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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (11) Capitolo XI – San Giuseppe tornò a Nazaret con la Santissima Vergine e il Bambino Gesù; ciò che praticò il Santo in questo viaggio e i FAVORI CHE DA GESÙ RICEVETTE

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Libro II – (11) Capitolo XI – San Giuseppe tornò a Nazaret con la Santissima Vergine e il Bambino Gesù; ciò che praticò il Santo in questo viaggio e i FAVORI CHE DA GESÙ RICEVETTE

Sbrigate tutte le funzioni, si trattennero alquanto i santi sposi Maria e
Giuseppe col loro Figliuolo in Gerusalemme, poi tornarono di nuovo al
Tempio, dove avevano offerto i doni che dai Re di Oriente avevano ricevuto.
Procurarono di intendere la divina volontà, se dovevano tornare in Betlemme,
oppure a Nazaret, loro patria, per dimorarvi. Intesero che dovevano tornare
a Nazaret, e anche l’Angelo lo manifestò a san Giuseppe nel sonno.
Si risolvettero di partire; e ciò fu al nostro Giuseppe di qualche consolazione,
perché pensava che a Nazaret avrebbe avuto qualche comodità, e
la divina Madre ed il Bambino non avrebbero tanto patito.
Se ne rallegrò con la sua Sposa, la quale già sapeva ciò che doveva
seguire tra breve, dovendo loro sfuggire alla persecuzione di Erode. Si mostrò
però molto indifferente col suo Giuseppe, e non gli manifestò cosa alcuna,
e godette anche lei nel vedere consolato il suo Sposo.
In seguito i santi sposi rimasero [finalmente] soli. San Giuseppe manifestò
[a Maria]quello che gli era capitato al Tempio, i misteri che aveva
capito e il dolore con cui era restato trafitto il suo cuore per la profezia di
Simeone. Le raccontava il tutto con molte lacrime e sospiri, e le diceva sovente:
«Sposa mia innocentissima, quanto grande sarà il dolore che voi dovrete
soffrire! Non so ciò che sarà di me, e se mi troverò presente ai vostri
affanni: ma se ciò fosse, come potrà sopportarlo il mio cuore?!» Piangeva
amaramente il Santo e la divina Madre lo consolò, dicendogli di non temere,
perché il suo Dio vi avrebbe provveduto e li avrebbe assistiti con la sua divina
grazia. «Dio è con noi – gli diceva -, non dobbiamo temere, rimettiamoci
tutti alla divina volontà. Per ora godiamo e rallegriamoci che abbiamo
riscattato il nostro Gesù ed Egli è tutto nostro, e possiamo goderci la sua
compagnia e gustare la sua amabilità e dolcezza. Il pensiero che Gesù è con
noi, che è tutto nostro, ci deve raddolcire ogni amarezza».
Si consolò molto il nostro Giuseppe per le parole dell’amata sua
Sposa, e volle il suo Gesù consolarlo molto di più di quello che [già] era,
perché ispirò alla divina Madre di darlo [in braccio] al suo Giuseppe, perché
godesse della Sua presenza. Lo ricevette il Santo con grande giubilo del suo
cuore, l’abbracciò e gli disse: «O mio Dio Umanato, ecco che ora siete tutto
nostro! Noi Vi abbiamo riscattato per il bene di tutto il genere umano ma,
per ora, solo noi siamo fatti degni di conoscervi e di godervi e tenervi con noi!».

Mentre il Santo si spandeva tutto in colloqui col suo amato Redentore,
questi in atto ridente posò il divin capo sul collo di Giuseppe e in quell’atto
gli fece gustare le più care delizie del Paradiso. Se ne andò subito in estasi il
Santo e, tenendo il suo Dio nelle braccia, il suo spirito stette godendo per un
pezzo. Godeva la divina Madre al vedere tanto consolato il suo casto Sposo e
ne rendeva grazie a Dio.
Tornato dall’estasi il fortunato Giuseppe, fissò gli sguardi sul divino
Infante, ed alla considerazione di tanti favori, di tante grazie ricevute, si mise
a piangere per la dolcezza. E l’infante divino gli faceva molti vezzi puerili, e
gli parlava al cuore, narrandogli quanto l’amava e quanto era a Lui gradito. Il
Santo esclamava: «Che farò, mio Salvatore, per tanto bene che voi mi fate?
Che sorte è la mia, di tenervi nelle mie braccia?! Chi mai lo crederebbe? Il
minimo fra i vostri servi è da voi tanto favorito! Il santo Simeone, dopo di
avervi ricevuto tra le sue braccia, altro non ha saputo desiderare, che di morire.
Ed io, che così spesso ho la sorte di abbracciarvi e per tanto tempo tenervi
stretto al mio petto, che bramerò, Signore mio, che bramerò?! Di morire non
lo devo bramare, perché posso godervi per molto tempo e perché devo stare
con voi e provvedere ai vostri bisogni. Dunque che posso io bramare, se non
di amarvi sempre più, e servirvi fedelmente e bramare che tutte le creature vi
conoscano, vi amino e vi siano riconoscenti per tanti benefici che a tutti dispensate,
e specialmente, per esservi fatto uomo per redimere il genere umano?!
Dunque questo bramo, mio Redentore, questo desidero, questo domando.
Fate che restino appagate le mie brame ardenti, i miei desideri accesi e le
mie suppliche premurose».
Il divino Infante godeva nel sentire il suo Giuseppe tanto acceso di
amore verso di Lui e tanto bramoso della Sua gloria e del bene di tutte le
creature; e gli mostrava gradimento con rimirarlo amorosamente nel volto in
atto ridente.
Da questo il Santo capiva e conosceva come quella maestà divina si
dimostrava grata e amorosa; così sempre più si accendeva in amore e gratitudine
verso l’amato suo Dio. Alla fine rese il Bambino alla Divina Madre.
Il più delle volte che a lei restituiva il Bambino, Giuseppe diceva:
«Prendete, Purissima Vergine, il vostro Figlio, Dio ed uomo, perché nelle
vostre braccia purissime ci sta bene. Ed avendovi Egli eletta per sua madre,
certo vi ha ricolmata di tutte quelle grazie, di tutte quelle virtù, per le quali
voi potete essere a Lui gradita e degno oggetto del suo amore, dove egli può
riposare e prendersi tutte le sue più care delizie». La divina Madre
all’udire queste parole si umiliava e confermava quanto il suo Sposo le diceva,
cantando: Magnificat anima mea Dominum, il cantico che compose la
Santissima Vergine quando andò a visitare la sua parente Elisabetta.

I nostri Santi si misero in viaggio con tutta la generosità e con molta
consolazione, portando con loro il divin Pargoletto, il quale li riempiva di
gaudio e di allegrezza. Non era ad essi di peso l’infante divino, ma di sollievo
e di riposo; perciò Egli andava un po’in braccio alla divina Madre ed un
po’in braccio al fortunato Giuseppe, consolando or l’uno, or l’altra con la
sua presenza. Anche in questo viaggio i santi sposi furono spettatori di meraviglie,
perché tutte le creature, anche irragionevoli, facevano riverenza al
loro Creatore, e gli animali cantavano e li accompagnavano con festa secondo
la loro capacità, dibattendo le ali. Tutto osservava attentamente il nostro
Giuseppe, e di tutto ne dava lode a Dio, godendo di vederLo onorato e riconosciuto
dalle sue creature prive di ragione, giacché le creature razionali ancora
non lo conoscevano e non l’onoravano.
Facevano poi questo viaggio con molto desiderio di presto arrivare
alla loro patria, e il nostro Giuseppe non tralasciava di dire alla sua Sposa:
«O Sposa mia, ecco che noi torniamo alla nostra abitazione, dove con tutta la
quiete ci godremo il nostro Gesù, e ci consoleremo alquanto al non vederlo
in tanti patimenti. Infatti, lo terremo in luogo comodo quando non vorrà stare
nelle nostre braccia». Chinava la testa la Santissima Vergine all’udire queste
parole, e gli diceva: «Noi andiamo adesso a Nazaret per adempire la divina
volontà, e staremo sempre pronti ad eseguire gli ordini del nostro Dio, il quale
si è fatto uomo per patire e non per godere e stare in riposo, e vuole che
anche noi lo imitiamo». Si uniformava al divino volere il nostro Giuseppe e
rispondeva: «Eccomi pronto ad eseguire la divina volontà!», ma non capiva
il senso e il motivo delle parole della sua Sposa, la quale gli diceva ciò perché
sapeva già che, tra breve, avrebbero dovuto abbandonare la patria e fuggire
in paese straniero con tanto patimento loro e del loro caro Gesù.
La divina Madre non gli manifestava il tutto apertamente, tenendo
sempre celati i segreti divini, aspettando che Dio stesso li manifestasse al suo
Sposo, o per ispirazione o per mezzo dell’Angelo che nel sonno era solito
parlargli. In questo viaggio la divina Madre lodava il suo Gesù, e cantava inni
di lode al divin Pargoletto: di questo il fortunato Giuseppe sentiva una
somma consolazione, e Li accompagnava col cuore.
Erano vari gli effetti che gli causava il canto della divina Madre: ora
si commuoveva sino alle lacrime per la dolcezza, ora se ne andava in estasi,
ora si infiammava di amore e di gratitudine verso il suo Dio, e lo ringraziava
affettuosamente per le molte grazie che faceva alla sua amata Sposa; a volte
anche lui scioglieva la lingua e lodava il suo Dio con tanto ardore che anche
la sua Sposa ne restava ammirata e consolata.
Pativa molto poi il Santo in questi viaggi, per la fame, la sete, il
freddo, ma il tutto soffriva con tanta allegrezza che, per quanto patisse, tutto
gli pareva poco, bramando di patire molto di più; solo gli davano pena i patimenti
del suo Gesù e della divina Madre; questi erano i patimenti maggiori
che il Santo soffriva, e la spada del dolore profetizzata da Simeone alla sua
Sposa non si partì mai più dalla sua mente e dal suo cuore. Arrivarono [dunque]
a Nazaret, dopo essere passati prima a [Betlemme per] visitare ed adorare
di nuovo il luogo dove era nato il Redentore, sperimentandovi molta
consolazione e vari affetti dei loro cuori.
Entrarono a Nazaret ed andarono nella loro abitazione: qui, prostrati
in terra nella piccola stanza della divina Madre, dove si era operato il grande
mistero dell’Incamazione, adorarono il loro Creatore e gli resero grazie perché
li aveva fatti tornare nella loro casa sani e salvi.
Lì pensava il nostro Giuseppe di trattenersi per sempre, a godere con
pace la cara compagnia di Gesù e di Maria Santissima, sua sposa. Il Santo
preparò subito la culla che già aveva fatto per il bambino ed aggiustò tutto
con grande allegrezza e consolazione del suo spirito.
Provava anche, tra tanta consolazione, dell’amarezza nel vedere tanta
povertà e perché non poteva fare, per il suo Dio e per la divina Madre, tutto
ciò che bramava: infatti, in tutto si uniformava alla divina volontà.
Mentre la divina Madre si tratteneva in vari colloqui col suo divin
Figlio, il nostro Giuseppe andò per provvedere il vitto necessario, e faceva
ciò sempre col beneplacito del suo Dio Umanato, beneplacito che cercava di
intendere attraverso la Sua Sposa. Il nostro Giuseppe, andando per la città
per provvedere il vitto necessario, fu da molti trattenuto con varie domande
che gli facevano, e [in particolare] su ciò che gli era accaduto a Betlemme.
Il Santo si stringeva le spalle e di solito rispondeva a tutti che aveva
adempiuta la divina volontà. Molti lo motteggiavano e lo burlavano, perché
aveva condotta in quel luogo la sua Sposa vicina al parto: avrebbe potuto
immaginarsi che sarebbe successo che ella avrebbe dato alla luce il Fanciullo
proprio allora, dovendo soffrire molte incomodità. Tutto soffriva con pazienza
il Santo, e non rispondeva cosa alcuna; e non vi mancò chi, istigato dal
demonio, gli dicesse delle parole offensive, dicendogli il grande sbaglio che
avevano fatto a dare a lui per sposa la gentile e delicata Maria.
Egli non la considerava, la faceva patire, non riconoscendo [il valore
del]la cara compagnia che conseguito aveva, e che in breve l’avrebbe fatta
morire di patimenti.
Queste parole erano come tante spade al cuore dell’amoroso Giuseppe,
perché lui sapeva quanto amava la sua Sposa e quanto si mostrava grato
al suo Dio, perché gliela aveva data; e ne aveva tutta la stima a lei dovuta.
A quelli rispondeva: «Voi siete in errore, perché io conosco la sorte
che mi è toccata, di avere conseguito una Sposa tanto cara e degna, ma la
mia povertà non mi permette di fare per lei ciò che dovrei e ciò che ella merita,
e questo mi è di pena. La sua bontà però è tanto grande che si contenta
di stare così, e non brama cosa alcuna».

Ciò diceva il nostro Giuseppe con grande serenità di volto e con
molta pace, non alterandosi mai con alcuno, per quanto fossero grandi le occasioni
che ne ebbe: non gliene mancavano mai, permettendolo Dio, perché
il suo Giuseppe si esercitasse nella pratica di tutte le virtù e specialmente
nell’umiltà, nella mansuetudine, nella pazienza, nella sofferenza, nella carità;
ed il Santo tutto praticava con generosità, con gusto, con allegrezza, sapendo
che così dava gusto al suo Dio, e si meritava sempre il Suo amore ed i suoi
doni. La divina Madre godeva nel vedere il suo sposo Giuseppe tanto santo e
tanto esercitato nella pratica delle virtù, né tralasciava di pregare il suo Dio
perché l’assistesse e gli desse sempre maggiore grazia e spirito, e specialmente
maggiore amore. Dio non mancava di realizzare le sue domande e in
tale modo il nostro Giuseppe cresceva sempre nelle virtù, nei meriti e
nell’amore verso il suo Dio, in modo che il suo cuore ardeva di amore e di
desiderio che il suo Dio fosse amato da tutti. E questo desiderio era tanto acceso
e veemente che spesso piangeva, esclamando: «Mio Dio, perché non
siete da tutti amato? Che potrei fare io, perché tutte le creature vi conoscano
e vi amino? Com’è mai possibile che Voi non siate da tutti amato, Bontà infinita,
grandezza immensa, bellezza incomprensibile?!». Nel dire queste parole
andava in estasi e stava in tale modo per più ore, godendo per le grandezze
e perfezioni del suo Dio, ed intendeva e capiva, sempre con più chiarezza,
quanto meritava il suo Dio di essere amato. Tornato poi dall’estasi,
tutto acceso di amore diceva alla sua Sposa che lui bramava di andare per
tutta la città gridando e magnificando le grandezze del suo Dio; e la divina
Madre lo tratteneva e gli diceva: «Lodiamolo noi ora a nome di tutti».
E si trattenevano a recitare le divine lodi, e così si quietava alquanto
l’infervorato Giuseppe. Poi, rivolto alla sua Sposa, le diceva: «Beata voi,
Sposa mia, che amate tanto il nostro Dio, e ben ne avete ragione, perché lo
merita. Amatelo dunque sempre più e supplite al grande numero di quelli che
non l’amano. Amatelo anche per me, voi che avete un cuore capace di amarlo
molto, perché il mio cuore è piccolo e poco è l’amore che può contenere!»
La divina Madre godeva nel sentire il suo Sposo tutto infiammato di
amore, e il suo cuore divampava anch’esso di amorose fiamme. Il nostro
Giuseppe la guardava molto attento e la vedeva tutta accesa nel volto e ricoperta
di chiarissima luce. Così anche lui si infiammava di più. La divina Madre,
quando vedeva che il suo Sposo si trovava in questi trasporti tanto violenti,
gli dava in braccio il divino Infante, ed allora il nostro Giuseppe se lo
stringeva al petto, e il suo cuore restava appagato, e soddisfatti i suoi desideri
ardenti. Spesso avveniva che il Santo si riposava placidamente con il suo
Gesù nelle braccia, e la divina Madre lo contemplava e vedeva che il divin
Pargoletto godeva molto nello stare fra le braccia del suo Giuseppe, e che la
sua anima si riposava agiatamente nel seno del suo Dio, godendo di quella
quiete e dolcezza che godono in Cielo le anime dei Beati.

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Libro II – (11) Capitolo XI – San Giuseppe tornò a Nazaret con la Santissima Vergine e il Bambino Gesù; ciò che praticò il Santo in questo viaggio e i FAVORI CHE DA GESÙ RICEVETTE