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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (5) Capitolo V – Si avvicinava il tempo della nascita del Redentore e si PUBBLICÒ L’EDITTO DELL’IMPERATORE DI ROMA; CHE COSA PRATICÒ san Giuseppe in questa occasione

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Libro II – (5) Capitolo V – Si avvicinava il tempo della nascita del Redentore e si PUBBLICÒ L’EDITTO DELL’IMPERATORE DI ROMA; CHE COSA PRATICÒ san Giuseppe in questa occasione

Essendo vicino il tempo della natività del Redentore, il nostro Giuseppe
pensava a ciò che poteva fare in quella circostanza e ciò che doveva
preparare, ed era di ciò molto sollecito. Il suo cuore si infiammava di amore
e di desiderio di vedere presto nato il Messia da lui tanto desiderato; perciò
domandava alla divina Madre che cosa doveva fare e che cosa doveva preparare
per la sua nascita. Lo compiaceva in questo la santa Madre e gli diceva
ciò che le era necessario per il Bambino e quello che non avrebbe potuto fare
lui con le sue mani: infatti, la Santissima Madre preparò e lavorò lei con le
sue mani i pannicelli di lino.
Il nostro Giuseppe volle fare una culla la quale potesse servire per
mettervi a riposare il suo Dio Umanato; e la santa Madre in ciò non lo volle
contraddire; e lui diceva alla sua Sposa: «E’ vero, o Sposa mia, che le nostre
braccia serviranno per lo più di letto al nostro divin Redentore, ma penso sia
necessario provvederlo anche di una culla, per mettervelo a riposare qualche
ora della notte ed anche del giorno, quando noi saremo occupati nel lavoro e
quando voi conoscerete essere sua volontà che lo poniate qui». Il Santo la
lavorò con tutto il suo impegno, per farla bene e comoda e, mentre la lavorava,
vi spargeva copiose lacrime di consolazione al pensiero che si impegnava
in una cosa che doveva servire per l’Umanato suo Dio.
E spesso diceva fra di sé: «Eppure in questa culla così semplice si riposerà
il Re del Cielo e il padrone dell’universo!». E così meditando andava
in estasi, il suo •spirito era inondato da un mare di gioia, ed era fatto partecipe
di altissimi misteri della vita del Verbo Incarnato. Tornato poi dall’estasi,
andava subito dalla sua amata Sposa e le narrava quanto gli era accaduto, e
lodavano e ringraziavano Dio insieme per i continui favori che dava loro; poi
tornava al suo lavoro.
La divina Madre già sapeva in quale modo voleva nascere il suo divin
Figlio e con quanta povertà, privo di ogni comodo ed anche del necessario;
tuttavia tenne tutto nascosto al suo Giuseppe, né gli manifestò cosa alcuna,
conoscendo essere tale la volontà del Divin Padre. Il nostro Giuseppe
credeva che dovesse nascere nella casa dove dimoravano, perciò procurava
con tutta la sollecitudine di trovare il necessario per tale occorrenza. Gradiva
nondimeno Dio la sua amorosa e cordiale sollecitudine, ed anche la divina
Madre gli dava chiare testimonianze del gradimento, mostrandosi contenta e
soddisfatta di quanto operava; e il divin Figlio riempiva sempre più il suo
spirito di consolazioni e di grazie.
Mentre il nostro Giuseppe stava con tanto godimento e consolazione
aspettando la nascita deH’Incamato Verbo, intese pubblicarsi il bando o editto
dell’imperatore di Roma, il quale ordinava che tutti quelli soggetti al
suo impero andassero a farsi registrare nel luogo d’origine, e si riconoscessero
per suoi sudditi.
Restò ferito il cuore del nostro Giuseppe a quest’avviso, dovendo
anche egli partire per andare in Betlemme, dove aveva origine la sua casa,
cioè: non il padre, ma i suoi antenati, ed anche la propria sua madre.
Andò subito dalla sua amata Sposa e le manifestò il bando emanato,
ed insieme il dolore e angustia del suo cuore, trovandosi costretto a partire in
una stagione così rigida; ciò che più gli dava pena, era lasciare la sua Sposa
nel tempo in cui stava per nascere il suo divin Figliuolo.
Lo consolò la divina Madre, ricordandogli che dovevano essere
pronti ad ubbidire alle divine disposizioni, e riconoscere, nel comando
dell’imperatore terreno, gli ordini del Re Sovrano.
Si rassegnò in tutto il nostro Giuseppe, e solo non poteva rassegnarsi
a lasciare la sua Sposa, per il timore di non trovarsi presente alla nascita del
Redentore; condurla con sé gli recava maggior pena, perché temeva che la
sua Sposa patisse troppo per il viaggio e anche per il pericolo che potesse
nascere il divin Figliuolo fuori della propria casa, dove sarebbero stati soggetti
a grandi patimenti. Procurarono, perciò, di intendere quale fosse la divina
volontà per poterla eseguire prontamente.
La divina Madre gli disse il suo pensiero, che si confrontò con
l’ispirazione che ne ebbe il nostro Giuseppe, e fu di condurre con sé anche la
divina Madre.
La notte, nel sonno, l’Angelo parlò al nostro Giuseppe, e gli disse
che eseguisse pure quanto aveva determinato con la sua Sposa, perché tale
era la divina volontà. Si destò il nostro Giuseppe tutto contento per quello
che l’Angelo gli aveva detto, e lo manifestò alla sua Sposa, che molto ne godette
e ne resero grazie a Dio.
Disse Giuseppe alla divina Madre: « Io credo di certo, o Sposa mia,
che il nostro Incarnato Verbo non uscirà alla luce sin tanto che noi non saremo
tornati qui nella nostra casa, mentre è sua volontà che voi veniate con
me a Betlemme.
Non è possibile che io mi possa persuadere a credere che Lui voglia
nascere fuori di casa, dove non avremo luogo adatto. E’ben vero che a Betlemme
vi saranno molti che ci accoglieranno con amorevolezza, essendovi
degli amici e congiunti, ma tuttavia non è probabile che ivi voglia nascere il
nostro divin Figlio, tanto più che credo si vedranno cose mirabili alla sua nascita».

Non rispose cosa alcuna la divina Madre, ma solo chinando umilmente
la testa gli disse che il divin Redentore aveva già decretato il luogo e
il modo del suo natale; ad essi toccava essere preparati per riceverlo ed adorarlo
in qualsivoglia luogo Egli fosse nato, e che credeva perciò bene di portarsi
i pannicelli necessari che per tale effetto teneva preparati.
Si sottomise il nostro Giuseppe al sentimento della divina Madre,
perché già sapeva come le sue parole erano tutte ordinate, ma si affliggeva
molto nel suo cuore a pensare che se il Messia fosse nato fuori della sua casa
avrebbe patito molti incomodi, tanto più che era una stagione rigida.
E diceva al suo Dio Umanato: «O mio Dio, fatto uomo per la nostra
salvezza, non sia mai che io abbia a vedervi nascere fuori di casa e che Voi
abbiate a patire freddo e incomodi! Date pure a me stesso il patimento, purché
Voi ne siate assente, e fatemi la grazia di tornare alla nostra casa prima
del vostro natale! Altrimenti come potrò sovvenire ai bisogni vostri e della
vostra Santissima Madre?! E come potrebbe mai soffrire il mio cuore questo
grande travaglio?!».
Il nostro Giuseppe stava con qualche timore che il divin Figlio potesse
e volesse nascere fuori della propria casa per le parole dettegli dalla divina
Madre; non poteva però persuadersi parendogli tuia cosa molto strana.
Stava però fra il timore e la speranza, il che gli portò un piccolo travaglio;
come il contento, che provò nel dover condurre con se l’amata sua Sposa,
veniva amareggiato dalla pena del patimento di lei in quel viaggio; e sfogava
la sua pena con l’amata sua Sposa, la quale non mancava di consolarlo e
animarlo.
Destinato già il giorno della partenza, partirono i santi sposi, avendo
fatto prima le orazioni solite e le domande al loro Dio, supplicandolo della
sua assistenza, del suo favore in quel viaggio.
E il nostro Giuseppe spesso diceva alla sua Sposa: «Possiamo stare
sicuri e contenti, avendo con noi il nostro Dio Umanato! Chi mai potrebbe
pensare che voi, Sposa mia, chiudete nelle vostre viscere il grande Figlio di
Dio, il grande tesoro che con noi si ritrova?!»
Stava la divina Madre, per lo più, estatica, contemplando le grandezze
del suo divin Figlio e preparandosi al parto, il quale già sapeva essere
molto vicino; perciò più che mai se ne stava tutta applicata a trattare col suo
divin Figlio e a fargli tutti quegli atti di gratitudine, di ringraziamento, di ossequio,
di amore che conosceva essere convenienti e che il suo materno amore
le suggeriva, facendogli anche molte richieste in favore del genere umano,
prima che uscisse dal seno materno.
Il nostro Giuseppe restava in ammirazione nel vederla più del solito
in profondo silenzio e quasi sempre estatica, ma Dio non mancò di fargli capire
che la sua Sposa, allora più che mai, si tratteneva con l’Umanato Verbo,
perché stava per uscire dal suo seno verginale: perciò era ragionevole che
godesse più che mai di quella così stretta unione e si disponesse e preparasse
al parto. Il nostro Giuseppe piangeva per la consolazione che ne sentiva.
Nel partire da Nazaret per Betlemme non portarono altra provvigione
se non ciò che la divina Madre stimò necessario. I santi sposi nel viaggio
erano tutti assorti, e contemplavano il grande tesoro che portavano con loro.
Si prostrava spesso in terra il fortunato Giuseppe, e adorava l’Umanato suo
Dio con profonda adorazione.
Inondava il suo cuore in un mare di gioia, eppure era trafitto da acuto
dolore nel vedere i patimenti della sua Sposa in quel tempo così rigido.
Venivano a schiere gli uccelletti, e facevano armonia con i loro canti al loro
Creatore, e di ciò molto godeva il fortunato Sposo.
In questo viaggio ebbe anche occasione il nostro Giuseppe di soffrire
qualche cosa per amore del suo Dio, perché spesso si incontravano con i
viandanti, i quali andavano a Betlemme per la stessa causa per cui andavano
loro.
Vi furono alcuni che derisero e trattarono da sciocco e insensato il
nostro Giuseppe, perché conduceva con sé la sua Sposa, che si vedeva che
stava vicina al parto, né vi mancarono di quelli che lo trattavano da indiscreto
e privo di carità. Il Santo non dava a questi tali risposta alcuna, ma gli serviva
tutto di grande confusione, che offriva al suo Dio e con pazienza tutto
soffriva, senza mai dolersi con chi lo maltrattava con parole offensive.
Passate però le burrasche, la divina Madre lo consolava e l’animava a soffrire
molto più per l’Umanato suo Dio; e lui diceva alla sua Sposa: «Sposa mia!
Questi che vedono ciò, con ragione mi trattano così, perché essi non sanno il
tesoro che voi portate nel vostro seno, e che io, nel condurvi con me, adempio
la divina volontà! Ma le loro parole sono per me tante spade al cuore per
i patimenti vostri». Lo rassicurava la divina Madre, [dicendogli] che lei godeva
di patire e che il patimento era delizioso, perché stava adempiendo la
divina volontà, e così si quietava il nostro Giuseppe.
Non vi mancò anche chi facesse violente esortazioni alla divina Madre,
perché tornasse indietro e lasciasse andare solo il suo Sposo, il quale era
senza discrezione e mostrava sì poco senno nel condurla con sé, essendo lei
vicinissima al parto.
Il nostro Giuseppe, essendo così accusato, non rispondeva e la divina
Madre con umiltà chinava la testa e rendeva grazie a chi l’esortava ad abbandonare
il suo Sposo e tornarsene a casa sua. Tutti quelli che parlavano sia
all’una che all’altro, tutti restavano confusi ed ammirati. La divina Madre
impetrava loro dal divin Figlio, molta luce e grazie, e tutti restavano beneficati,
ed anche nel corpo, pregando lei anche per il loro felice viaggio.
I santi sposi si fermavano spesso a recitavano cantici di lode
all’Umanato loro Dio e, mirando la campagna, Giuseppe diceva alla sua
Sposa: «O mia cara ed amata Sposa, tutto ciò che ora vediamo l’ha creato
quel Dio che portate nel vostro purissimo seno! Perciò vi prego di volerGli
cantare qualche inno di lode in mio nome e magnificare la sua sapienza potenza
infinita». Lo compiaceva la divina Madre dolcemente cantando, ed il
fortunato Giuseppe se ne andava in estasi per la dolcezza.
Furono molti i patimenti che i santi sposi ebbero in questo viaggio
per la rigidezza della stagione ed anche per quello che di solito si patisce da
poveri viandanti, ma furono molte anche le consolazioni che l’incarnato
Verbo partecipava al loro spirito, di modo che nello stesso patimento godevano,
e si rallegravano al pensiero che adempivano la divina volontà.

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