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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (9) Capitolo IX – La venuta dei Re Magi ad adorare il nato Redentore e ciò che in tale circostanza praticò san Giuseppe

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Libro II – (9) Capitolo IX – La venuta dei Re Magi ad adorare il nato Redentore e ciò che in tale circostanza praticò san Giuseppe

Il fortunato Giuseppe desiderava che tutto il mondo riconoscesse il
grande beneficio che Dio aveva fatto al genere umano nel mandare il suo
Unigenito ad incarnarsi e farsi uomo per redimerlo. Vedendo che tutti vivevano
ignari del beneficio così grande, ne sentiva molta afflizione, perciò
domandava al suo Dio la grazia che tutto il genere umano riconoscesse il
grande bene che Lui gli aveva fatto, che [tutti] si mostrassero grati al loro
Benefattore e che il Redentore fosse conosciuto e adorato. Aveva anche il
desiderio di vedere altre opere prodigiose dell’Altissimo in quella grotta,
come gli aveva manifestato la divina Madre.
Pertanto la notte prima della venuta dei Re alla grotta, l’Angelo parlò
a san Giuseppe nel sonno, e gli manifestò che tre Re dall’Oriente sarebbero
venuti in quel giorno ad adorare il nato Redentore e ad offrirgli preziosi
doni. Perciò si rallegrasse, perché in questa circostanza avrebbero trovato in
qualche modo consolazione i desideri del suo cuore e si sarebbero adempiute
le sue giuste petizioni.
Si rallegrò molto il nostro san Giuseppe a quest’avviso e, destatosi,
incominciò a lodare e ringraziare il suo Dio, che si era degnato adempire in
qualche modo le sue brame ardenti; e tutto pieno di giubilo ed allegrezza lo
manifestò alla divina Madre, la quale già era di tutto informata, benché non
dimostrasse al Santo quanto in lei passava. Si rallegrò con il suo Giuseppe e
godette molto [al pensiero] che il divino Infante dovesse ricevere le adorazioni
di quei fortunati Re, che quelli riconoscessero quale vero Re e Salvatore
il divino Infante e gli prestassero il dovuto omaggio; e nelle loro persone
anche tutti popoli avrebbero riconosciuto e adorato il vero Dio.

Molte ed affettuose furono le grazie che il nostro Giuseppe rese al
suo Dio insieme alla divina Madre.
Il nostro Giuseppe poi parlò con la sua santa Sposa e le domandò che
cercasse quale fosse la divina volontà, se si dovevano fare trovare in quella
povertà estrema, oppure se egli doveva procurare qualche comodità o un
luogo più decente; e quantunque l’Angelo gli avesse detto che sarebbero venuti
alla grotta, tuttavia desiderava almeno sapere se doveva provvedere cosa
alcuna. Lo compiacque la divina Madre, e quantunque lei già fosse di tutto
informatissima, per obbedire al suo sposo Giuseppe cercò il divino beneplacito:
[che Dio] di nuovo si degnasse manifestarle la divina volontà, per
adempiere [lei] alle richieste del suo santo Sposo Giuseppe.
Il divino Infante manifestò di nuovo la volontà sua alla diletta Madre
ed ella la manifestò al suo Giuseppe: era quella di farsi trovare in quel luogo
di povertà e incomodità come al presente si ritrovavano. Nel fare questo dovevano
adorare le divine disposizioni, e non dovevano affliggersi per
quell’apparenza di povertà, perché i tre Re avrebbero riconosciuto in quella
la ricchezza e i tesori immensi del grande Re Supremo, che venivano a riconoscere,
adorare, e a tributare a lui i loro cuori. Si umiliò il nostro Giuseppe
a questa risposta, adorò la divina volontà e restò sempre più ammirato
delle opere mirabili del suo Dio.
I Re vennero ad adorare l’infante divino e Re supremo, ed il nostro
Giuseppe se ne stava tutto attonito e come estatico, osservando quanto passava
fra i tre Re e il divino Infante. Ammirò l’umiltà, la devozione e l’amore
di quelle persone regali, ed ammirò altresì la degnazione, l’affabilità, la grazia
dell’infante divino verso di essi. Osservava nei tre Re quanto operava in
essi la grazia, e come venissero illuminati e riconoscessero sotto quella spoglia
mortale la Maestà divina. Godeva al sommo il fortunato Giuseppe di vedere
onorato il suo Umanato Signore, e godeva della felice sorte di quei Re.
I tre Re, [dopo aver] adorato il divino Infante, e goduto dei suoi favori
nelle loro anime, passarono alle congratulazioni [prima] con la divina
Madre e dopo con il fortunato Giuseppe: ognuno di essi invidiava santamente
la sorte felicissima del Santo e si rallegrava con lui.
Furono brevi le parole che il nostro Giuseppe disse ai tre Re, ma furono
accese d’amore e penetranti. Conobbero i tre Re il grande merito del
Santo e capirono come degnamente occupava quel posto, essendo egli tanto
santo ed ornato di virtù; perciò i tre fortunati Re si raccomandarono molto al
nostro Giuseppe, perché si degnasse di pregare per loro la maestà di quel Re
supremo, per la salute delle loro anime e di quelle dei loro sudditi, poiché
egli aveva la bella sorte di stare in sua compagnia e godere sempre
dell’adorabile ed amabile Sua presenza.

Promise loro di farlo, il nostro Giuseppe, e si rallegrò molto con essi
della grazia ricevuta di venire a riconoscere ed adorare il vero Dio. Offrirono
dei doni al divino Infante, e da Lui furono illuminati interiormente, [mentre
furono] dalla divina Madre e da san Giuseppe istruiti brevemente sopra i
misteri della vera fede. Essi poi partirono per tornare ai loro regni.
Il nostro Giuseppe restò con la divina Madre e il Bambino Gesù nella
grotta, e si prostrò in terra con grande umiltà e riverenza per adorare di
nuovo il suo Redentore. In questa adorazione fu sollevato il Santo in una sublimissima
estasi, dove gli furono rivelati molti misteri da Dio, e molti segreti
circa la venuta di quei Re e quanto in quella grotta Dio aveva operato
nelle loro anime. E conobbe anche che col tempo i gentili sarebbero venuti
alla conoscenza e alla adorazione del vero Dio. Se ne rallegrò molto il nostro
Giuseppe e, dopo, manifestò tutto alla divina Madre che già era informata, e
insieme resero grazie a Dio. Incominciarono poi a discorrere sopra la venuta
di quei Re, e come essi soli fra tante nazioni furono fatti degni di venire alla
conoscenza e alla adorazione del vero Dio; del popolo ebreo, che era il popolo
eletto e favorito, solo i semplici pastori furono fatti degni di andare a riconoscere
ed adorare il nato Messia. Stupivano ed ammiravano le opere del
l’Altissimo, e di tutto lo ringraziavano e lodavano.
Poi il nostro Giuseppe osservò più attentamente i doni che i Re avevano
offerti al Redentore, e capì i misteri che qui erano nascosti e di tutto si
rallegrò, perché tutto doveva servire per il suo Dio e specialmente l’incenso,
del quale anche lui si servì per incensare l’infante divino.
Non pose il cuore nell’oro perché, amando la povertà, aveva in orrore
il denaro e solo se ne serviva per provvedere alle necessità; tutto il resto,
quando l’aveva, lo dispensava ai poveri. Di quello che gli portarono i Re, fece
elemosine ai poveri e al Tempio, ritenendo quello che gli era necessario e
non più, adempiendo in questo la divina volontà e quella della sua santa
Sposa, Maria. Rimase tutto lieto e contento il nostro Giuseppe, per la visita
che il divino Infante aveva ricevuta dai Re, e non si saziava di renderne grazie
a Dio e pregava molto per essi. Similmente faceva la divina Madre impetrando
loro molte grazie.
Furono molti i favori e le grazie che il nostro Giuseppe riceveva dal
divino Infante in tutti quei quaranta giorni che si trattenne in Betlemme, ricevendolo
spesso fra le sue braccia e tenendolo a riposare sopra il suo petto.
Gli faceva poi l’infante divino molti puerili gesti, ora mirandolo con amore
in atto ridente e maestoso, ora posando il divin capo sopra il suo collo, ora
chinando la testa in atto di gratitudine per quanto egli operava per amore
suo. Riceveva da questi atti il fortunato Giuseppe sempre nuove grazie e si
riempiva di giubilo il suo cuore, ed il suo spirito era inondato da un mare di
consolazione; così si consumava tutto nell’amore verso il suo Dio. Alle volte
stava estatico per tanto tempo, e la divina Madre lo doveva chiamare perché
si cibasse, affinché la sua umanità non restasse tanto debilitata dalla violenza
dell’amore che tutto lo consumava: molte volte non si sarebbe mai cibato se
non ne fosse stato pregato dalla sua santa Sposa.
Il nostro Giuseppe aveva anche un desiderio ardentissimo di manifestare,
a tutti quelli che andavano a trovare il suo divino Infante, le meraviglie
del suo Dio, di farlo conoscere a tutti perché tutti lo dovessero lodare e ringraziare;
e comunicava questo suo desiderio alla divina Madre, la quale lo
consigliava prudentemente di tener nascosti i segreti divini e di dire solo
quello che era necessario a beneficio delle anime di quei semplici che vi andavano
con buona volontà. «Perché – diceva – il nostro Dio Umanato opererà
Lui stesso, e si manifesterà a quelle anime che a Lui piaceranno e che corrisponderanno
alla sua grazia e al suo amore; Lui le illuminerà; per ora a noi
conviene ammirare e tacere, lodare, ringraziare e godere, e procurare di supplire
con il nostro amore e gratitudine alle mancanze di tutti».
Il nostro Giuseppe restava molto contento ed appagato per quello
che la sua Sposa gli diceva; la ringraziava, e lei l’esortava a rendere grazie a
Dio di tutto, perché da Lui deriva il tutto. Quando poi il divino Infante si riposava
nel presepio, essi si trattenevano in sacri colloqui sopra le opere mirabili
del loro Dio e poi si ponevano ambedue a mirarlo, soffrendo grande
pena nel vederlo in quella mangiatoia di bestie. Giuseppe aspettava con desiderio
che si degnasse ispirare alla divina Madre di prenderlo nelle sue
braccia.
Allora il nostro Giuseppe era contento, perché credeva che il Suo
Bambino godesse le più care delizie, come infatti era, sebbene il divin Figlio
se ne privasse spesso, volendo, anche in quella tenera età, patire per soddisfare
la divina giustizia per i peccati del genere umano.
Alle volte poi diceva alla sua Sposa, quando il Fanciullo era nel presepio:
«Ma, Sposa mia, non sarebbe meglio che deste a me il vostro Figliuolo?!
Io lo terrei fra le mie braccia, così Egli non patirebbe tanto ed io ne godrei
molto?!». La divina Madre rispondeva, con la sua solita grazia e prudenza,
che il suo Gesù voleva patire egli stesso quell’incomodità, e nello
stesso tempo voleva che anch’essi lo accompagnassero nel patire, cioè patire
al vedere il suo patimento, e essere privi della consolazione che sperimenterebbero
se lo tenessero fra le loro braccia.
Chinava la testa il nostro Giuseppe nell’udire queste parole, e si umiliava
uniformandosi tutto alla divina volontà. E diceva alla sua Sposa: «Io
soffro volentieri la privazione della consolazione; ma il vedere patire in tale
modo il nostro Gesù, quanto si rende a me sensibile! Vorrei io solo patire
tutto e patire molto, purché non patisse il nostro caro Gesù, e la pena maggiore
che soffro è il vedere patire il nostro Redentore in questa così tenera
età!». La divina Madre lo compativa, perché ella molto più di lui sentiva
l’afflizione e la pena, perché più l’amava, e perciò più ne sentiva pena. Con
tutto ciò lo consolava e l’animava a soffrire tutto con generosità, mentre così
piaceva al suo Dio; e gli diceva: «Sappiate, Sposo mio, che non è grande cosa
che, fra tante consolazioni del nostro spirito, il nostro Dio ci faccia soffrire
questa pena. Non è poca cosa per un cuore che ama, stare presente e vedere
i patimenti dell’Oggetto amato e di un Oggetto così nobile e così degno,
quale è il nostro amato Gesù!».
Piangeva il nostro Giuseppe nell’udire le parole dell’amata sua Sposa
e le diceva: «Sappiate, Sposa mia, che in me si raddoppia questa pena,
prima al vedere fra tanti patimenti il nostro amato Gesù, e poi per vedere [in
essi] anche voi. Dopo il nostro Gesù, io vi amo intensamente come madre di
Gesù e come mia Sposa e compagna fedelissima. Vi amo anche per il bene
che io per mezzo vostro ho ricevuto dal nostro Dio, per le molte grazie che
mi avete impetrato e per la carità grande che sempre avete usata verso di me.
Vi amo come creatura tanto amata e favorita dal nostro Dio, come piena di
grazia e di tutte le virtù! Perciò potete pensare quanta sia la pena che io
provo nel vedere in tanti patimenti voi, che siete di natura tanto gentile, e
tanto nobile e delicata: il mio cuore soffre grande pena!».
Si umiliava molto la divina Madre quando il suo Sposo le diceva
queste parole, e gli mostrava il gradimento che aveva del suo affetto e buona
volontà; ed il nostro Giuseppe godeva molto al vedere che l’amore suo era
gradito dalla sua Sposa, perché egli per la sua umiltà se ne reputava indegno.
All’udire quanto la sua Sposa gli diceva, ne restava tanto consolato e animato,
dicendo fra di sé :«Se la divina Madre gradisce il mio buon affetto e la
sincerità del mio amore, non ho dubbio che lo gradirà anche il suo Figlio e
mio Salvatore. Dunque che bella sorte è la mia, che da personaggi così degni
e così sublimi siano graditi il mio affetto e la mia buona volontà!«

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Libro II – (9) Capitolo IX – La venuta dei Re Magi ad adorare il nato Redentore e ciò che in tale circostanza praticò san Giuseppe