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L’abate Teodoro venne un giorno a trovare l’abate Giovanni, che era eunuco dalla nascita. Durante la conversazione, l’abate Teodoro gli disse: «Quando ero a Scete, il lavoro dell’anima era il nostro lavoro, e consideravamo il lavoro del corpo un’opera secondaria. Ma ora compiamo il lavoro dell’anima come se proprio questo fosse secondario».
[Teodoro di Ferme, 10]

Un fratello disse all’abate Pistamon: «Che cosa devo fare? È penoso per me vendere i prodotti del mio lavoro manuale». Questi rispose: «L’abate Sisoe e tutti gli altri vendevano i loro lavori; non c’è alcun male in ciò. Ma quando vendi, di’ prima il prezzo della tua mercanzia; se vuoi abbassarlo un po’, lo puoi fare, così ti sentirai tranquillo». Il fratello riprese: «Se ho ciò che mi abbisogna, mi consigli ancora di preoccuparmi del lavoro manuale?». L’anziano rispose: «Anche se hai delle risorse, non trascurare il lavoro, fanne quel tanto che potrai, ma senza agitazione».
[Pistamon]

L’abate Daniele raccontava che l’abate Arsenio passava la notte vegliando. Dopo aver vegliato tutta la notte, sul far del giorno si accingeva a dormire per soddisfare la natura, e diceva al sonno: «Vieni, malvagio schiavo!» e, seduto, furtivamente si assopiva un poco, poi subito si levava.
[Arsenio, 14]

L’abate Daniele diceva che l’abate Arsenio non cambiava che una volta all’anno l’acqua nella quale bagnava le palme; per il resto del tempo si accontentava di aggiungerne. Faceva reti con le palme e le cuciva fino alla sesta ora. Gli anziani gli domandarono perché non cambiava l’acqua delle palme, che aveva cattivo odore. «Devo», rispose, «accettare ora questo fetore in cambio dei profumi e degli olii odorosi che usavo tra la gente».
[Arsenio, 18]

Si raccontava dell’abate Dioscoro di Nachia: «Mangiava pane d’orzo e farina di lenticchie. Si proponeva ogni anno la pratica di una particolare regola, per esempio: non far visita a nessuno tutto l’anno, o non parlare, o non prendere cibi cotti, o non mangiare né frutta né legumi; e si comportava così in ogni possibile pratica; appena finita una cosa ne incominciava un’altra, e questo per un altro anno».
[Dioscoro, 1]

Il discepolo dell’abate Sisoe gli diceva spesso: «Su, Padre, mangiamo!». «Non abbiamo già mangiato, figlio mio?». Gli rispondeva: «No, Padre». «Ebbene, se non abbiamo ancora mangiato, porta il necessario e mangiamo».
[Sisoe, 4]

L’abate Evagrio ci ha detto che custodiva queste parole di un anziano: «Respingo i piaceri della carne per sopprimere le occasioni della collera. Perché so bene che la collera sempre mi tormenta se cedo a quei piaceri e turba il mio spirito e scaccia la conoscenza di Dio».
[Epifranio, 4]

Macario, quando si ricreava con i fratelli, si era dato una regola: se c’era del vino, berne perché vi erano i fratelli; ma dopo, per ogni coppa di vino, passare un giorno intero senza bere acqua. I fratelli gli davano dunque del vino, credendo fargli piacere, e l’anziano lo prendeva con gioia, per dopo mortificarsi. Ma il suo discepolo, che conosceva la sua risoluzione, disse ai fratelli: «Per l’amor di Dio, vi prego, non fatelo bere perché dopo si tortura nella sua cella». Quando i fratelli lo seppero, non gli dettero più vino.
[Macario, 10]

L’abate Iperechio ha detto: «Il monaco che non trattiene la lingua nell’ora della collera, non tratterrà nella loro ora le passioni della carne».
[Iperechio, 3 (Exhort. ad monachos, 97)]

Un anziano andò un giorno da un altro anziano che disse al suo discepolo: «Preparaci un po’ di lenticchie», ed egli le preparò. Disse poi: «Inzuppaci del pane», ed egli ve lo inzuppò. Poi rimasero a parlare di cose spirituali fino all’ora sesta del giorno dopo. Disse allora l’anziano per la seconda volta al suo discepolo: «Figliuolo, prepara un po’ di lenticchie». «Le ho fatte da ieri», rispose. E si misero a mangiare.
[N., 149]

Un altro anziano venne da un padre. Costui fece cuocere un po’ di lenticchie. «Recitiamo un breve Uffizio», disse, «poi mangeremo». Uno dei due disse tutto il salterio, e l’altro recitò a memoria e nell’ordine delle letture due dei grandi profeti. Al mattino, il visitatore partì; avevano dimenticato di mangiare.
[N., 150]

Un fratello portò nella sua cella dei pani freschi e invitò gli anziani alla sua tavola. Quando ebbero mangiato ciascuno due piccoli pani, si fermarono. Il fratello, che conosceva la loro dura ascesi, fece una metanìa e disse loro: «Per amor del Signore, oggi mangiate a sazietà». Mangiarono allora ciascuno altri dieci pani. Da ciò si vede come questi autentici asceti si nutrissero molto meno del necessario.
[N., 155]

Un vegliardo viveva lontano nel deserto; un fratello andò da lui e lo trovò malato. Gli lavò il viso e gli preparò un pasto con quello che aveva portato con sé. Il vegliardo, vedendolo far ciò, gli disse: «È vero, fratello, avevo dimenticato che gli uomini trovano del conforto mangiando!». Il fratello gli offerse anche un bicchiere di vino. Quando lo vide, l’anziano si mise a piangere dicendo: «Non pensavo più di bere vino prima della mia morte».
[N., 157]

L’abate Macario il Grande venne a trovare Antonio sulla montagna. Bussò alla sua porta. Antonio uscì e gli chiese: «Chi sei?». «Sono Macario», disse. Richiudendo la porta, Antonio rientrò, lasciandolo là fuori. Quando ebbe constatata la sua pazienza, aperse e si comportò con lui amabilmente. Disse: «È da molto che desideravo vederti, ho saputo della tua fama». Venuta la sera, l’abate Antonio fece inumidire soltanto per sé delle palme. Macario gli disse: «Vuoi che ne faccia inumidire anche per me?». «Falle pure inumidire», rispose Antonio. Macario ne preparò un grosso mucchio e si mise a intrecciarle. Essendosi così sistemati, la sera parlarono, sempre intrecciando, di ciò che è utile all’anima; ogni treccia cadeva per la finestra in una grotta. La mattina, l’abate Antonio andò a vedere, e vide il mucchio formato dalle trecce dell’abate Macario; pieno d’ammirazione, baciò le sue mani e disse: «Una grande virtù è uscita da queste mani».
[Macario, 4]

L’abate Matoe diceva: «Preferisco un lavoro leggero ma continuo, a un lavoro penoso ma subito finito».
[Matoe, 1]

Santa Sincletica ha detto: «Quando verranno le infermità a importunarci, non rattristiamoci se la malattia del corpo ci impedisce di stare in piedi a pregare e di cantare i salmi a voce alta. Questi esercizi ci erano utili per distruggere le cattive tendenze; lo stesso digiuno, il dormire sul duro, ci erano imposti per opporci ai piaceri disordinati. Se dunque la malattia attenua il pungolo, quegli esercizi diventano superflui. Che dico, superflui? in realtà, i sintomi mortali del peccato sono dominati dalla malattia, come da un rimedio più potente e più efficace. Poiché la grande ascesi è di resistere nelle malattie rivolgendo al Signore inni di grazie. Se perdiamo la vista, non abbiamone troppo dolore, perdiamo un organo di una avidità insaziabile, ma contempliamo con gli occhi dell’anima la gloria del Signore. Se diventiamo sordi, rendiamo grazie: non udremo più i vani rumori. Le nostre mani si indeboliscono? Abbiamo quelle dell’anima, che sono pronte a lottare contro il nemico. E se è il corpo intero ad essere colpito? La salute dell’uomo interiore si accresce».
[Sincletica, 8 (Vita, 99)]

Sincletica disse anche: «Nel mondo, quelli che hanno commesso qualche crimine, sono gettati in prigione contro il loro volere; dobbiamo anche noi, per i nostri peccati, ridurci in cattività, affinché questa volontaria punizione ci risparmi i castighi futuri. Quando devi digiunare non prendere come pretesto la malattia per rinunciarvi, perché anche quelli che non digiunano hanno malattie simili. Vuoi cominciare qualche cosa di bene? non lasciarti sviare dagli ostacoli del nemico. Poiché il nemico sarà distrutto dalla tua pazienza. Così è per quelli che partono per mare e, spiegate le vele, trovano prima un vento favorevole, indi un vento contrario vien loro incontro. I marinai non gettano tuttavia il loro carico in mare: essi pazientano un poco, lottando contro la tempesta, e riprendono poi la loro navigazione. Anche noi, quando incontriamo lo spirito avverso, alziamo la croce come una vela, e faremo senza pericolo la traversata».
[Sincletica, 9 (Vita, 101-102)]

Un anziano era sovente malato. Ma un anno, non avendo avuto niente, fu oppresso dal dolore e si mise a piangere: «Dio mi ha abbandonato», diceva, «non mi ha fatto visita».58
[N., 209]

Un anziano diceva: «Ecco un uomo che mangia molto e resta affamato. Eccone un altro che mangia poco e subito si sfama. Ebbene, colui che mangia molto e resta affamato ha una ricompensa più grande di colui che mangia poco e subito si sfama».
[N.,]

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