Home

La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (7) Capitolo VII – Natività del Redentore : come si comportò san Giuseppe in QUESTA OCCASIONE, LE VIRTÙ CHE PRATICÒ E LE GRAZIE CHE RICEVETTE PER TUTTO IL TEMPO CHE LÌ [NELLA SPELONCA] DIMORÒ

Salva in Preferiti / Segnalibro
ClosePlease loginn

Non ancora registrato? Fallo ora!

Libro II – (7) Capitolo VII – Natività del Redentore : come si comportò san Giuseppe in QUESTA OCCASIONE, LE VIRTÙ CHE PRATICÒ E LE GRAZIE CHE RICEVETTE PER TUTTO IL TEMPO CHE LÌ [NELLA SPELONCA] DIMORÒ

I santi sposi erano stati per qualche tempo in sacri colloqui e si erano
alquanto ristorati [pur] secondo la loro povertà. La divina Madre si ritirò in
un angolo della spelonca, per passare tutta la notte in orazione e in sacri colloqui
con il suo Dio. Anche il nostro Giuseppe si pose a pregare, poi prese
un breve riposo sulla nuda terra, non essendovi altra comodità.
Stava la divina Madre tutta assorta in altissima contemplazione, e già
sentiva che era arrivato il tempo in cui doveva nascere il Redentore in quella
stalla, perciò ne contemplava il grande mistero.
II nostro Giuseppe, dopo avere pregato, si addormentò. Ebbe un misterioso
sogno in cui gli pareva che il Redentore nascesse in quella stalla, e
che due bestie venissero a riscaldarlo col fiato. Terminato il sogno, essendo
la mezzanotte, gli parlò l’Angelo e gli disse: «Giuseppe, destatevi presto e
adorate il Redentore del mondo, perché è già nato». Nello stesso tempo si
fece sentire il divino Redentore con i suoi vagiti. Si destò subito il fortunato
Giuseppe, tutto commosso nel suo interno, ricolmo di giubilo ed anche di
pena per essersi addormentato.
Svegliatosi aprì gli occhi, e vide il suo Redentore nato, dal cui volto
uscivano chiarissimi raggi più che di sole e la stalla era tutta splendore.
A tale vista il fortunato Giuseppe si prostrò in terra ai piedi del divino
Infante e l’adorò con la faccia a terra. Il suo cuore, per la grande consolazione
che sentiva, quasi scoppiava, e non sapeva che dire e che fare.
Uscivano dai suoi occhi grande copia di lacrime per la letizia e per il
dolore di vedere il suo Umanato Dio nato in tanta povertà, e non poterlo soccorrere.
Faceva atti di amore, di ossequio, di ammirazione, di gratitudine, di
ringraziamento al suo Dio nato per la salvezza del mondo, ed era tutto come
fuori di sé.
Il divino Infante fissò i suoi occhi nel volto del fortunato Giuseppe,
mirandolo con grande amore; di questo restò ferito il cuore di Giuseppe,
dall’amore del suo Umanato Dio, e divampava di fiamme infuocate. Mentre
accadeva ciò, tornò dall’estasi la divina Madre, la quale vide nato il suo Figlio
e Dio vero, e l’adorò con profonda adorazione, lo salutò e fece tutti quegli
atti convenienti al suo stato di vera Madre.
Era tutto assorto ed ammirato il nostro Giuseppe, e il suo spirito era
inondato in un mare di gioia, e non poteva ritirare gli amorosi sguardi
dall’amato suo Dio. Si struggeva il suo cuore per la pena nel vederlo sul suolo
nudo e tremante di freddo, e intanto non ardiva di accoglierlo fra le sue
braccia, aspettando che ciò facesse la divina Madre. Il fortunato Giuseppe
guardava il divino Infante, ed in lui scorgeva la maestà e la grandezza del
suo Dio.
L’Infante divino mirava la diletta sua Madre, in atto bramoso di essere
da lei ricevuto fra le sue braccia, e il nostro Giuseppe si struggeva di
amore e di compassione nel vederlo sul suolo tremante di freddo. Cantavano
i cori angelici la gloria all’Altissimo Dio, ed annunciavano la pace in terra
agli uomini di buona volontà. Di tutto era partecipe il nostro Giuseppe,
benché a quei canti angelici e melodie celestiali poco stesse attento, essendo
tutto preso e contemplare il suo umanato Dio nato in tanta povertà. Ammirava
però le feste e canti di giubilo che in quella notte facevano i cori angelici,
in gloria del nato Redentore.
Ricevette lumi grandi, e conobbe perché il Redentore del mondo volle
nascere in quella stalla con tanta povertà e del tutto sconosciuto al mondo.
Stava attento a tutte le azioni che in quel tempo faceva la sua divina Sposa;
ed ammirava la grazia, la prudenza, l’umiltà, la carità, l’amore con cui si dimostrava
verso il divino suo Figlio; e diceva tra sé: «Dove mai ho meritato
grazie così sublimi, di avere per compagna e sposa la Madre di un Dio, e di
essere spettatore di prodigi così grandi?! Che farò mai, mio Dio, per mostrarmi
grato a tanta vostra liberalità e beneficenza verso di me, servo ingrato?!
». Molti furono gli atti di gratitudine e di ringraziamento che fece il nostro
Giuseppe verso il suo nato Redentore. La divina Madre, intanto, accolse
il suo Dio nato e lo strinse al suo petto fra le sue braccia.
Allora il cuore del nostro Giuseppe si consolò, e gli si tolse parte di
quella pena che sentiva nel vederlo nudo sul suolo. Si pose genuflesso presso
la divina Madre, e adorò di nuovo il suo Dio fra le braccia della sua amata
Sposa. Fu di nuovo guardato dal divino Infante con volto allegro e ridente,
mostrandosi tanto contento di stare fra le braccia della sua carissima e amatissima
Madre.
Si riempì di nuovo di giubilo il cuore del nostro Giuseppe, e godette
molto della felicità della sua amata Sposa, e diceva al suo Dio: «Come state
bene, mio divin Redentore, fra le braccia purissime della vostra divina Madre!
Come ve la siete formata tutta al vostro gradimento! Quanto l’avete ricolmata
di virtù e di grazie! Godo della sua bella sorte, e rendo a Voi grazie
infinite, che l’abbiate scelta fra tutti i figli di Adamo, e sollevata a grado così
degno e a dignità così sublime. E vi ringrazio anche per avere eletto me, servo
indegno, per assistere lei e Voi, Re supremo. Datemi Voi modo, virtù e
talento da poter fare l’ufficio mio come devo».
Il fortunato Giuseppe bramava poi che tutte le creature dell’universo
venissero ad adorare e riconoscere l’Umanato suo Dio, nato in quella stalla
per amore di tutti, per salvare tutti; ma perché vedeva che le sue brame non
ottenevano il loro compimento, fece egli gli atti di adorazione, di gratitudine
e di ringraziamento a nome di tutti e da parte di tutti col maggior affetto e
riverenza che gli fu possibile. Li gradì molto il divino Infante, mostrando al
suo Giuseppe la gratitudine, chinando la testa in atto ridente: di ciò molto ne
godeva il fortunato Giuseppe.
Giuseppe poi si dedicò al nato Redentore come suo servo e schiavo
perpetuo, rinnovandogli spesso questa donazione, e poi diceva fra di sé:
«Come, mio Dio, si sono adempiute le vostre promesse! È vero che per molto
tempo le ho aspettate, ma quanto sono sovrabbondanti e sopra ogni mio
credere! Aspettavo da Voi le grazie che fin dalla mia fanciullezza mi faceste
promettere dalPAngelo, quando nel sonno mi parlava, ma non avrei mai potuto
immaginare che le grazie fossero così grandi e sublimi! Quanto siete fedele
e sovrabbondante nelle vostre promesse! Ora tocca a me corrispondere
ed esservi fedele in quello che tante volte vi ho promesso: datemi perciò Voi
la grazia di poter eseguire fedelmente e con tutta la perfezione. Che io mi
spenda tutto nel servizio vostro, o mio caro ed amato Redentore!».

Il nostro Giuseppe passò poi a congratularsi con la divina Madre e le
diceva con tutto l’affetto: «Non vi dicevo io, mia cara Sposa, che il nostro
Redentore sarebbe stato di una bellezza rara, che avrebbe fatto godere alle
anime nostre un paradiso di gioia?! La maestà accompagnata con l’affabilità,
come rapisce il nostro cuore, e l’eccita alla venerazione e all’amore!». Godeva
la divina Madre nel sentire il suo Giuseppe tanto consolato e tanto grato
al suo Dio Umanato, e si unirono per lodarlo, componendo la divina Madre
nuovi cantici di lode al nato Redentore.
Intanto se ne stava il divino Infante riposando nelle braccia della divina
Madre con molto gusto. Dopo qualche tempo, ella lo fasciò e lo pose
nel presepio, conoscendo che tale era la divina volontà. Vennero il bue e
l’asino, e si posero per divina disposizione a riscaldare il nato Redentore col
loro fiato. Restò ammirato il nostro Giuseppe, il quale stava ancora genuflesso,
adorando, nella mangiatoia di bestie, il suo Redentore, e contemplando il
grande mistero, che gli cagionava nell’anima grandi e mirabili effetti.
Vennero poi i pastori, invitati dall’Angelo a venerare e ad adorare
il nato Redentore. Stupiva il nostro Giuseppe nel vedere quei semplici pastori
che con tanto affetto e devozione venivano ad adorare il Redentore, quantunque
si trovasse in luogo così disagevole all’umana grandezza e con tanta
povertà. Contemplava le opere mirabili del suo Dio Umanato e sempre più si
innamorava della povertà e della propria abiezione, vedendo che tanto
l’amava il suo Redentore. Osservava come il divino Infante gradiva molto la
visita di quei semplici pastori, e capiva come quel Dio di tanta sapienza e
maestà amava ed accoglieva i semplici; e diceva al suo Dio: «Come, Signore
mio, sono differenti i sentimenti vostri da quelli del mondo, il quale non sa
gradire, né sa stimare altro che vanità, grandezza e fasto! Ben si conosce che
voi siete venuto al mondo per insegnare una dottrina tutta differente dai dettami
del mondo! Ma, mio caro Redentore, quanto pochi saranno quelli che la
seguiranno! Avrò io la sorte di seguirla, perché sono divenuto vostro custode
e vivo con voi, o divino Maestro; vedrò i vostri esempi, udrò i vostri insegnamenti,
e spero che vi sarò vero scolaro».
Mentre i pastori adoravano e miravano il nato Redentore ed erano
pieni di un insolita consolazione, gustando la soavità del suo Dio e tutti assorti
in un beato godimento, se ne andò in estasi il fortunato Giuseppe: in essa
gli furono rivelati altissimi misteri circa la nascita del Redentore in quella
stalla. Tornato dall’estasi e adorato di nuovo il divino Infante, fattosi giorno,
i pastori partirono per andare ad attendere al loro gregge, tutti colmi di consolazione;
ed il nostro Giuseppe si decise di andare in città per provvedere il
vitto necessario per la divina Madre e per se stesso.

Giuseppe vedeva la divina Madre genuflessa e tutta assorta, contemplando
il suo Dio nato in quella stalla; perciò aspettò qualche tempo per poterle
parlare e domandare di andare a Betlemme.
La divina Madre si alzò per prendere di nuovo fra le sue braccia il
divin Figlio, ed allora le parlò il fortunato Giuseppe; si prostrò in terra cercando
la benedizione del suo Redentore e poi il beneplacito della divina Madre,
il che otteime con sua consolazione.
Partì il nostro Giuseppe per provvedere il vitto necessario, benché
non sapesse [decidersi a] uscire dalla spelonca ed allontanarsi dal suo amato
e divino Infante, e sintanto che poteva vederla, si rivolgeva sovente a mirare
il luogo dove stava il suo tesoro.
Intanto la divina Madre restò a godersi la cara conversazione con
l’amato suo Figlio, e ciò che fra loro passasse e come si trattassero scambievolmente
non si può narrarlo, dovendo qui dire solo quello che appartiene
alla vita del nostro fortunatissimo Santo.
Si provvide intanto il nostro Giuseppe di quanto gli era necessario
secondo la sua grande povertà, e poi se ne tornò frettoloso alla stalla, per rivedere
presto l’amato suo Redentore; erano più frequenti gli atti fervorosi di
amore e gratitudine che faceva verso il divino Infante di quanto fossero i
suoi frettolosi passi. Ora piangeva, per la compassione che sentiva ai patimenti
del nato suo Salvatore, ora rideva, per il giubilo ed allegrezza che il
suo cuore sentiva, per avere veduto già nato Colui che per tanti anni aveva
bramato ed aspettato.
Se ne tornò il fortunato Giuseppe alla spelonca, dove adorò di nuovo
il suo Dio Umanato e salutò la divina Madre, e fu da ambedue accolto con
speciale e cordiale affetto. Lo ringraziava la divina Madre della sollecitudine
che lui mostrava nel provvedere il necessario, ed il Santo, tutto confuso, le
faceva grandi espressioni del sincerissimo suo amore e le narrava con quanto
gusto egli si impiegava a servire il suo Dio e lei. Solo gli dispiaceva che per
la sua povertà non poteva fare quel tanto che conosceva essere conveniente e
il suo amore gli dettava, e perciò le diceva spesso: «Gradite, Sposa mia, il
mio affetto che è sincero e la mia buona volontà».
Gli mostrava gradimento la Divina Madre, e sempre gli impetrava
nuove grazie dal suo Divin Figliuolo.
Il nostro Giuseppe preparò poi il cibo, ed accomodò il luogo perché
la divina Madre potesse sedersi e prendere qualche ristoro, essendo la sua
umanità molto indebolita per i patimenti sofferti nel viaggio ed in tutto quel
tempo. Trovò il nostro Giuseppe, sia in campagna come in città, quello che
era necessario per fare sedere la divina Madre ed anche lui, e per fare il fuoco,
e tutto aggiustò con arte secondo la sua povertà, disponendo il Signore
che non gli mancasse quello che era strettamente necessario per vivere e trattenersi
in quella spelonca tutto il tempo che Dio aveva decretato.

Di tutto rendeva grazie al suo Dio il fortunato Giuseppe, e quantunque
stesse in quella spelonca con tanta povertà, gli pareva nondimeno di stare
in un delizioso palazzo, perché qui si trovava tutto il suo bene, il suo godimento
e il suo tesoro, la vera sua ricchezza ed il giubilo del suo cuore.
La divina Madre teneva suo Figlio fra le sue braccia, godendo di
quelle delizie che mai la mente umana può arrivare a comprendere; il nostro
Giuseppe godeva nel vedere l’Umanato suo Dio fra le braccia dell’amata sua
Sposa, e qui l’adorava, lo lodava e gli manifestava i desideri ardenti del suo
cuore. Bramava di avere la bella sorte ancora lui di ricevere fra le sue braccia
l’amato suo divino Infante, ma poiché se ne reputava indegno, non ardiva di
domandarlo alla divina Madre. Parlava però nel suo interno con l’amato suo
Dio e gli diceva: «Mio Dio Umanato, quanto brama il mio cuore di stringervi
fra le mie braccia! Ma state troppo bene tra le braccia castissime della vostra
santa Madre! Perciò lì trovate tutte le vostre compiacenze.
Non è bene che io vi privi delle vostre care delizie, ma se Voi non
sdegnate, anzi, volete essere collocato di tanto in tanto in una vilissima mangiatoia
di bestie, spero che non sdegnerete di venire qualche volta nelle braccia
del vostro indegno servo. Il mio cuore lo brama. Ne sono indegno, è vero,
ma ciò farete per i meriti della vostra Madre e mia cara Sposa. Consolate
perciò il vostro Giuseppe che vi ama, vi brama, vi desidera e lo spera».
Sentiva volentieri il divino Infante gli ardenti desideri del suo amato
servo; e godeva di essere da lui pregato.
Così la divina Madre conosceva i desideri del suo Giuseppe, e per lui
pregava il divin Figlio, perché lo consolasse. Non tardò molto il divino Infante
a consolare il suo amato Giuseppe, manifestando alla divina Madre che
Lui già aveva udito ed esaudito le loro suppliche, perciò lei lo desse in braccio
al suo Giuseppe. Lo fece la divina Madre molto volentieri, per vedere
consolato il suo Sposo, che ben lo meritava.
Il nostro Giuseppe ricevette il nato Redentore fra le sue braccia stando
genuflesso in terra, e se lo strinse al petto. Posò il Redentore il suo divin
capo sul collo del fortunato Giuseppe, e gli fece sentire nello stesso tempo
un pieno godimento di spirito, parendogli già di avere fra le braccia il tesoro
del Paradiso, come infatti aveva. Si riposò sul petto di Giuseppe il divino Infante,
ed egli andò in estasi per la dolcezza.
Fu quest’estasi del nostro Giuseppe assai più sublime di tutte le altre
che per l’addietro aveva avute, e gli furono rivelate grandi cose circa la vita
del Redentore: conobbe grandi misteri e fu l’anima sua arricchita di molte
grazie. Conobbe con più chiarezza la sublimità del posto a cui Iddio l’aveva
innalzato, cioè di essere sposo di Maria Santissima e padre putativo del Verbo
Incarnato.
Durò per più ore quest’estasi che ebbe il fortunato Giuseppe. La divina
Madre adorava il suo divino Infante che si riposava sul petto di Giuseppe,
e godeva molto delle grazie che il medesimo riceveva, perché a lei tutto
era noto; perciò ne rendeva affettuose grazie al suo Dio. Bramava la divina
Madre di ricevere di nuovo fra le sue braccia il suo divin Figliuolo, ma intanto
si contentava di restarne priva perché ne godesse il suo Giuseppe. Se
avesse potuto fame godere in tale modo a tutte le creature, volentieri
l’avrebbe fatto, contentandosi di restarne lei priva, tanto era grande la sua
carità verso tutti.
Tornò il fortunato Giuseppe dall’estasi, e vide il divino Infante che
riposava dolcemente sul suo petto, e piangeva per la dolcezza che ne sentiva,
ed era tutto assorto nel contemplare la grandezza di quel Dio che stringeva
fra le sue braccia.
Si destò il divino Infante, e incominciò con gli occhi amorosi a rimirare
la sua cara Madre, facendo atto di volersene tornare fra le di lei braccia.
Lo conobbe il fortunato Giuseppe, e lo porse alla divina Madre, la
quale, genuflessa, lo ricevette con molto giubilo del di lei cuore, che lo bramava
ardentemente. Il nostro Giuseppe ringraziò il suo Dio del favore sublime
che fatto gli aveva e poi rese grazie alla divina Madre; dopo insieme
resero grazie al divin Redentore per i favori concessi al suo amato Giuseppe,
come anche alla divina Madre.
Così aumentava sempre più la divina grazia nell’anima del nostro
Giuseppe, e cresceva in lui l’amore verso il suo amato Redentore. Lo riceveva
spesso fra le sue braccia, preparandovisi però sempre con ardenti desideri
di riceverlo ed ogni volta, che lo riceveva, la sua anima era ricolma di nuova
grazia e più ardente di amore. Capiva il tutto il fortunato Giuseppe, e ne rendeva
affettuose grazie al suo amato Signore. Ciò conosceva anche la divina
Madre, ed anche lei Lo ringraziava da parte del suo Giuseppe.
A volte, il divino Infante fissava i suoi sguardi nel volto del suo
amato Giuseppe in atto sorridente, e gli faceva udire la divina sua voce al
cuore, che gli diceva: «Giuseppe mio, quanto vi amo e gradisco la vostra
servitù, il vostro amore! Dopo la mia diletta Madre, voi siete l’oggetto da me
più amato». A queste voci interne l’anima del fortunatissimo Giuseppe si
struggeva in amore e gratitudine verso l’amato suo Dio, e gli rispondeva con
affettuose parole e corrispondeva con ardente amore.
E spesso gli diceva: «Gesù mio, voi siete l’unico Oggetto del mio
amore! Voi tutto il mio bene, il mio contento, la mia vita, il mio riposo! Dopo
di Voi amo la vostra divina Madre, e l’amo come vostra Madre, come la
creatura più santa e degna che sia stata e sia al mondo. L’amo come ripiena
di virtù e di grazia, e l’amo come mia Sposa e carissima compagna, datami
da Voi per vostra sola bontà. Amo tutte le creature come opera delle vostre
mani, e tutti amo in Voi e per Voi, mia vita e tutto il mio vero bene».
Gradiva molto il divino Infante le espressioni dell’amato suo Giuseppe,
e gli mostrava il gradimento con guardarlo amorosamente e ricolmare
di giubilo e di allegrezza il suo cuore ed il suo spirito. Giuseppe rendeva affettuose
grazie al divino Infante. Il nostro Giuseppe viveva in quella poverissima
stalla con tanta consolazione del suo spirito in compagnia della divina
Madre e del divino Infante.
I santi sposi si cibavano molto parcamente per la loro grande povertà.
Venivano spesso visitati dai semplici pastori, i quali, vedendoli in tanta
povertà, non mancavano di portare loro qualche cosa perché si ristorassero;
il che era dai nostri grandi personaggi molto gradito, ma prendevano soltanto
quanto era loro necessario e niente più.
In quei primi giorni della natività del Redentore si cibavano molto di
rado, tanto la divina Madre come il nostro Giuseppe, i quali se ne stavano
per lo più in estasi ed in altissima contemplazione sopra il grande mistero
della natività del Redentore. La bellezza e la grazia, l’amabilità e la dolcezza
del divino Infante saziava anche il loro corpo di modo che, per l’abbondanza
delle consolazioni inteme, sentivano anche ima sazietà nel corpo, sembrando
loro di essersi deliziosamente cibati. Tutti immersi nella contemplazione del
nato Redentore, pareva che ad altro non sapessero pensare che a godersi la
presenza dell’amato e desiderato loro Dio.
Tuttavia il nostro Giuseppe si prendeva cura e sollecitudine di provvedere
il vitto necessario, perché la divina Madre non patisse. Non solo in
questo, ma in tutte le altre cose, si mostrava molto attento e sollecito, non
mancando mai al suo dovere, che era di provvedere in tutto ai bisogni della
sua Sposa e del Redentore. Così si comportò il nostro Giuseppe in quel tempo
che dimorò qui e in particolare in quegli otto giorni prima della circoncisione
del divino Infante. Terminati gli otto giorni lo fecero circoncidere, secondo
la Legge di Mosè, come si dirà nel capitolo che segue.

image_pdfimage_print
Libro II – (7) Capitolo VII – Natività del Redentore : come si comportò san Giuseppe in QUESTA OCCASIONE, LE VIRTÙ CHE PRATICÒ E LE GRAZIE CHE RICEVETTE PER TUTTO IL TEMPO CHE LÌ [NELLA SPELONCA] DIMORÒ