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L’abate Giovanni, quello del Monte Calamus,

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L’abate Giovanni, quello del Monte Calamus, aveva una sorella che fin dalla sua infanzia viveva nella santa professione monastica. Fu lei che lo educò e gli insegnò a fuggire le vanità del mondo entrando in monastero. Egli visse, dopo la sua entrata nel monastero, ventiquattro anni senza uscire né visitare sua sorella che nondimeno desiderava molto vederlo. Ella gli scriveva spesso per chiedergli una visita prima della sua morte, per godere della sua presenza nell’amore in Cristo. Ma suo fratello si scusava e non voleva uscire dal monastero. La venerabile serva di Dio gli scriveva ancora: «Se tu non vuoi venire sarò costretta a disturbarmi per meritare di presentare finalmente i miei omaggi alla tua santa carità».

Giovanni fu molto infastidito da questa notizia e cominciò a pensare: “Autorizzarla a venire significa permettere a tutti i miei parenti di visitarmi”. E perciò si adattò a partire per andare lui stesso da sua sorella, e si fece accompagnate da altri due fratelli del monastero. Giunto alla porta del monastero della sorella, si mise a gridare: «Benedite e ascoltate i pellegrini!». Sua sorella uscì con un’altra monaca, aprì la porta, ma non riconobbe il proprio fratello; costui la riconobbe ma non disse parola per non tradirsi. I suoi compagni cominciarono: «Madre mia, volete darci dell’acqua, perché abbiamo sete e siamo stanchi per il cammino». Una volta dissetati, pregarono e resero grazie, poi, avendo preso congedo, se ne ritornarono al loro monastero.

Dopo pochi giorni, nuovo messaggio della sorella: «Vieni a vedermi prima della mia morte e a pregare nel mio monastero!». Egli rispose e le fece portare la lettera da un monaco del suo monastero. Le diceva: «Sono già venuto per la grazia di Cristo, ma non mi avete riconosciuto. Tu sei avanzata verso di noi e ci hai offerto dell’acqua; l’ho ricevuta dalle tue mani, ho bevuto e sono ritornato al monastero ringraziando il Signore. Ti basti l’avermi visto, lasciami tranquillo, ormai, e prega senza intermissione per me Nostro Signore Gesù Cristo».
[R., 32]

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