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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (12) Capitolo XII – Come San Giuseppe fu avvisato dall’Angelo di partire dalla PATRIA ED ANDARE IN EGITTO CON IL BAMBINO E CON LA DIVINA Madre; il viaggio che fecero e le virtù che il Santo praticò

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Libro II – (12) Capitolo XII – Come San Giuseppe fu avvisato dall’Angelo di partire dalla PATRIA ED ANDARE IN EGITTO CON IL BAMBINO E CON LA DIVINA Madre; il viaggio che fecero e le virtù che il Santo praticò

Mentre il nostro Giuseppe se ne stava con tutta quiete pensando di
trattenersi a Nazaret, sua patria, a godersi la dolce e cara conversazione del
suo Gesù e dell’amata sua Sposa con tutta tranquillità, venne a sapere della
persecuzione di Erode e degli ordini che il superbo e iniquo Re aveva decretato.
Restò ferito da acuto dolore, né sapeva il Santo in che modo potersi liberare;
pensava però che Dio avrebbe provveduto a così grande travaglio. Ne
parlò con la sua Sposa che lo consolò e l’animò a non temere e ad uniformarsi
alle divine permissioni.
Si tranquillizzò alquanto il nostro Giuseppe, e nella notte gli parlò
l’Angelo nel sonno e gli ordinò di prendere il Bambino Gesù e sua Madre e
di andare in Egitto, e di trattenersi là sin tanto che egli l’avesse avvisato del
ritorno. Gli spiegò più chiaramente che Erode cercava con grande premura di
dare la morte al Redentore. Il Santo si destò afflitto per avere inteso
dall’Angelo la certezza della persecuzione, e con tutta fretta andò dalla divina
Madre piangendo: pieno di amarezza le manifestò quanto l’Angelo gli
aveva ordinato.
Si mostrò la divina Madre tutta umile, pronta e rassegnata. Anche il
nostro Giuseppe si rassegnò tutto all’ordine avuto! E tutta la sua pena era nel
pensare ai molti patimenti che avrebbero sofferto il Redentore e la sua cara
sposa Maria. Perciò le disse: «O mia Sposa, chi mai avrebbe pensato che appena
arrivati alla nostra patria, sarebbe sopraggiunto sì grande travaglio, e
che dovessimo di nuovo metterci in viaggio, in una stagione ancora rigida, e
poi andare in una nazione infedele? Certo, Sposa mia, le molte mie incorrispondenze
ai benefici e alle grazie del nostro Dio sono la causa di tanti travagli.
Io per me stesso le abbraccio volentieri, mi uniformo alla divina volontà.
Solo mi si spezza il cuore al pensiero che il nostro Gesù patirà molto, e
voi, mia cara Sposa, quanto patirete!»
Lo consolò molto la divina Madre, gli assicurò che lei godeva nel
patire, perché adempiva la divina volontà; la pena per i patimenti del suo
Gesù la sentiva anche lei molto veemente, e che perciò lo compativa, ma che
anche in questo si dovevano uniformare alla divina volontà. E gli disse:
«Non vi avevo detto che il nostro Gesù è venuto al mondo per patire, non per
stare in riposo? E non è poca grazia che ci fa, volendoci compagni nei suoi
patimenti: perciò anche di questo dobbiamo ringraziarlo e lodarlo!».

Si consolò molto il nostro afflitto Giuseppe e, con tutta fretta, pose
in ordine tutto ciò che gli era necessario, facendo un piccolo fardello da portarsi
sulle spalle; e la divina Madre prese i pannicelli del suo Bambino con
ciò che stimò necessario. Prima adorarono il loro Gesù; il quale stava riposando,
e poi si prepararono con tutta fretta alla partenza.
Partirono di notte, come fuggitivi, affrettando i passi, e il nostro
Giuseppe stava con grande timore. Non sapeva il Santo la strada che doveva
fare per andare verso l’Egitto, perciò tutto si abbandonò alla divina Provvidenza
che, assieme con la sua Sposa, invocò in suo aiuto. Andavano però sicuri
sperando che Dio li avrebbe guidati per il diritto cammino e difesi da
ogni incontro nemico.
La divina Madre teneva il suo Bambino stretto al petto e a lui si raccomandava.
Restava il nostro Giuseppe sempre più ammirato delle opere
della divina disposizione e di come [Dio] permetteva che il Redentore si assoggettasse
agli ordini dei re terreni, e fuggisse per liberarsi dalla crudeltà e
persecuzione di un re iniquo e superbo, quale era Erode. In viaggio andava
discorrendo di questo con la sua Sposa, la quale saggiamente gli rispondeva
e lo capacitava, facendogli conoscere che in quell’occasione avevano la bella
sorte di praticare gli atti di sublimi virtù, cioè: l’obbedienza, la rassegnazione,
la sofferenza, la pazienza. Il nostro Giuseppe si consolava molto e li praticava
con tutta generosità e perfezione, e diceva alla sua Sposa: «O Sposa
mia, quanti grandi esempi di virtù sublimi credo che voglia lasciare al mondo
il nostro Redentore, se incomincia a praticarle appena nato! Felici noi,
che siamo i primi a seguirlo ed imitarlo!».
E così si animava alla sofferenza ed alla pratica di tutte le virtù,
avendo con lui l’esempio stesso di tutte le virtù. E rivolto al suo Salvatore,
gli diceva: «O mio amato Redentore! Voi siete il maestro che insegnate la
via sicura del cielo, Voi l’esempio di ogni virtù! Datemi grazia d’imitarVi
perfettamente e di apprendere, alla vostra scuola, la vera scienza. Voi padrone
dell’universo, Voi re sovrano, vi sottomettete e fuggite la persecuzione di
un re iniquo con tanto vostro scomodo e patimento, ed io vorrò lamentarmi?!
Non sia mai! Adoro le vostre permissioni, seguo le vostre orme e mi uniformo
al vostro volere»
Così il nostro Giuseppe discorreva col suo Dio Umanato, e gli manifestava
i desideri del suo cuore, che bramava di amarlo molto e che anche
tutte le creature lo amassero e lo adorassero. Poi gli diceva: «Ecco, Gesù
mio, che io bramo che voi siate conosciuto e amato, e sento invece che siete
perseguitato a morte. Più desidero di fare quanto posso perché Voi non abbiate
a patire, e invece devo vedervi fra tanti patimenti. Il mio cuore si strugge
di dolore al vedervi tenero e delicato Bambino, fuggitivo, soffrire freddo
e ogni incomodità! Caro mio Salvatore! Se tanto patite nella più tenera età,
che sarà nell’età adulta?! Come potrà soffrire il mio cuore di vedervi tanto
patire?». E qui piangeva amaramente. [Allora] il divino Infante ispirava alla
sua Santissima Madre di darlo in braccio al suo Giuseppe, ed ella glielo dava,
e nel riceverlo tra le sue braccia, il Santo restava tutto consolato.
Il suo Gesù gli parlava al cuore e gli faceva animo, lo confortava e lo
accendeva del desiderio di patire e dell’amore sempre più veemente verso di
Lui. Il nostro Giuseppe andava con il suo Gesù stretto al petto, tutto consolato,
e diceva: «Che bella sorte è la mia, di portare fra le mie braccia il Creatore
del mondo, il Re del cielo e della terra! O cieli, io non invidio la vostra
sorte, perché se voi lo godete svelato, io lo tengo umanato, stretto al mio petto!
». Il Santo si sentiva molto agile nel suo cammino quando aveva in braccio
il fanciullo Gesù, e si sentiva come portare in volo e con grande consolazione
del suo spirito, che godeva in un mare di delizie.
Ciò egli lo raccontava alla divina Madre e le domandava se causava
gli stessi effetti anche in lei. [Maria] con molta grazia gli rispondeva: «Non
sapete voi che il nostro Dio è generoso con tutti delle sue grazie? Molto più
potete credere che lo sia con me, che essendo la sua umile ancella si degnò
di eleggermi per Madre».
Il nostro Giuseppe godeva nell’udire queste parole perché immaginava
quanto godimento portasse a lei il suo divin Figlio, perché tanto ne portava
a lui, che si riconosceva servo inutile e immeritevole di ogni grazia e
favore.
Furono molti i patimenti che in questo viaggio soffrì il nostro Giuseppe,
insieme con la sua Sposa Maria e il suo Gesù. Era una stagione molto
rigida; si trovavano spesso in mezzo alla campagna senza alcun riparo, perciò
dovevano pernottare allo scoperto. Si affliggeva molto di questo il nostro
Giuseppe, per amore di Gesù e della divina Madre.
Procurava di aggiustare il suo mantello a forma di capanna per trovarvi
riparo, ed ivi se ne stavano tutta la notte, in parte recitando le divine
lodi, in parte contemplando la grandezza, bellezza e bontà di quel Dio che
seco conducevano, e in parte brevemente riposando.
Erano gelati dal freddo e non vi era modo di potersi scaldare. Non
mancava però la divina provvidenza di consolarli, perché – quando sembrava
non potessero più resistere al patimento -, discorrevano dell’amore infinito
che Dio portava al genere umano: si infiammavano i loro cuore in modo che
divampava il calore anche nel corpo, e si trovavano riscaldati più che se fossero
stati al coperto ed al fuoco stesso. Così insieme rendevano grazie al Signore,
che con tanta carità ed amore li consolava.
Patirono poi molto la fame, la sete, stando giorni interi senza cibarsi.
Alle volte trovavano poche erbe per quelle campagne, e quelle erano il loro
cibo, alle quali Dio dava sapore con la sua grazia, così che parevano loro
molto buone. Il bere poi era quando si trovavano [vicini a] qualche fosso, cosa
che succedeva rare volte. Eppure soffrivano tutto con tanta allegrezza e
giubilo dei loro cuori, perché il pensiero di avere con loro Gesù, raddolciva
tutto. A volte si trovarono per la campagna coperta di neve e di gelo, perciò
erano molto afflitti dal patimento. In tale circostanza gli Angeli, inviati da
Dio, portavano loro il cibo necessario e così si ristoravano alquanto. Ammiravano
la divina provvidenza, che aveva cura di loro e li provvedeva secondo
la necessità che avevano, quando mancava loro ogni umano soccorso.
Molte volte però erano affamati, senza avere cosa alcuna, e Dio faceva
ciò per provare la loro sofferenza, rassegnazione e fede. Poi dava loro
tanta sazietà che pareva ad essi di essersi cibati lautamente.
Infatti pativano molto, ma erano anche molto consolati dopo di avere
patito, e insieme lodavano Dio tanto del bene che loro inviava, tanto di ciò
che loro faceva soffrire e patire.
Il nostro Giuseppe era tanto attento e così timoroso che il suo piccolo
Gesù patisse freddo che, quando lo teneva in braccio la divina Madre, lui
spesso la pregava di sentire se era caldo o se era infreddolito. La divina Madre
lo compiaceva e lo consolava dicendogli che era caldo e ben coperto.
A volte però capitava che l’infante divino fosse gelato di freddo, volendo
Egli ciò patire; e la divina Madre lo diceva al suo Giuseppe, per ubbidirlo.
Di ciò il Santo si affliggeva molto e piangeva amaramente per non
avere modo di poterlo riscaldare.
Lo consolava però il divino Infante, perché ispirava la divina Madre
di darlo in braccio al suo amato Giuseppe, ed egli lo prendeva con grande
affetto e con vivo desiderio di comunicargli il suo calore, per riscaldarlo. Lo
gradiva il Redentore e si riscaldava a quel fuoco amoroso che dal cuore di
Giuseppe divampava, ed il Santo restava tutto consolato; poi lo diceva alla
sua Sposa, che si rallegrava, e insieme ne rendevano grazie al loro Dio.
Soffrì anche il nostro Giuseppe di molti strapazzi e parole offensive
da parte di quelli che li alloggiavano, quelle volte in cui – vedendosi arrivati
in qualche paese – vi entravano per alloggiarvi la notte e non stare allo scoperto
in campagna. Era dagli albergatori molto ammirata e considerata la
bellezza, la gravità, la grazia e la modestia della divina Madre e si rivolgevano
contro Giuseppe, trattandolo da indiscreto e privo di giudizio, nel condurre
da quelle parti la sua Sposa tanto delicata e gentile in tempo così rigido.
Lo trattavano da vagabondo, lo schernivano, lo maltrattavano, Taceva il Santo
e non si scusava; soffriva tutto con grande pazienza, e offriva [tutto] al suo
Dio per amore del quale tutto sopportava.
E dentro di sé gli diceva: «O mio Dio, Voi sapete tutto e per quale
fine io vado così ramingo: non è per altro se non per obbedire a voi. Godo
inoltre di essere io maltrattato, purché siano trattati con tutto il rispetto la
mia cara Sposa e il mio Gesù».

Si ritirava poi con la sua Sposa e con lei sfogava la pena del suo cuore,
e le diceva: «O Sposa mia, le parole che io sento dire contro di me sono
tante spade che mi penetrano il cuore, non per altro, perché dicono il vero,
che vi conduco per queste parti con tanto vostro patimento, e pare in verità
che io sia un [uomo] crudele, senza compassione per la vostra costituzione
gentile. Ma tuttavia devo obbedire agli ordini del nostro Dio, che così comanda,
e questo mi consola fra tante angustie che provo, obbedisco alla divina
volontà, e tanto basta per quietarmi. Ora, pensate, che direbbero e che
farebbero di me, se sapessero chi siete voi e chi è il Fanciullo, che voi portate
nelle vostre braccia? Certo mi darebbero la morte!».
Lo consolava la divina Madre e l’animava alla pazienza e gli diceva
che si rallegrasse in quel travaglio, perché Dio tutto permetteva per provarlo
e per dargli occasione di meritare. Infatti meritava molto il Santo, soffrendo
tutto con rassegnazione, e di questo dava molto gusto a Dio, che andava
sempre più arricchendo di meriti il suo fedelissimo Giuseppe.
Anche in questo viaggio il Santo esercitava la carità verso i suoi
prossimi, perché – quando dovevano entrare in qualche paese o villaggio per
trovare un ricovero – pregava il suo Gesù per quella gente che ivi dimorava,
perché si degnasse di illuminarla e farle qualche bene. Di fatto il divin Redentore
non entrò mai in quei luoghi senza concedere le sue grazie agli abitanti,
e in particolare dando la salute agli infermi che vi erano, quantunque
quelli non comprendessero da dove venisse loro quel bene. Di ciò lo supplicava
il nostro Giuseppe, perché aveva una grande premura, per l’affetto che
portò sempre agli infermi e specialmente ai moribondi; e ne porgeva calde
suppliche al suo amato Gesù. Quando si trovava nei paesi degli infedeli, diceva
al suo Gesù che si degnasse di risanate gl’infermi che vi erano, perché
sperava che poi col tempo si sarebbero convertiti ed avrebbero abbracciata la
vera fede, che Lui era venuto al mondo ad insegnare; e Gesù l’esaudiva.
Il nemico infernale fremeva di rabbia, perché si trovava privo di forze,
né poteva appressarsi al nostro Giuseppe per travagliarlo come avrebbe
voluto. Infatti, la potenza della virtù divina lo teneva lontano e molto abbattuto;
molto più infuriava, perché non poteva capire da dove ciò procedesse.
Non volle però mancare di affliggere il Santo, permettendolo Dio, per fargli
acquistare più merito, e ciò faceva nel seguente modo: Quando si avvicinavano
a qualche città o villaggio istigava i più cattivi abitanti di quelle città
perché maltrattassero il Santo.
Di fatto ciò gli riusciva, perché in molti luoghi il nostro Giuseppe ricevette
molti strapazzi, sino ad essere scacciato fuori con parole ingiuriose;
in altri luoghi gli veniva negato anche un poco di cibo per potersi nutrire. Ma
il Santo soffriva tutto con invitta pazienza e con grande generosità; perciò il
nemico restava sempre più confuso e si ritirava, più infuriato che mai. Non
desisteva dai suoi attentati, né si quietava però, pensando di fargli maggior
guerra nelle occasioni che attentamente aspettava.
Alcune volte, essendo molto afflitti dal freddo, dalla fame, dalla sete,
non avevano né ciò con cui potersi cibare né dove ricoverarsi. Si ritiravano
in qualche grotta che incontravano, e qui si ponevano a sedere in terra, riposandosi
alquanto; poi la divina Madre scopriva il suo Gesù, così da Lui ispirata,
e Lo poneva in terra sopra il mantello del suo Giuseppe; e poi si inginocchiavano
ambedue e l’adoravano. Il divino Infante li ammirava con volto
amabile e con occhi ridenti. Essi contemplavano quella faccia divina, la cui
bellezza innamorava, e così contemplando se ne andavano in estasi per la
gioia, e in quell’estasi era ripieno di gaudio il loro spirito ed intendevano altissimi
misteri; venivano ristorati e saziati anche nel corpo.
Così, tornati dall’estasi, si trovavano vigorosi, e prendevano il loro
Gesù, si mettevano di nuovo in viaggio, lodando e ringraziando Dio, che tanto
li favoriva e consolava. Cantava poi la divina Madre dolcemente le divine
lodi, del che ne sentiva molta consolazione il fortunato Giuseppe, che piangeva
per la gioia che ne sperimentava il suo spirito.
II nostro Giuseppe provò anche, molte volte, delle afflizioni grandissime,
parchè mentre viaggiava, all’improvviso sentiva che il divino Fanciullo
piangeva amaramente, come gli altri fanciulli quando patiscono molto. Pativa
molto anche il fanciullo Gesù, ma il suo pianto era causato dalle offese
al suo divin Padre, che per altro non erano avvertite dal fortunato Giuseppe,
il quale credeva che [Gesù] piangesse per i molti patimenti, specie per il
grande freddo. Il Santo si affliggeva molto e veniva ferito da acuto dolore, e
piangeva anche lui amaramente assieme alla divina Madre. Ella poi manifestava
al suo Giuseppe la causa del suo pianto e di quello del suo Gesù, che
erano le offese del divin Padre; e l’esortava ad accompagnare anche lui il divino
Fanciullo, offrendo le sue lacrime all’eterno Padre, unite a quelle di Gesù,
e supplicarlo per la conversione dei peccatori, cosa che [Giuseppe] faceva
con grande affetto. Dopo ringraziava la divina Madre di quello che gli
aveva manifestato ed insegnato, e lei gli rispondeva con molta grazia, dicendogli
che tutte le lodi, tutti i ringraziamenti li facesse a Dio, perché a Lui tutto
si doveva riferire, essendo Egli l’autore e il datore di ogni bene. Il Santo
lo faceva con grande affetto e la sua Sposa si univa a lui in questi atti.
Molto lungo e disastroso fu questo viaggio per i santi pellegrini, che
patirono molto, ma anche godettero dei divini favori e spesso venivano ricreati
dalla divina liberalità. Il godimento che avevano di continuo era
l’avere in loro compagnia Gesù , e questo era sufficiente per raddolcire ogni
amarezza ed a fare loro sopportare con pazienza ogni travaglio e con allegrezza
ogni patimento, per grande che fosse.

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Libro II – (12) Capitolo XII – Come San Giuseppe fu avvisato dall’Angelo di partire dalla PATRIA ED ANDARE IN EGITTO CON IL BAMBINO E CON LA DIVINA Madre; il viaggio che fecero e le virtù che il Santo praticò