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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (4) Capitolo IV – Come san Giuseppe condusse il suo Gesù alla bottega per insegnargli a lavorare e per suo aiuto e conforto; e di quanto LÌ GLI CAPITÒ

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Libro III – (4) Capitolo IV – Come san Giuseppe condusse il suo Gesù alla bottega per insegnargli a lavorare e per suo aiuto e conforto; e di quanto LÌ GLI CAPITÒ

Essendo il divino Fanciullo cresciuto in età, in modo che poteva fare
a san Giuseppe qualche servizio, volle Egli stesso andare con il suo padre
putativo per aiutarlo nel suo lavoro, e consolarlo con la sua amabile compagnia.
Non poteva credere il fortunato Giuseppe che il divino Fanciullo si volesse
tanto abbassare ed impegnarsi in così umile mestiere.
Perciò, quando il suo Gesù glielo disse, il Santo restò attonito e disse
che non glielo avrebbe mai permesso, se non l’avesse ordinato il divin Padre.
E così rivolto al suo Gesù, gli disse: «Come?! Voi, eterna Sapienza, volete
tanto abbassarvi?! E come potrà acconsentire il vostro servo a vedere Voi
impegnato nel lavoro, Voi tanto delicato, Voi che di continuo avete da trattare
con il vostro divin Padre la questione importantissima dell’umana Redenzione?!
Come potrò io vedervi in tanta bassezza impegnato?».
Lo quietò però il suo Gesù, dicendogli che tale era la volontà del suo
Padre celeste, e che Lui era venuto al mondo per servire, non per essere servito
e che doveva insegnare il disprezzo del fasto e della superbia mondana.
Il nostro Giuseppe si rimise alla volontà del divin Padre, né più replicò,
rivolgendo il pensiero alla sua fortuna, di avere con sé nella piccola bottega
il suo amato Gesù, e si consolò, chiamandosi felice; e rivolto alla divina Madre,
le disse che sentiva dispiacere che lei, nel tempo in cui Gesù si sarebbe
trattenuto con lui, sarebbe restata priva della Sua amabile presenza.
Ma la divina Madre, tutta uniformata alla divina volontà e piena di
carità, gli assicuro che lei godeva delle sue consolazioni e che si adempisse
la volontà del divin Padre.
Restò consolato il fortunato Giuseppe, e condusse con se l’amato suo
Gesù, con quella consolazione di spirito che ognuno può immaginare. Lavorava
il nostro Giuseppe, ma gli pareva di stare in Paradiso, avendo come assistente
il divin Figlio, il quale stava tutto attento per vedere ciò che poteva
servire al suo Giuseppe, porgendogli ora i ferri, ora le tavole; e quantunque
in età così tenera, cinque o sei anni, mostrava desiderio di [fare come una]
persona grande, affaticandosi nell’alzare le tavole.
Restava attonito il Santo e procurava in tutti i modi che il suo Gesù
non patisse e si affaticasse; ma il divino Fanciullo era tanto attento che preveniva
il Santo in tutto quello di cui aveva bisogno.

Il fortunato Giuseppe stava per lo più assorto alla vista del suo amato
Gesù, contemplando la Divinità che in Lui era nascosta, di cui ne vedeva traspirare
anche all’estemo chiarissimi segni. Faceva poi il divino Fanciullo tutte
le cose con tanta grazia che rapiva il cuore a chi lo vedeva; e molto più al
suo amato Giuseppe, che tanto l’amava.
Alle volte nel porgergli i ferri o altra cosa necessaria al lavoro, il
Santo lo prendeva per la mano e così se ne andava in estasi, tanta era la consolazione
del suo spirito. A volte, nell’atto stesso del lavorare, fissava gli
sguardi nel suo amato Gesti e restava così immobile.
Pativa inoltre il Santo di svenimenti d’amore, per cui si poneva a sedere
sopra il banco dove lavorava; ed allora il suo Gesù pigliava la sua mano
e l’accarezzava; e Giuseppe gli diceva: «Mio amato Gesù! Figlio caro e diletto!
E perché mai a me un così grande favore, di avervi in mia compagnia?!
L’anima mia non può più reggere alla pienezza del godimento che mi porta
la vostra amabile presenza». Gli rispondeva il suo Gesù e gli diceva che
quella era una piccola caparra del gaudio immenso che gli stava preparato
nella casa del suo Padre celeste. Si consolava [allora] molto più il Santo a
quelle parole, sperando di dover godere per una eternità quei beni e consolazioni
che alla mente umana non è possibile intendere, né penetrare.
Gli abitanti d’Egitto si accorsero che il fanciullo Gesù andava con il
suo padre putativo in bottega a lavorare, e restavano stupiti che in quella tenera
età il fanciullo potesse aiutare il padre suo. Intesero perciò molta allegrezza,
perché così lo potevano vedere e godere della sua presenza; di fatto
vi andavano molti, e restavano tutti stupiti della grazia e bellezza del divino
Fanciullo. Ammiravano la modestia, la maestà, l’affabilità, l’attenzione che
mostrava verso il suo Giuseppe in ciò di cui egli aveva bisogno, e tutti lo lodavano,
chiamando fortunato Giuseppe, perché aveva un tale figlio. Vi furono
però molti che ripresero il Santo, trattandolo da indiscreto: «Come faceva
ad avere tanto poco cuore da tenere quel Figlio così piccolo nella bottega, a
farlo lavorare sopra le sue forze!».
Queste parole trafiggevano il cuore del Santo, e non poteva rispondere
che egli in ciò non aveva parte, ma taceva, ed offriva a Dio il suo dolore.
L’amabilissimo Gesù si mostrava a tutti affabile ed amoroso, facendo con
il divin Padre tutti quegli atti che già nella sua Vita Interna si sono scritti.
Vi accorrevano anche dei fanciulli ad intrattenersi con l’amabile Gesù,
e Lui con costoro si tratteneva volentieri, e li istruiva sui misteri della vera
fede. Incominciò ad accorrere della gente alla bottega di Giuseppe, portandogli
qualche cosa per cibare il suo Gesù, perché ognuno sapeva la sua
grande povertà; ed il piccolo Gesù riceveva [i doni] con molta cortesia e poi
ne dispensava [parte] ai poveri.
Gli erano ordinati anche dei lavori. Lo facevano per avere occasione
di vedere e trattenersi con il divino Fanciullo. Così per la mole del lavoro
succedeva al nostro Giuseppe di affaticarsi molto, ma il suo Gesù non solo lo
aiutava, ma lo consolava anche con le molte finezze che gli faceva, asciugandogli
il sudore del volto con le sue sante mani; e l’aiuto, che Gesù dava,
serviva al Santo di molto sollievo. Languiva d’amore il Santo, ma era molto
rinvigorito dalla grazia del suo Gesù.
Erano poi i suoi lavori tanto ben fatti che portavano ammirazione a
tutti, restando tutti soddisfatti. Della mercede che il Santo riceveva delle sue
fatiche – che era ciò che gli davano di loro spontanea volontà -, [Giuseppe]
se ne serviva per sé tanto quanto era necessario; il resto lo dispensava ai poveri.
Di ciò ne godeva molto il suo Gesù, ed animava Giuseppe alla fatica,
perché con [il frutto di] quella poi poteva sovvenire i poveri, ai quali portava
affetto particolare.
Vi furono molti dei notabili della città che andarono di proposito e di
persona alla bottega di Giuseppe a domandargli il suo figlio, perché – dicevano
– «il fanciullo è di aspetto assai nobile e molto delicato, non è conveniente
tenerlo in questa bottega. Sarà da noi allevato con civiltà e trattato con
tutte le premure. Voi siete povero, perciò faremo anche a voi larghe elemosine.
Dateci dunque questo fanciullo: sarà cura nostra di farlo crescere secondo
gli usi della nostra cultura».
A queste parole il Santo tremava e impallidiva per il timore. Ringraziava
il loro affetto e diceva loro che lui non aveva nessun’altra consolazione
se non di avere con sè il suo Gesù. Egli era tutto il suo bene e il suo tesoro, la
sua eredità. Avrebbe dato tutto il suo sangue e la vita stessa piuttosto che restare
privo dell’amato suo Figlio.
A queste parole gli rispondevano: «Avete ragione, né possiamo in
questo darvi torto, né molestarvi». Il Santo restava tutto consolato, e dopo
diceva al suo Gesù: «O mio caro ed amato Figlio, non permettete mai che
resti privo di Voi, come per altro meriterei per le mie incorrispondenze al
vostro grande amore! Perda prima io la vita, che restare privo di Voi. So che
sareste molto ben trattato, se steste con questi che vi desiderano: ma Voi non
cercate delizie, né comodità. Voi siete amante della povertà, perciò spero che
non smetterete di stare con me, vostro povero servo!».
A queste parole gli faceva animo l’amabile Gesù, e gli assicurava
che Lui non si sarebbe mai allontanato dalla sua compagnia e che sempre gli
avrebbe obbedito come figlio in tutto a lui soggetto. A queste parole il Santo
piangeva per la consolazione che sentiva, e lo ringraziava affettuosamente.
Poi. quando andava dalla divina Madre, le manifestava tutto. Ella godeva
molto nel sentirlo raccontare, quantunque già sapesse tutto.

Quantunque il divino Fanciullo andasse alla bottega con il suo Giuseppe,
molto spesso però se ne restava con la sua diletta Madre, per consolarla
con la sua amabile presenza, trattenendosi con Lei in sacri colloqui.
Allora il nostro Giuseppe provava desideri amorosi e sospirava la vista
dell’amato suo Gesù, che bramava ardentemente; e in tale occasione
compativa la sua Sposa e diceva tra se: «Quanto desiderio amoroso deve soffrire
la divina Madre, quando il nostro Gesù si trattiene qui nella bottega con
me, e Lei resta priva della cara ed amabile sua presenza! Quanto la compatisco,
perché io ne provo una pena molto grande! Ora che sarà di lei, che tanto
più di me lo ama ed è suo figlio naturale. È giusto che Gesù la consoli trattenendosi
con Lei».
A volte capitava che – mentre pensava a ciò -, il Santo partiva dal
suo lavoro senza accorgersene, e si ritrovava a casa, dove era il suo Gesù con
la divina Madre, e avvedendosi di quanto gli era capitato, ne domandava
perdono alla Madre ed al figlio, dicendo loro che lo compatissero, perché
l’amore gli faceva fare quei passi senza che lui se ne accorgesse. In tali occasioni
era ricevuto dal Figlio e dalla Madre con grande dimostrazione di affetto,
ed anche lui era ammesso ai sacri colloqui che fra di loro facevano. Il
Santo restava tutto consolato e pieno di allegrezza, e dopo rendeva grazie al
suo Dio di quanto aveva permesso per suo bene e la consolazione dell’anima
sua. Dopo ritornava al suo lavoro e, poiché era stato tutto attento a quanto
aveva udito, mentre lavorava lo meditava.
Così faticava molto ma non sentiva il peso della fatica, perché
l’amore non gli faceva sentire il patimento, anzi: nella stessa fatica godeva,
sapendo che tutto faceva per adempiere la volontà del divin Padre e che con
il guadagno delle sue fatiche si cibavano il divino Fanciullo e la sua amata
Sposa, e che con il sopravanzo faceva la carità ai poveri; e sapeva che in ciò
dava molto gusto a Dio ed alla divina Madre.
Erano anche molte le dimostrazioni di affetto e di gratitudine che il
nostro Giuseppe riceveva dalla sua Santa Sposa per le fatiche che faceva, sia
per provvedere la casa del vitto necessario e di altro di cui c’era bisogno, sia
anche per l’elemosina che faceva ai poveri. Il nostro Giuseppe ne restava
confuso e quantunque gradisse molto le cordiali espressioni della sua amata
Sposa, tuttavia per la sua umiltà se ne riconosceva indegno, e le diceva, che
egli non meritava nessuna considerazione e che lei non doveva dimostrarsi
tanto affettuosa.
Era in obbligo di fare molto più di quello che faceva, e che non era
poca la sua fortuna, che sia lei come il suo divin Figlio gradissero la sua servitù,
di cui egli si riconosceva tanto indegno. Infatti, il nostro Giuseppe in
tutte le circostanze praticava sempre una profonda umiltà, riconoscendosi di
tutto immeritevole. Si affaticava per il mantenimento del suo Gesù e della
divina Madre, e stimava sua grande fortuna il potersi affaticare per il loro
mantenimento, come infatti lo era. Quando portava a casa qualche cosa –
come frutti, erbe, di cui si cibavano la divina Madre ed il piccolo Gesù -,
questi gli andava incontro e li pigliava con le sue sante mani, con tale dimostrazione
di affetto verso il suo Giuseppe che era una meraviglia vederlo; e
gli diceva: «Il mio Padre celeste rimuneri la vostra carità».
A queste parole il Santo non poteva contenere le lacrime, sentendosi
riempire di confusione ed insieme di giubilo e di consolazioni.
Continuò poi l’amabilissimo Gesù ad andare con il nostro Giuseppe
alla bottega per aiutarlo. Non costruì però mai [nel tempo del soggiorno] in
Egitto niente da sé solo. Invece il primo lavoro che Gesù fece [da sé] fu una
piccola croce, ma questa la volle lavorare a Nazareth fra i suoi, perché fra i
suoi e dal suo popolo eletto gli fu preparata, come si dirà.

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