Home

La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro III – (1) Capitolo I – I PATIMENTI CHE SOFFRÌ SAN GIUSEPPE MENTRE DIMORÒ IN EGITTO, LA PAZIENZA E UNIFORMITÀ ALLA DIVINA VOLONTÀ

Salva in Preferiti / Segnalibro
ClosePlease loginn

Non ancora registrato? Fallo ora!

Libro III – (1) Capitolo I – I PATIMENTI CHE SOFFRÌ SAN GIUSEPPE MENTRE DIMORÒ IN EGITTO, LA PAZIENZA E UNIFORMITÀ ALLA DIVINA VOLONTÀ

21 LUGLIO 1736
LIBRO TERZO

Il nostro Giuseppe stava in Egitto con quella povertà che già si è narrato,
senza altro sussidio che quello che si guadagnava con il suo lavoro e
con il lavoro che faceva la sua Santa Sposa.
Perciò si trovò spesso in molta necessità, perché bastava che quelli,
per i quali lavorava, non lo pagassero subito e gli trattenessero per un pezzo
il suo avere: il Santo non ardiva chiederlo con decisione, e piuttosto pativa
lui con la sua Sposa. Molte volte soffrì la fame, non avendo neppure un tozzo
di pane per cibarsi: Dio lo permetteva per tenere esercitato il suo servo
nella pratica delle virtù.
Si accresceva molto più la pena al nostro Giuseppe nel vedere che
pativa anche la divina Madre, eppure non sapeva dove rivolgersi per trovare
rimedio alla sua estrema povertà. Si risolveva a volte di andare a domandare
la sua mercede a quelli che avevano da dare la ricompensa e di fatto vi andava,
ma sempre armato di pazienza, perché per lo più riceveva male parole.
Quegli Egiziani già avevano capito il temperamento del sant’uomo,
che non si risentiva e che tutto soffriva con invitta pazienza; perciò se ne approfittarono
per strapazzarlo e non fame conto alcuno, perché era gente idolatra
che non faceva caso della virtù.
Quando ciò capitava, il nostro Giuseppe soffriva con pazienza ogni
strapazzo di parole e di minacce; e quantunque egli domandasse il suo avere
per carità, e con molta umiltà li pregasse di soddisfarlo per provvedere alle
sue necessità, con tutto ciò gli veniva negato scortesemente.
E più di una volta per nutrirsi dovette andare a cercare per elemosina
un pezzo di pane; ed anche questo a volte gli era negato con cattive maniere.
Il Santo tornava a casa tutto afflitto, ma uniformato alla divina volontà.
Lo compativa molto la divina Madre, e lo consolava animandolo a
soffrire e sperare nella provvidenza divina, che poi insieme invocavano; e
Dio non tardava a soccorrerli, inviando loro il cibo anche per mano degli
Angeli, benché ciò facesse dopo che il Santo si era esercitato per qualche
tempo nella pazienza ed a soffrire la fame e la sete con rassegnazione.
A volte poi vedeva vendere dei frutti coi quali di solito si cibava la
divina Madre, ed il nostro Giuseppe era desideroso di comprarne per portarglieli,
perché lei se ne cibasse, ma non possedendo denaro per comprarli, ne
sentiva una grande afflizione. Il suo cuore restava amareggiato per non poter
soddisfare al suo desiderio, perché, amando molto la sua Santa Sposa, bramava
anche ardentemente di fare tutte quelle azioni verso di lei che erano
convenienti e di provvederla di tutto ciò che le occorreva: ma in questo ebbe
molto da soffrire il nostro Giuseppe, e da rinnegare la sua volontà e la giusta
soddisfazione.
Nelle stagioni rigide, poi, soffriva molto il Santo, essendo tanta la
sua povertà da non avere abiti per ripararsi dal freddo né legna per fare il
fuoco, e quantunque ne provvedesse a volte secondo la possibilità che aveva,
nondimeno spesso avveniva che stavano senza avere con che comprarla.
Si vedeva il nostro Giuseppe tutto tremante di freddo, afflitto e mesto
al vedere che ciò pativano anche la sua Santa Sposa e il suo amato Gesù,
e non sapeva come provvedere al bisogno, perché non vi era modo da trovarne.
E rivolto alla sua Sposa le manifestava la sua afflizione, e si toglieva
il mantello perché servisse per riparare il freddo al divin Pargoletto, e le diceva:
«Che patisca io è cosa ragionevole, ma che abbiate a patire voi, Sposa
mia, e il nostro Gesù, questo sì che non è conveniente! Quanto grande è la
pena che soffre il mio cuore!». Lo consolava la divina Madre, e l’animava a
soffrire con generosità, perché così voleva il suo Dio, e gli diceva che tanto
lei come il suo Gesù pativano volentieri; e così si consolava alquanto il nostro
afflitto Giuseppe.
Quando il Santo era più afflitto e penetrato dal freddo, la divina Madre
gli dava il suo Gesù in braccio, così dal medesimo ispirata; ed allora il
nostro Giuseppe se lo stringeva al petto, e quantunque il fanciullo Gesù fosse
gelato e tremante, con tutto ciò riscaldava col suo divino fuoco l’afflitto suo
servo, accendendogli un beato incendio neH’anima, in modo che anche il
corpo ne restasse infiammato.
Altre volte, pure ritrovandosi in così estrema pena di freddo, si ponevano
a pregare di fronte al divino Fanciullo, e contemplando il loro Dio
Umanato si riscaldavano al fuoco dell’ardente sua carità. Si trovò anche molte
volte che nel tempo dell’inverno non avevano legna per fare fuoco, né cosa
alcuna per cibarsi.
Questo serviva al nostro Giuseppe di doppia pena, tanto più che faceva
le sue giuste riflessioni e diceva fra sé: «Dio mi ha costituito capo e
procuratore del suo divin Figlio e della sua Madre.

A me tocca provvederli di tutto, perciò io manco molto al mio dovere
al tenerli in così estrema penuria». E poi, rivolto al suo Dio, gli diceva: «O
Dio mio, voi vedete in che stato mi trovo e che non posso soddisfare
all’obbligo mio se Voi non mi provvedete! Datemi voi modo da poter soddisfare
al mio dovere. Se Voi non mi soccorrete, come farò? Vedo patire tanto
la mia Sposa ed il vostro Unigenito, e non so come soccorrere alle loro necessità.
Quelli che mi devono dare la mercede delle mie fatiche mi strapazzano,
né mi vogliono soddisfare; che potrò dunque fare io, se voi non mi
soccorrete?». Così l’afflitto Giuseppe si lagnava amorosamente con il suo
Dio, il quale non tardava a consolarlo, ispirandogli di andare in cerca
dell’elemosina, che poi facilmente trovava.
Dio volle tenere sempre più umiliato il suo servo, facendolo cercare
e mendicare per carità quello che gli era necessario per vivere, quando ne
avrebbe potuto fare a meno, se gli fosse stata data la mercede delle sue fatiche.
Ma Dio permetteva ciò perché voleva che il Santo superasse la ripugnanza
che aveva nel cercare l’elemosina, perché il nostro Giuseppe era
molto riservato nell’andare in pubblico a trattare con le persone. La sua verecondia,
il rossore verginale che gli ricopriva il volto, la confusione che
aveva erano molto grandi, ma tutto superava per adempire la divina volontà
e comparire come un povero mendicante e così praticare gli atti di vera ed
estrema povertà nella quale si trovava. Nel superare questa ripugnanza dava
però tanto gusto al suo Dio che, al ritorno a casa, era dal divino Infante accolto
amorosamente ed accarezzato più del solito, facendogli conoscere, con
quelle carezze, quanto gradiva quell’atto di umiltà e di mortificazione.
E gli parlava anche al cuore dicendogli: «Mio amato Giuseppe,
quanto gusto mi avete dato, e quanto merito vi siete acquistato! Che grande
mercede vi tiene preparata il mio divin Padre!» A queste parole il fortunato
Giuseppe piangeva, per la consolazione che ne provava, e dopo manifestava
tutto alla sua Santa Sposa, ed insieme ne davano lode a Dio, ringraziandolo
per le grazie che con tanto amore gli concedeva.
I patimenti del nostro Giuseppe non erano meno in estate per la stagione
calda, nella quale provava spesso dell’arsura. Lavorando si affaticava.
A volte non aveva neppure un sorso d’acqua per estinguere la sete, e benché
ne avrebbe potuta trovare con facilità, se ne asteneva e soffriva.
Mirava il sant’uomo l’esemplare d’ogni virtù e mortificazione che
Dio gli aveva dato, cioè la sua Sposa Maria, e procurava di imitarla in tutto,
e l’imitava con tanta esattezza che alle volte la divina Madre con le sue proprie
mani gli dava qualche ristoro, secondo che conosceva la necessità del
fedelissimo suo Sposo; ed allora il nostro Giuseppe lo riceveva con tutta
cordialità e rendeva grazie prima a Dio e poi alla sua Sposa, e le diceva: «O
Sposa mia, quanto è buono il nostro Dio, perché per mezzo vostro tanto mi
consola e fa conoscere a voi l’estremo mio bisogno!».

Non si mostrò mai scortese il nostro Giuseppe, né mai ricusò tutto
quello che dalla sua Sposa gli era dato, anzi lo riceveva con grande allegrezza
e devozione, primo, perché ne aveva necessità e poi perché gli veniva dalle
sue graziose mani, e lo riceveva come inviatogli da Dio; infatti era [proprio]
così.
Quando il Santo riceveva qualche cosa dalle mani della sua Sposa,
secondo il bisogno che ne aveva, benché a volte fossero pochi sorsi di acqua,
ciò gli apportava una consolazione interna molto grande ed una sazietà e sostanza
come se avesse mangiato e bevuto cose di grande nutrimento e di ottimo
sapore.
Una volta chiese alla sua Sposa la causa di questi effetti che provava,
e lei con tutta la sua grazia e prudenza gli rispondeva, che Dio gli concedeva
la sua grazia, perché lo voleva in tale modo consolare; allora insieme ne rendevano
grazie a Dio, datore di ogni bene.
Bramava il nostro Giuseppe di portare anche lui qualche sollievo e
consolazione alla sua Sposa, ma non sapeva come; perciò ne porgeva suppliche
al suo Dio, perché si degnasse di manifestargli qualche volta almeno i
suoi bisogni, facendoglieli in qualche modo conoscere.
Dio non tralasciò di consolare il suo fedele servo, facendogli capire a
volte la necessità che aveva la divina Madre di qualche sorso d’acqua, e il
Santo gliela dava, perché rinfrescasse l’arsura delle labbra, e la supplicava
con tanta sottomissione ad accettarla. La divina Madre lo compiaceva, e il
santo Sposo restava molto consolato e ne rendeva affettuose grazie al suo
Dio.
Ciò gli capitava però molto di rado, benché il Santo ne avesse sempre
un vivo desiderio. Gradiva molto la divina Madre l’affetto del suo Giuseppe,
e procurava di rimunerarlo in tutto, impetrandogli sempre nuove grazie
e favori dal suo divin Figlio.
Così i santi sposi usavano fra di loro gli atti di carità, osservando
quello che era loro di bisogno e di cui ne avevano necessità, per soccorrersi
l’uno l’altro. In questo però, quantunque il nostro Giuseppe fosse attentissimo,
si avvantaggiò molto la divina Madre, la quale si mostrava gratissima al
suo Giuseppe. Senza perdere mai tutta l’attenzione e cura immaginabile per
il suo Gesù, provvedeva il suo santo Sposo anche di tutto il necessario per
quello che a lei era possibile.
A volte quando lo vedeva macilento e stanco per la fatica, procurava
di preparargli la mensa con più attenzione, perché il Santo si rifocillasse con
gusto per mantenere le forze, e potesse lavorare ed acquistare il vitto necessario.
Conosceva il Santo la cura che la sua Santa Sposa aveva di lui e gli
si mostrava grato, e cresceva sempre più in lui l’amore e stima verso di lei, e
molto più la gratitudine verso il suo Dio, che gliela aveva data.

image_pdfimage_print
Libro III – (1) Capitolo I – I PATIMENTI CHE SOFFRÌ SAN GIUSEPPE MENTRE DIMORÒ IN EGITTO, LA PAZIENZA E UNIFORMITÀ ALLA DIVINA VOLONTÀ