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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (14) Capitolo XIV – Come si comportò san Giuseppe nella dimora in Egitto, e delle VIRTÙ CHE PRATICÒ

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Libro II – (14) Capitolo XIV – Come si comportò san Giuseppe nella dimora in Egitto, e delle VIRTÙ CHE PRATICÒ

Il nostro Giuseppe, come si è detto, si era sistemato in Egitto in quella
piccola casetta. Procurò di incominciare ad esercitare l’arte sua di falegname,
per potersi sostentare con le sue fatiche, ed anche per poter mantenere
il vitto alla sua Sposa e al divin Pargoletto. Domandò prima il parere alla
divina Madre, che cercasse quale fosse la volontà del suo Dio, se poteva
esercitare l’arte sua, oppure impiegarsi in altro. Intese che era volontà di Dio
che continuasse nel suo mestiere, e così si mise all’opera.
Il nostro Giuseppe in principio cercò in prestito gli strumenti per lavorare,
poiché non aveva niente di proprio.

A volte gli erano dati, ed altre gli venivano negati con scortesia,
permettendolo Dio per esercitare il suo servo nella virtù della pazienza e della
rassegnazione; infatti, quando gli era negato qualche cosa, il Santo si umiliava
molto, e tutto attribuiva ai suoi demeriti. Tornava nondimeno a domandarli
di nuovo con grande umiltà e mansuetudine finché li otteneva e si poneva
a servizio di tutti quelli che gli facevano la carità di imprestarglieli, dicendo
loro che chiedessero ciò che avevano visto egli era abile [di fare], ed
egli di buon cuore li avrebbe serviti. Infatti, il nostro Giuseppe si acquistò
l’affetto di molti con la sua umiltà e con le sue gentili maniere.
Si applicò al lavoro, che non gli mancava mai, perché lavorava, non
solo assai bene, ma riguardo alla paga prendeva quello che gli era dato senza
replicare; quando gli pagavano il suo lavoro assai meno di quello che costava,
il Santo riceveva [il compenso come] carità e li ringraziava con tanto affetto,
come se gli avessero fatto un dono.
A poco a poco il nostro Giuseppe fece qualche cosa di necessario per
il suo Gesù e per la sua santa Sposa, perché poco spendeva per cibarsi, e per
questo ricevevano anche spesso qualche elemosina dalle vicine più amorevoli;
così con ciò che guadagnava con le sue fatiche, egli faceva ciò che era necessario
prima per il suo Gesù e per la divina Madre, e poi per quello che gli
era necessario per esercitare l’arte sua.
Anche la divina Madre si esercitava nel lavoro delle sue mani, lavoro
che le veniva portato dal suo Giuseppe, oppure da qualche vicina. [Le vicine
infatti] facevano a gara di potervi andare a portarle il lavoro, non tanto
per bisogno che avessero del lavoro, ma per vederla ed avere la sorte di parlarle,
perché si era sparsa la fama della sua bellezza, delle sue virtù e modestia
singolare, e specialmente poi della mirabile bellezza e grazia del di lei
Figliuolo: quando lo guardavano, restavano tutti presi dal suo amore ed invidiavano
la sorte di [quella] Santa Madre che aveva un tale figlio.
La divina Madre però ammetteva le visite delle donne a lei vicine,
ma per breve tempo, e le sue parole penetravano i loro cuori. Poi esse partivano,
non solo compunte e consolate, ma con desiderio di presto tornare a
trattare [con lei] e per vedere l’amabilissimo suo Figlio, la bellezza e grazia
del quale facevano restare tutti ammirati.
Benché fossero cuori infedeli, restava sempre in essi impresso
l’amore e la venerazione della maestà del Fanciullo: quantunque fosse in
quella tenera età, si scorgeva benissimo che in lui c’era un non so che di più
degli altri fanciulli, perché Egli si mostrava amoroso, allegro e gioviale, ma
era anche assai maestoso e grave il suo aspetto. Il nostro Giuseppe non tralasciava
di fare qualche elemosina ai poveri, quantunque si trovasse anche lui
in tanta povertà, e la divina Madre lo pregava di farla specialmente quando
riceveva la paga del suo lavoro. Sempre vi era la parte per i poveri, così era
anche del [compenso per il] lavoro che faceva la sua Sposa.

Il nostro Giuseppe si applicava a lavorare, ma non tralasciò mai i
suoi soliti esercizi di orazione e il recitare le divine lodi insieme con la sua
Sposa. A volte, essendo un po’stanco per la fatica, andava dalla sua Sposa e
le diceva la sua stanchezza, e lei, dal Bambino ispirata, gli dava in braccio il
suo Gesù. Il fortunato Giuseppe lo riceveva con tutta umiltà, riconoscendosi
indegno di tanto favore; abbracciato che l’aveva, si sentiva tutto rinvigorire e
tornare le forze. Si sentiva poi riempire l’anima di giubilo e, tutto consolato,
si godeva il suo amato Gesù, dal quale riceveva molte puerili carezze, per le
quali andava in estasi per la gioia; e poi, preso dalla violenza e dall’impeto
dell’amore, se lo stringeva al petto e lo baciava, ora nei piedi, ora in mezzo
del petto. Il divino Infante mostrava grande godimento, sorridendo alle amorose
carezze che il suo Giuseppe gli faceva.
Molte volte fu costretto il Santo a rendere presto il suo Gesù alla divina
Madre, perché non poteva reggere all’impeto dell’amore ed alla consolazione
incomparabile che sentiva nell’anima sua, e rivolto al suo Gesù gli
diceva che gli desse un cuore più grande per potervi ricevere il torrente delle
consolazioni e la grandezza del suo amore.
A volte, nell’entrare in casa, trovava la divina Madre che, tenendo in
braccio il suo Gesù, gli faceva delle carezze. Vedendo il suo Giuseppe, [il
Bambino] si lanciava in atto di volere andare da lui, e la divina Madre subito
glielo dava. Allora il Santo se ne andava subito in estasi per la gioia, e poi,
tornato in sé, piangeva dolcemente, e diceva al suo Gesù: «O Gesù, amore
mio, donde a me miserabile, tante grazie?! Che voi vi degnaste di venire da
me essendone pregato, sarebbe grande cosa: ma venirci di vostra spontanea
volontà, e mostrarne di ciò anche desiderio, questo sì che è troppo! Ma che
farò io per Voi, caro mio bene?! Eccovi tutto me stesso: fate di me ciò che vi
piace, perché io sono tutto vostro». Mentre ciò diceva, il divino Infante lo
fissava con gli occhi amorosi, in atto ridente, mostrandogli con ciò quanto
gradiva le sue espressioni amorose.
Il Santo fece una culla dove mettere a riposare il suo Gesù, e fece
anche tutto ciò che era necessario, perché vi potesse stare comodo; la divina
Madre ve lo poneva, quando era impegnata a preparare il cibo, e quando lavorava
se lo teneva vicino perché, anche lavorando, lo potesse guardare e
contemplare. Quando Giuseppe veniva e lo trovava coricato nella sua culla,
si prostrava in terra e l’adorava, e se capitava che il Fanciullo dormiva, si
poneva a contemplarlo ed insieme alla sua Sposa lo miravano attentamente,
e stupiti dicevano fra di loro: «Questo è l’Unigenito del divin Padre, il Messia
promesso, il Verbo Divino, il Padrone dell’universo! Eccolo qui sotto
spoglia mortale!» E rivolto alla sua Sposa le diceva: «È stata vostra la sorte,
o Sposa mia, di vestirlo di carne mortale. Per mezzo vostro si è fatto passibile
l’impassibile, finito l’infinito, e l’incomprensibile compreso. Grande fortuna!
O dignità incomparabile essere voi stata eletta per madre di un Dio!».
Mentre diceva ciò, si destava il divino Infante, e fissava gli amorosi sguardi,
ora verso la sua cara Madre, ora verso il suo Giuseppe, e stava qui con atto
maestoso e insieme affabile e amoroso, ed essi contemplavano la maestà del
loro Dio sotto le spoglie deH’umanità.
E poi insieme dicevano qualche inno di lode al loro Umanato Dio,
inno che componeva sapientemente la divina Madre.
A volte poi, mentre si cibavano, tenendo la santa Madre in braccio il
suo divin Figliolo, erano presi ambedue da una consolazione [maggiore] più
del solito nel mirare il volto bellissimo del loro Gesù.
E così andavano in estasi senza potersi più cibare, e stavano per un
pezzo in tale modo, servendo anche quello di refezione per il corpo: infatti,
tornati dall’estasi, si sentivano sazi come se si fossero cibati lautamente; così
insieme rendevano grazie di quanto avevano ricevuto. La divina Madre e san
Giuseppe si mostravano molto grati al loro Gesù per le grazie che concedeva
loro, e con questo si disponevano a riceverne sempre di nuove, grazie che
generosamente loro dispensava il loro Gesù.
Ai santi sposi, fra tante consolazioni che godevano, non mancarono
delle amarezze, perché Dio voleva che acquistassero grandi meriti, i quali si
acquistano nel soffrire. Avveniva spesso che il divino Fanciullo stesse nella
culla, privandosi della consolazione che sentiva nello stare in braccio alla
sua santa Madre e al suo Giuseppe, e qui piangeva amaramente.
Lo vedeva la divina Madre pieno di lacrime, e aveva l’ordine di non
prenderlo; perciò se ne stava genuflessa piangendo anche lei in sua compagnia.
Il nostro Giuseppe si disfaceva in amare lacrime nel vedere in tal modo
il suo Gesù e la sua amata Sposa, sospirava e bramava di sapere la causa del
loro pianto.
La divina Madre glielo manifestava: questo avveniva per i peccati
del genere umano, e perché il divin Padre era tanto gravemente offeso.
Restava ferito il cuore del nostro Giuseppe nel vedere piangere il suo
innocente Gesù, e piangeva inconsolabile, e si amareggiava al pensiero che
anche lui concorreva ad affliggere il divino Infante con le sue colpe.
E perciò si poneva con la faccia per terra, e domandando perdono al
suo caro Gesù, lo supplicava di degnarsi di dare a lui tutto il dolore e
l’amarezza, e di volere cessare dal piangere, perché il suo cuore non lo poteva
sostenere, e diceva: «Mio caro Gesù! Mio divin Salvatore! Cessate dal
pianto e date tutta la pena al vostro Giuseppe. Io devo piangere, io che sono
colpevole, e non voi che siete innocente!». Poi offriva al divin Padre le lacrime
del suo Gesù, in sconto delle offese che dal mondo riceveva, perché
così era ammaestrato dalla divina Madre. Quando poi il suo Gesù stava così
afflitto e piangeva, si volgeva a guardare ora la divina Madre, ora l’afflitto
Giuseppe, e li guardava in atto compassionevole, quasi cercasse di essere da
essi consolato e compatito. Questi sguardi ferivano il cuore del nostro Giuseppe,
il quale bramava di consolarlo e non sapeva come, e si sentiva struggere
il cuore. Rivolto alla sua Sposa le diceva che intendesse la Sua volontà,
che cosa bramasse e che cosa potesse fare per consolarlo; e la divina Madre,
che già sapeva tutto, gli diceva che bramava che il suo divin Padre fosse conosciuto
e amato da tutte le sue creature.
Allora il nostro Giuseppe si accendeva di un più vivo desiderio che
tutti amassero il suo Dio, e poiché non poteva fare altro, si univa con la sua
Sposa a lodarlo a nome di tutti.
Ciò molto gradiva il divino Infante e si rasserenava nel volto e cessava
di piangere. Poi faceva atto di volere andare nelle braccia della divina
Madre, e lei lo prendeva con grande amore, lo accarezzava e se lo stringeva
al petto; e dopo andava in braccio al suo Giuseppe.
Ed anche lui l’accarezzava, se lo stringeva, e in tale atto piangeva
per la consolazione che provava, e gli diceva quanto lui l’amava e quanto lo
compativa, e lo supplicava di non volersi tanto affliggere, perché il suo cuore
non lo poteva sostenere; e gli diceva: «A me date l’afflizione, a me tutta la
pena, o mio caro Gesù! Non vogliate soffrirla voi, altrimenti io morrò per il
dolore!». Il suo Gesù gli mostrava poi quanto gradiva i suoi cordiali affetti
facendogli delle finezze, e riempiendo di consolazione l’anima sua; gli parlava
al cuore e gli manifestava quanto grande era l’amore che gli portava, e
quanto gli fosse gradito e con quanto gusto dimorasse fra le sue braccia; e
così si convertiva in dolcezza tutta l’amarezza che aveva provato prima.
Il nostro Giuseppe a volte si trovava presente quando la divina Madre
fasciava il suo Bambino, il quale – sciolto dalle fasce – si poneva a mirare
il cielo con le braccia in forma di croce, e così immobile si tratteneva per
qualche tempo, offrendosi al divin Padre. La santa Madre lo guardava attentamente
e l’accompagnava nelle offerte. Vedendo questo, il nostro Giuseppe
si affliggeva molto e con lacrime di dolore domandava alla sua Sposa per
quale ragione il suo Gesù stesse in quella posizione.
Ella, tutta afflitta, gli diceva che si stava offrendo al suo divin Padre,
pronto a soffrire tutto ciò che a Lui fosse piaciuto per la salvezza del genere
umano. Non gli manifestava però che si offriva pronto a morire su una croce,
per non affliggerlo maggiormente, ma già il cuore del nostro Giuseppe era
presago, se non di tutto, almeno in parte di quello che il suo Gesù avrebbe
sofferto in futuro, perciò piangeva inconsolabilmente.
La divina Madre, benché fosse di lui più afflitta e addolorata, lo consolava
e l’animava a soffrire con pazienza, poiché così piaceva al divin Padre.
Si calmava il Santo e si uniformava tutto alla divina volontà.
Terminate le sue offerte e petizioni, il divino Fanciullo rivolgeva gli
occhi amorosi verso il suo Giuseppe e, chinando la testa, l’invitava ad
appressarsi, e lui lo faceva con grande sottomissione e riverenza. Allora il divino
Infante stendeva le sue manine verso il volto del suo Giuseppe e
l’accarezzava dolcemente. Il Santo ne sentiva molta consolazione e si tratteneva
così genuflesso in terra, adorando la maestà del divino Infante, e godendo
delle sue amorose carezze.
Poi si accostava ai piedi del suo Gesù e li baciava amorosamente, e
godeva immensamente nel mirare la loro grazia e bellezza e non si saziava di
baciarli e ossequiarli.
Osservava il candore delle carni divinizzate e non si sapeva scostare
da esse, sentendosi attirare sempre a venerarle, ed in esse compiacersi e dilettarsi,
e saziarsi al torrente delle divine consolazioni, che in questi atti amorosi
ed ossequiosi egli sperimentava.
Quando poi riceveva qualche grazia speciale dal suo Gesù, nelle
estasi sublimi che aveva, il volto del Santo era come quello di un angelo152,
ricoperto di una chiarezza che consolava chiunque lo mirava, recando ammirazione
e stupore insieme.
Accadeva che, uscendo di casa, per andare a provvedere il vitto necessario,
era incontrato da varie persone le quali, vedendo il volto di Giuseppe,
restavano stupite e si sentivano attirate ad ossequiarlo; e benché fossero
idolatre, Dio permetteva che fossero spettatrici di quel prodigio, per muovere
i loro cuori ad appressarsi al Santo e trattare con lui, perché dalle sue parole
fossero illuminate alla conoscenza del vero Dio.
E di fatto alcune persone non mancarono di corrispondere alla grazia:
infatti, si appressavano al sant’uomo e cominciavano a trattare con lui,
restavano rapite dalle sue parole e dai modi gentili che aveva nel tratto, perciò
spesso lo accompagnarono. E il nostro Giuseppe, con belle maniere, procurava
di fare loro conoscere le verità della fede, e cioè che vi è un solo Dio,
creatore e padrone di tutto, e che gli idoli da essi adorati erano falsi dei.
Faceva ciò con tanta efficacia e con buone maniere, che non faticava
molto a fare loro capire la verità, e questo lo faceva non pubblicamente, ma
privatamente e con quelli che avevano confidenza con lui. Gli riuscì di attirarne
alcuni, di animo più disposto, alla conoscenza del vero Dio.
Di questo non se ne parlò mai per la città sino a che vi dimorò il
Santo, ma ognuno di quelli, che erano stati illuminati, procurava di attirare
alla conoscenza del vero Dio quelli con i quali familiarmente trattava.
Anche le virtù che il nostro Giuseppe praticava e la santità della sua
vita serviva ad ognuno di esempio, e le sue parole facevano breccia nei cuori
di chi lo frequentava, perché non solo erano piene dello Spirito divino, ma
anche perché erano accompagnate dalle sue sante opere e dalle virtù che il
Santo ebbe in sommo grado.

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Libro II – (14) Capitolo XIV – Come si comportò san Giuseppe nella dimora in Egitto, e delle VIRTÙ CHE PRATICÒ