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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (8) Capitolo VIII – Si continua a trattare della stessa materia e della circoncisione del Redentore; come si comportò san Giuseppe in TALE OCCASIONE

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Libro II – (8) Capitolo VIII – Si continua a trattare della stessa materia e della circoncisione del Redentore; come si comportò san Giuseppe in TALE OCCASIONE

Arrivato l’ottavo giorno della natività del Redentore, san Giuseppe
parlò con la divina Madre riguardo la circoncisione dell’infante divino, ed
assicurato della divina volontà – che era di fare circoncidere il Bambino ed
imporgli il nome di Gesù -, si prese cura di trovare chi lo circoncidesse e
lo condusse alla grotta dove dimoravano.

Da quel Ministro fu molto ammirata la povertà in cui si trovavano
questi santi personaggi, cioè Gesù, Maria e Giuseppe, e molto più fu dal medesimo
ammirata la bellezza, la maestà e la grazia del divino Infante, come
anche la modestia e bellezza della divina Madre.
Il nostro Giuseppe stava tutto umile e rassegnato in quella grande
povertà, e col cuore trafitto da acuto dolore nel pensare che l’Umanato suo
Dio avrebbe sofferto nella circoncisione, perciò supplicò colui che lo doveva
circoncidere di fare in modo che il suo Bambino non avesse avuto a soffrire
tanto dolore. Stava tutto attento ed afflitto il nostro Giuseppe e mirava con
amore e compassione il divin Pargoletto.
Fu chiesto dal Ministro quale fosse il nome che volevano imporre al
Fanciullo, e il nostro Giuseppe, umiliandosi, non ardiva proferirlo, aspettando
che fosse prima a nominarlo la divina Madre, ma per divina disposizione
lo nominarono insieme. Si circoncise il Fanciullo, e gli fu imposto dal Ministro
della circoncisione il grande nome di Gesù.
Al proferire questo nome si incurvarono i cieli, i beati Spiriti
l’adorarono, si rallegrò e l’adorò il mondo nelle persone di Maria, di Giuseppe
e del Ministro che l’impose, tremò l’inferno ed intese la potenza di
quel grande nome, anche se non comprese ciò da dove venisse. La divina
Madre e il nostro Giuseppe intesero una consolazione inesprimibile e furono
pieni di giubilo. Anche il Ministro, che proferì il grande nome, intese una
grande ed insolita consolazione nel suo spirito, ed una grande venerazione a
così grande nome.
Il nostro Giuseppe piangeva per la consolazione che sentiva, e anche
per la compassione del suo divino Infante, che pianse nel versare il suo preziosissimo
Sangue. Pianse l’infante divino, ed offrì al divin Padre le sue lacrime
ed il suo Sangue come rimedio dei peccati del mondo.
E fu accompagnata l’offerta anche dalla divina Madre e, dal nostro
Giuseppe, perché Dio, in quell’istante, li illuminò interiormente e fece loro
conoscere le offerte che il Redentore faceva; perciò il nostro Giuseppe
l’accompagnò nell’offerta ed offrì anche se stesso, mostrandosi pronto ad
eseguire in tutto la divina volontà.
Presero con grande venerazione la preziosa reliquia col Sangue che
aveva versato il Redentore, e la custodirono con grande gelosia; la tennero
presso di loro la divina Madre e spesso anche il fortunato Giuseppe, che ricordava
e piangeva al pensiero che l’Umanato suo Dio, appena venuto al
mondo, volle tanto patire e versare Sangue, ed offrendolo spesso al divin Padre.
Partito il Ministro della circoncisione, si trattenne il nostro Giuseppe con
la divina Madre, la quale teneva nelle sue braccia il divino Infante a riposarsi,
ed incominciarono a discorrere fra di loro circa il mistero operato e come
il Figlio di Dio volle, con questo atto, prendere figura di peccatore. Ammirarono
l’umiltà del divin Redentore, e la divina Madre compose un nuovo
cantico sopra il mistero della circoncisione del Verbo Umanato e lo cantò
soavemente; il che servì all’infante divino per riposarsi più dolcemente fra le
materne braccia. Il nostro Giuseppe, terminato che fu il cantico, andò in estasi,
e qui gli furono rivelati molti segreti riguardo la circoncisione del divino
Infante, segreti dei quali egli ebbe sempre una memoria particolare ed una
venerazione e devozione singolare. Tornato dall’estasi confidò tutto alla divina
Madre ed insieme ne resero grazie a Dio, lodando e magnificando sempre
più la divina bontà per le molte grazie e favori che dispensava loro.
Il nostro Giuseppe pensava che quel luogo dove dimoravano era di
molto patimento per la divina Madre e per il suo Figlio Gesù, perciò la supplicò
di volere intendere quale fosse la divina volontà, se dovevano tornare a
Nazaret, loro patria, per poter vivere con più comodo.
La divina Madre lo compiacque, e gli manifestò che in quel luogo
dovevano trattenersi per più tempo, perché l’Altissimo aveva decretato di
operare qui altre meraviglie, di cui fra breve anche lui sarebbe stato spettatore,
e ciò fu la venuta dei Re Magi, come si dirà.
Chinò la testa il nostro Giuseppe, e si mostrò pronto ad eseguire in
tutto la divina volontà; e diceva alla divina Madre: «Sappiate, Sposa mia,
che io per me stesso sto qui volentieri, ed il patire mi è di consolazione; solo
sento pena per i patimenti del nostro Gesù e di voi, mia cara Sposa ed è per
questo che il mio cuore è trafitto da acuto dolore, benché mi consolo al pensare
che il nostro Dio vuole così; e se lo vuole il nostro Dio lo devo volere
anch’io, anche se il dolore di vedervi in tanto patimento lo sento vivissimo».
La divina Madre gradiva l’amoroso compatimento del suo Giuseppe, ma
l’esortava a non affliggersi per lei, perché in quel patire vi provava una
somma consolazione. Perciò doveva rivolgere tutta la compassione verso il
loro amato Gesù, che ben lo meritava, perché tanto pativa in così tenera età.
Ringraziava il nostro Giuseppe la divina Madre di quanto gli diceva. Perciò
rivolgeva tutto il compatimento verso il divino Infante e si struggeva nel vederlo
in tanta povertà e spesso, prostrato in terra, gli parlava, mentre la divina
Madre lo teneva fra le sue braccia, e gli manifestava la sua pena, il suo
dolore nel vederlo fra tanti patimenti.
Lo mirava con amore il divino Infante, e gli parlava al cuore, dove
gli manifestava quanto volentieri Egli pativa per adempire la volontà del divin
Padre e per la salvezza del genere umano. E poi gli diceva: «Altri patimenti
mi stanno preparati, i quali sin da ora per allora volentieri abbraccio, e
desidero che giunga presto il tempo per mostrare al mondo come e quanto io
amo il mio divin Padre e quanto amo il mondo. Per redimerlo sono sceso dal
Cielo in terra, mi sono incarnato e fatto uomo, e volentieri abbraccerò il patire
e la morte stessa per compiere l’opera della Redenzione umana».
Il nostro Giuseppe restava molto consolato ed anche afflitto a queste
parole: consolato, perché udiva le voci interne dell’Umanato suo Dio, le quali
lo riempivano di consolazione, di amore e di fede; ma restava molto afflitto
per sentire come il Redentore doveva molto patire e morire per compiere
l’opera dell’umana Redenzione. Perciò i godimenti e consolazioni del nostro
Giuseppe erano sempre accompagnati da pene ed afflizioni, vedendo che
l’Umanato suo Dio tanto pativa, e sentendo come molto più avrebbe patito
col passare del tempo. Era però tanto uniformato alla divina volontà: volentieri
abbracciava le consolazioni come le afflizioni e le angustie, e il suo volto
era sempre sereno e gioviale.
Piangeva, è vero, nel vedere il divino Infante fra tanti patimenti, ma
gioiva e godeva dei divini favori, e tutto giubilava in rimirare il suo Salvatore
in carne passibile. La di lui bellezza lo faceva restare per lo più estatico,
sentendosi rapire il cuore dalla grazia e amabilità del divino Infante; e con
pena rivolgeva altrove gli sguardi, quando era necessario per qualche sua occupazione,
bramando di tener fissi gli occhi sempre nell’amato e desiderato
Oggetto.
A volte parlava con se stesso e diceva: «Giuseppe, vedi che fortuna
ti è toccata! Che bella sorte è stata la tua! Che consolazione vivere in compagnia
della Madre del Messia per tanti secoli aspettato, e di vivere in compagnia
del Messia stesso; e poi tenere il grado di padre dell’incarnato Verbo!
Sorte felice! Quanti Patriarchi e Profeti hanno bramato di vederlo e non
l’hanno ottenuto! Da quanti è stata sospirata questa venuta! Il Re Davide
desiderava vederlo e di adorare il luogo ove si fossero posati i suoi piedi, ed
io non solo lo vedo, godo della sua presenza, ma di più: lo ricevo fra le mie
braccia ed ho la sorte di essere il suo Custode ed essere chiamato suo padre.
Grazia da me non mai pensata, né mai in modo alcuno meritata!»
Fatti questi discorsi nel suo interno, il nostro Giuseppe, preso da un
impeto di amore e di gratitudine verso il suo Divin Redentore, correva a prostrarsi
ai piedi della divina Madre e la supplicava caldamente di volere lei
stessa rendere grazie a Dio per lui dei favori grandi che gli dispensava. Le
diceva: «Voi che siete la degna Madre del Redentore, fate per me! Sposa
mia, fatemi tanta grazia di rendere grazie al nostro Dio che si è degnato di
eleggermi per vostro compagno e mi ha sollevato a posto sì degno, mentre io
non so farlo come dovrei! Io mi trovo colmo di grazie e favori, e altresì colmo
di confusione, e non so che rendere al mio Dio per tanti benefici singolari.
Offritegli voi la mia sottomissione, la mia servitù e tutto me stesso, e ditemi
che debbo fare per dare gusto al nostro Dio, in che debbo impegnarmi,
perché sono fuori di me per la considerazione dei benefici così grandi e di
grazie così singolari. Sposa mia, voi ben sapete la mia indegnità, viltà e bassezza,
perciò fate voi per me!».
Godeva la divina Madre nel sentire la gratitudine che il suo Giuseppe
aveva verso il suo Dio e gli rispondeva con umiltà, prudenza e grazia, e
gli assicurava che erano molto gradite a Dio le sue espressioni affettuose e
che, riconoscendo i benefici e le grazie che aveva ricevuto, si disponeva a
riceverne degli altri. Gli assicurava anche che lei non mancava di adempiere
le sue richieste con lodare e ringraziare la divina benevolenza da parte sua.

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Libro II – (8) Capitolo VIII – Si continua a trattare della stessa materia e della circoncisione del Redentore; come si comportò san Giuseppe in TALE OCCASIONE