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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (15) Capitolo XV – Come san Giuseppe fu perseguitato da alcuni malvagi per istigazione del demonio; la pazienza con cui il Santo soffrì e le sue virtù

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Libro II – (15) Capitolo XV – Come san Giuseppe fu perseguitato da alcuni malvagi per istigazione del demonio; la pazienza con cui il Santo soffrì e le sue virtù

Al nostro fortunato Giuseppe, quantunque si trovasse in mezzo a tante
consolazioni del suo spirito per la dolce conversazione che aveva con il
suo Gesù e con la sua Sposa Maria, non mancarono dei travagli e delle amarezze,
permettendolo Dio per provare il suo fedelissimo servo e per esercitarlo
nella pratica delle più sublimi virtù.
Il nostro Giuseppe era odiato a morte dal comune nemico, il quale
cercava tutti i modi per abbattere la sua invitta pazienza e per turbare la pace
del sua cuore. Istigò molti perversi contro il Santo, mettendo nel loro cuore
un odio grande verso di lui. E di fatto non lo potevano soffrire né vedere fra
di loro poiché, essendo tutti tenebre, odiavano la luce.
Molti si accordarono di strapazzarlo e maltrattarlo, procurando anche
di scacciarlo dal loro paese. Questo lo pretendeva il demonio, perché temeva
la conversione di molti per gli esempi e le parole del Santo.
Così un giorno cercarono di incontrarlo. Infatti lo incontrarono e,
appressatisi a lui, gli parlarono con cattivi termini e gli domandarono che cosa
era venuto a fare in Egitto, e perché non era rimasto nella sua patria. E gli
dissero: «Certamente tu sei un uomo cattivo, perché per i tuoi delitti sei stato
esiliato e scacciato dal tuo paese, e sei venuto qua per fare del male!».
A queste parole il nostro Giuseppe chinò la testa e disse: «Sono venuto
in questo luogo per fare la volontà di Dio, e non per fare del male, e le
mie azioni ve ne daranno chiara testimonianza».
A queste parole si infuriarono quei perfidi, e dissero delle male parole
al Santo, il quale non rispose più cosa alcuna.
Lo minacciarono di volerlo percuotere se non partiva dal loro paese,
e di volerlo scacciare con violenza prima che egli facesse qualche delitto, e
che stesse attento perché, se lo incontravano [ancora], lo avrebbero bastonato;
e se non partiva, sarebbero andati dove egli dimorava e l’avrebbero scacciato
con violenza. Così per il momento lo lasciarono.
Non si turbò il Santo, sapendo benissimo che non gli avrebbero potuto
fare del male alcuno se il suo Dio non lo avesse loro permesso. Tuttavia
si intimorì molto, pensando che, se fossero andati alla casa dove dimorava la
sua Sposa, ella si sarebbe turbata al vedere la loro perversità. Così si raccomandò
molto al suo Dio, perché lo liberasse da ogni male, togliesse la potenza
ai suoi avversari e non gli potessero nuocere in cosa alcuna.

E diceva al suo Dio: «O mio Dio, Voi sapete perché io sono venuto
qui e perché faccio qui la mia dimora! Perciò difendete Voi il vostro Unigenito
Figliuolo, la sua Madre e me vostro servo. Io altro non bramo che
adempiere la Vostra santa volontà, ma se è volontà Vostra che noi siamo afflitti
e perseguitati, che soffra io solo! Riceverò volentieri gli affronti, le ingiurie,
le battiture, purché lasciate stare in pace la mia Sposa e il mio Gesù.
Non permettete mai che questi siano maltrattati, né con parole né
con i fatti. Di questa grazia Vi prego: è giusta, non me la negate». Così diceva
il pazientissimo Giuseppe mentre tornava a casa, e Dio non mancava di
consolare internamente il suo servo, assicurandolo che Lui non l’avrebbe abbandonato
alla furia di quei perversi, ma che l’avrebbe sempre protetto e difeso;
e così il Santo si consolava
Arrivato a casa trovò la sua Sposa col suo Gesù in braccio, il quale
lo guardò con volto ridente, facendo violenza alla Madre perché lo desse in
braccio al suo Giuseppe, che lo ricevette con molta consolazione dell’anima
sua e restò tutto allegro e consolato, godendosi le care delizie col suo Gesù,
al quale espose il suo travaglio passato e lo pregò che impetrasse loro luce e
grazia dal suo divin Padre. Così il nostro Giuseppe contraccambiò le ingiurie
ricevute, desiderando bene a chi gli faceva del male. In seguito narrò
[l’accaduto] alla sua sposa Maria, la quale già sapeva tutto, e lei l’esortò alla
pazienza, l’animò a non temere di cosa alcuna, e gli disse che con quel travaglio
Dio voleva provare la sua fedeltà ed arricchirlo di meriti.
Il nostro Giuseppe resto molto consolato e animato alla sofferenza, e
dovendo andare in città a provvedersi di ciò che gli era necessario, vi andava
sempre preparato a soffrire tutti i cattivi incontri. E ne ebbe molti, perché
quei perversi ostinati andavano sparlando del Santo e aizzavano la gente
contro di lui.
Il nemico infernale, servendosi di essi, procurò che fosse da molti
odiato e perseguitato, nonostante che ognuno conoscesse chiaramente la sua
innocenza e bontà, e che non era [persona] capace di fare male ad alcuno.
Mentre attendeva a sé, e non trattava se non di ciò che riguardava il
suo mestiere, non osservando neppure le strade per dove passava perché andava
sempre con il pensiero fisso in Dio, fu di nuovo trovato da quei perfidi
che lo perseguitavano, lo maltrattarono con parole ingiuriose e di nuovo gli
intimarono che partisse dall’Egitto. Il Santo rispose loro con grande umiltà
che avessero pazienza, che sarebbe partito quando al suo Dio fosse piaciuto.
Da queste parole presero spunto per maltrattarlo molto di più.
Ma il Santo taceva e soffriva tutto con invitta pazienza e pregava
molto per essi. Non andarono però mai in casa dove il Santo dimorava, perché
stava in un luogo molto ritirato, dove non vi accorreva gente; tuttavia vi
provarono più volte, ma non vi riuscirono mai, venendone sempre impediti.
Dopo che costoro ebbero molto perseguitato il Santo, si stancarono, e riflettendo
sulla sua grande pazienza, lo lasciarono vivere in pace. Di questo si
rallegrò molto il nostro Giuseppe.
Non si quietava invece il nemico che, sempre più infuriato, procurava
in tutti i modi a lui possibili di fare che Giuseppe partisse da quel paese,
dove egli la faceva da padrone, per essere ivi adorato da quella cieca nazione.
Così si mise ad istigare altri, con modi più impropri, e fu di mettere loro
in cuore di togliere al nostro Giuseppe la sua Sposa; questo [assalto] fu per il
nostro Giuseppe un travaglio assai più grande del primo.
Già si era incominciato a propagare per l’Egitto che la Sposa del nostro
Giuseppe era di una rara e singolare bellezza: ciò servì a più di uno di
quei perfidi quale motivo per volerla togliere al suo Sposo, tanto più che lo
tenevano per uomo di poco spirito e pensavano che non avrebbe fatto resistenza.
Quei perfidi istigati dal demonio dicevano: «Costui è povero e vile, e
starà quieto!».
Fu ciò riferito al nostro Giuseppe, che ne intese grande amarezza,
non già perché temesse che la sua Sposa potesse soffrire alcun male – perché
già di ciò era sicurissimo, che [cioè] Dio l’avrebbe protetta e difesa -, ma gli
venne subito in mente l’affronto che lui le fece nel volerla lasciare, quando si
accertò della sua gravidanza. E temette che Dio, come pena della sua infedeltà,
gli volesse permettere quel grande travaglio.
Si turbò molto per questo e andò subito a casa, dove trovò la sua
Sposa in orazione e il suo Gesù che si riposava. Il timoroso Giuseppe non
volle distogliere dall’orazione la sua Sposa, né distoglierla dall’altissima
contemplazione in cui era; perciò si mise in disparte a pregare anche lui e
supplicare il suo Dio che lo liberasse da quel così grave travaglio.
Piangeva amaramente l’afflitto Giuseppe, e diceva al suo Dio che se
ciò avesse permesso, sarebbe stato meritato come pena dell’errore che lui già
una volta aveva commesso di volere lasciare la sua santa Sposa.
Diceva tutto afflitto: «Signore, voi sapete il fine per il quale io avrei
fatto ciò, non essendo stato informato di quanto nella mia santa Sposa era
avvenuto! Perciò vi prego di perdonarmi e di non permettere mai che la mia
Sposa mi sia tolta, ed io resti privo della sua cara compagnia!». In spirito sapeva
e vedeva tutto la divina Madre, la quale non tralasciava di pregare per il
suo afflitto Sposo.
Terminata l’orazione, la divina Madre andò a consolare il suo Giuseppe,
il quale le si gettò ai piedi tutto afflitto e piangente e le narrò quello
che gli era stato riferito.
Lo consolò la divina Madre, e l’animò a non temere, perché il suo
Dio non avrebbe mai permesso ciò. Soggiungeva l’afflitto Giuseppe: «Sposa
mia, io temo che il nostro Dio voglia permettermi questo travaglio, perché io
l’offesi gravemente quando, conoscendovi incinta, determinai di lasciarvi!».
Diceva ciò con grande abbondanza di lacrime. Lo compativa la divina Madre,
lo consolava e gli assicurò che il suo Dio non avrebbe mai permesso ciò.
Allora il Santo, sempre più umiliato, chiese di nuovo perdono alla
sua Sposa della deliberazione che in quel tempo aveva fatta; e diceva: «O
Sposa mia, io so che voi di cuore mi perdonaste e mi impetraste il perdono
anche dal nostro Dio. Ora vi prego di perdonarmi di nuovo e di impetrarmi
dal nostro Dio nuovamente il perdono e la grazia che io non resti mai privo
di voi. Che farei io, Sposa mia, senza di voi?! Finirei i miei giorni in pianto
ed amarezza! Quanto infelice io sarei!». Lo rassicurò di nuovo la divina Madre
e l’animò a non temere.
Si consolò il Santo per le parole efficaci dell’amata sua Sposa, e si
rasserenò nel volto e molto più nell’anima, la quale era trafitta da acuto dolore.
Intanto si destò il divino Infante e mirò con occhi benigni ed amorosi il
suo amato Giuseppe e volle andare nelle sue braccia.
Il Santo lo ricevette con grande affetto e se lo strinse con grande
amore. Il suo Gesù gli fece molte puerili finezze, e il fortunato Giuseppe andò
in estasi per la gioia: gli furono rivelati altissimi misteri e conobbe anche
che il suo Dio lo voleva provare in molte cose e dargli occasioni di acquistare
merito e di praticare le virtù, che a Lui tanto piacevano.
Stette per un pezzo il nostro Giuseppe in questo godimento, con il
suo Gesù nelle braccia e, tornato dall’estasi tutto lieto e contento, rese grazie
al suo Dio, e poi alla divina Madre, di quanto gli aveva detto per sua consolazione;
e insieme lodarono Dio.
Svanì poi questo travaglio perché Dio non permise che quei perfidi
mettessero in esecuzione il loro pessimo disegno, perché mandò loro tanti
travagli che non pensarono più a ciò che avevano determinato di fare contro
il nostro Giuseppe.
Terminato questo travaglio, il nostro Giuseppe ritrovò tutta la sua
quiete, ma ne sopraggiunse un altro di non poca considerazione, e fu che –
essendo stati rubati alcuni ferrami e legni ad imo che faceva la sua stessa arte
-, fu subito incolpato il nostro Giuseppe, [adducendo essi] questa motivazione:
essendo povero e fuggitivo, li aveva presi per potervisi aiutare. E credevano
che fosse colpevole di molti altri delitti del genere. Dicevano: «Costui,
certo, non è venuto per caso da queste parti. E verosimile che, essendo così
povero, abbia rubato della roba nel suo paese per poter vivere, e così l’hanno
scacciato!».
Tutte queste suggestioni metteva in testa [alla gente] il comune nemico,
per fare calunniare il Santo e per farlo strapazzare e scacciare
dall’Egitto. Il nostro Giuseppe fu avvisato di ciò da un suo amico: doveva
mettersi in salvo, altrimenti sarebbe stato preso come delinquente, perché
molti credevano che lui di certo aveva preso il tutto furtivamente.

Restò sorpreso il Santo dell’inaspettato avviso, e ringraziando con
gentili maniere chi l’avvisava, gli disse liberamente che lui di ciò era innocente;
perciò non stimava bene di ritirarsi e sperava che il suo Dio l’avrebbe
difeso e che avrebbe fatto conoscere a tutti la sua innocenza.
Il nostro Giuseppe si raccomandò molto a Dio, perché lo liberasse da
quella falsa impostura e che facesse conoscere ad ognuno la verità. Nondimeno
il nostro Giuseppe fu preso da quelli stessi cui era stata rapita la roba,
e con mali modi e parole fu interrogato, dove l’avesse portata. Si strinse le
spalle il nostro innocentissimo Giuseppe, e disse chiaramente che lui di ciò
non sapeva cosa alcuna; e quantunque fosse conosciuta da tutti i circostanti
la sua innocenza, non mancarono di quelli che lo maltrattarono e ingiuriarono,
minacciandolo di castigarlo. Non disse altro il Santo in sua difesa, solo
che, essendo lui poverissimo, godeva nella sua povertà, e non cercava né si
curava di cosa alcuna; gli bastava ciò che aveva, e se lo volevano privare anche
di quel poco che aveva, lui non se ne curava punto, perché Dio l’avrebbe
soccorso nei suoi bisogni.
Dio permise che si quietassero tutti alle parole del suo fedele servo e
lo lasciarono andare in pace. Se ne andò il nostro Giuseppe dalla sua Sposa e
le narrò quello che gli era capitato, e la divina Madre lo consolò e l’animò a
soffrire tutto con pazienza per fare acquisto di molti meriti, e poi resero grazie
a Dio che l’aveva liberato da quel grave travaglio.
Fu trovato poi chi aveva rubato la roba, e così restarono molto più
rassicurati dell’innocenza del nostro Giuseppe il quale, saputo ciò, non rimproverò
i suoi calunniatori, ma soffrì tutto con pazienza. Quelli non porsero
nessuna scusa al Santo, perché lo ritenevano una persona vile di cui non
c’era da fame conto alcuno.
Il nemico infernale restò anche in questo fatto molto confuso, e si infuriava
molto più verso il Santo, al vedere che non solo non poteva fargli
perdere la pazienza fra tanti travagli, ma che il Santo di tutto si serviva per
acquistare maggiore merito. Non tralasciava però di andare aizzando ora
uno, ora un altro contro il Santo, di modo che – quando il nostro Giuseppe
usciva di casa – per lo più trovava sempre qualche persona che lo maltrattava
o che lo scherniva. Fu prodigiosa la pazienza del nostro Giuseppe mentre
dimorò in Egitto, perché non gli mancarono mai travagli.
Eppure il Santo non si risentì mai con alcuno né si lamentò, ma tutto
soffrì con pazienza, con rassegnazione e con allegrezza. Non diceva altro ai
suoi persecutori se non: «Dio vi perdoni». E di fatto accompagnava alle parole
anche le opere, perché pregava molto Dio per essi e desiderava per loro
il vero bene, e che arrivassero alla cognizione del vero Dio, e spargeva molte
lacrime per ottenere questa grazia.
Il nostro Giuseppe era agitato anche da un timore molto grande, che
Dio permise al suo servo per esercitarlo nella virtù: trovandosi fra gente
barbara nemica del vero Dio, temette sempre di qualche affronto o strapazzo
che potessero fare alla sua Sposa ed al suo Figlio. Aveva questo presentimento
che quasi sempre lo crucciava, e diceva fra sé: «Costoro mi vogliono
male, e per farmi dispiacere maltratteranno la mia Sposa e il divino Fanciullo,
e li scacceranno di casa quando io non vi sono!». Perciò il Santo, quando
era fuori di casa, stava sempre con questa pena nel cuore, e ogni ora gli parevano
mille per tornarsene a casa a vedere se fosse successo qualche travaglio
alla sua Sposa; e quantunque fosse certo che Dio aveva una cura particolare
di lei, Dio tuttavia permise che il Santo stesse sempre con questa pena.
Soffriva però il tutto con tanta rassegnazione che non fu veduto mai
inquieto o turbato, ma sempre con volto sereno e gioviale. Con quelli stessi
che lo maltrattavano, egli aveva sempre il volto sereno e non mostrò mai ad
alcuno, non solo sdegno, ma nemmeno turbamento, come se non avesse ricevuto
mai alcun dispiacere. Ne restavano ammirati anche quei barbari e non
riuscivano a capire come il Santo fosse tanto indifferente in tutte le cose contrarie.

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Libro II – (15) Capitolo XV – Come san Giuseppe fu perseguitato da alcuni malvagi per istigazione del demonio; la pazienza con cui il Santo soffrì e le sue virtù