati! A me basta che trattino bene Voi, Gesù
mio, e la vostra Santissima Madre. Di me, poi, facciano ciò che vogliono,
perché di niente mi curo: purché io abbia Voi, questo mi basta».
Sorrideva il divino Fanciullo alle parole premurose del suo Giuseppe,
e gli diceva che non si prendesse pena di ciò, perché sarebbe avvenuto
tutto ciò che il suo Padre celeste aveva ordinato, ma nondimeno gradiva molto
la sua patema sollecitudine ed attenzione, e il desiderio che mostrava che
tutti lo trattassero bene; e gli diceva: «Mio caro padre, credete che sarete rimunerato
abbondantemente, non solo di quanto voi operate per me, ma anche
di tutti i desideri che voi avete, perché il mio Padre celeste rimunera anche
i desideri; perciò tutto il bene che voi mi desiderate, vi sarà largamente
rimunerato». Si poneva a piangere il nostro Giuseppe a queste parole, e rivolto
al suo Gesù, gli diceva: «O mio caro ed amato Figlio, che ricompensa
più grande posso io bramare, avendo Voi con me?! Anche se il divin Padre
per le mie poche fatiche non mi desse altra mercede che l’avermi costituito
vostro padre nutrizio, questa è una mercede incomparabile.
Che più si può bramare in questa vita, che avere la sorte di trattare
con Voi? E che non posso sperare di bene nell’altra, essendo vissuto [già
qui] in vostra compagnia?!».

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