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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro II – (4) Capitolo IV – Comportamento di san Giuseppe con il Verbo Incarnato e con la divina Madre sino al tempo della nascita del Redentore

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Libro II – (4) Capitolo IV – Comportamento di san Giuseppe con il Verbo Incarnato e con la divina Madre sino al tempo della nascita del Redentore

Il nostro Giuseppe, fatti tutti gli atti convenienti con la divina Madre
e con l’Umanato Verbo, e trattenutosi in vari colloqui con la sua Sposa sopra
il mistero dell’Incarnazione, determinò [con lei] il modo con cui dovevano
comportarsi fra di loro. Sarebbe stato come per il passato, soltanto la divina
Madre accettò che il suo Giuseppe adorasse il Divin Verbo nel suo seno verginale,
e che questo lo facesse ogni volta che a lui fosse piaciuto.
Di ciò si accontentò perché conobbe essere tale la divina volontà.
Perciò il nostro Giuseppe, tutto lieto e contento, ne rese grazie a Dio e poi
alla sua divina Sposa.
Se ne andava il fortunato Giuseppe a lavorare, stando sempre fisso
col pensiero nel Dio umanato, e amandolo ardentemente con il cuore.
Non poteva il Santo trattenersi [lontano] molto tempo, e spesso si
portava con impeto amoroso a trovare la divina Madre, e lì, subito genuflesso,
adorava il suo Dio e tutto si accendeva nel suo amore. Fatto quest’atto di
adorazione, a volte partiva in silenzio tornando a lavorare – ciò faceva quando
si accorgeva che la divina Madre stava estatica: per non disturbarla partiva
altre volte, quando la trovava occupata a lavorare o in altre occupazioni
della casa, si tratteneva in breve colloquio, a lode del suo Dio.
Erano molti gli effetti che il fortunato Giuseppe sperimentava in
queste visite, e molte volte restava rapito, in estasi e vedeva svelatamente
l’incarnato Verbo nel seno verginale della divina Madre, e qui lo adorava e
tutto Gli si offriva, ed era dal divino Infante rimirato con grande amore.
Tornato dall’estasi, raccontava tutto alla divina Madre, persino le
fattezze del volto che in Lui aveva scorte mentre stava così elevato in spirito,
e le diceva: «O Sposa mia Santissima, quanto bello, quanto caro, quanto grazioso
e amabile è il nostro Dio umanato! Sono certo che solo la sua bellezza
farà godere un paradiso di gioia al nostro cuore e che attirerà a sé i cuori di
tutte Le creature, come dolce calamita.
E chi mai potrà resistere al suo amore?! E chi potrà trattenersi di non
venirlo a venerare, mentre la sua bellezza è tanta e così grande che rapisce il
cuore al solo vederlo?! Che sarà poi, il goderla svelatamente ed il trattarlo
confidenzialmente?! Noi felici! Noi fortunati, che avremo la sorte di sempre
vederlo tra noi e di trattarci con confidenza! Gli Angeli stessi invidieranno la
nostra sorte felice! Noi beati! Noi fortunati!».
Dicendo ciò spargeva lacrime di dolcezza, e la divina Madre componeva
nuovi cantici di lode al Divin Verbo e cantava dolcemente. Il fortunato
Giuseppe allora andava in estasi per la dolcezza, sia del canto che delle parole
mirabili che la divina Madre componeva. Tornato poi dall’estasi ringraziava
il suo Dio per le grazie che concedeva alla divina Madre.
Ogni volta che il fortunato Giuseppe andava a lavorare, oppure usciva
di casa per provvedere il vitto necessario o altro concernente al suo lavoro,
sempre si inchinava prima all’Incarnato Verbo, pregandolo della sua assistenza
e della sua benedizione, la quale gli veniva data copiosamente.
Avrebbe voluto la benedizione anche della sua Sposa ma poiché lei
era tanto umile, non gliela domandava per non recarle pena; formulava però
la sua intenzione, intendendo di domandarla anche a lei; e così si contentava.
Si sentiva struggere il cuore al pensare alla tanta povertà che non poteva
fare alla sua Sposa quello che lui bramava, non solo di servirla in tutto,
ma avrebbe voluto provvederla di cibi convenienti alla sua delicatezza e
spesso le diceva: «Sposa mia, quanta pena soffre il mio cuore per non essere
in grado di comprare quello che conosco essere necessario al vostro mantenimento!
E per la mia povertà posso provvedervi solo di cibi poveri, da cui
segue che il nostro Dio, che è padrone di tutto il creato, può prendere da voi
l’alimento di cose così povere e di nessuna sostanza, e ne sentirà il patimento!».

A queste parole sorrideva la divina Madre, e faceva animo al suo
Giuseppe dicendogli che di ciò non si prendesse pena, perché il Suo divin
Figlio voleva così e di ciò era contento; se avesse voluto altrimenti, non gli
sarebbe mancato modo di dargli la possibilità di poterlo fare, e così si quietava
il nostro Giuseppe.
A volte entravano in discorso riguardo al modo di vivere che avrebbe
tenuto il Redentore e di quanto avrebbe patito a stare con loro per la grande
povertà in cui si trovavano. In questi discorsi spesso versavano lacrime,
considerando a quanta povertà si sarebbe assoggettato il Padrone
dell’universo.
A volte, la divina Madre gli narrava qualche passo della Scrittura
e dei Salmi di Davide, dove si spiegano i patimenti che il divino Redentore
avrebbe sofferto per redimere il mondo e la dolorosa Passione che avrebbe
patito. Ciò gli diceva la divina Madre con grande riserva, non manifestandogli
tutto per non vederlo tanto patire, perché all’udire queste parole il nostro
Giuseppe sveniva dal dolore e piangeva amaramente.
La divina Madre gli manifestava ogni tanto queste cose, perché conosceva
essere volontà del suo Dio che il suo Giuseppe soffrisse delle amarezze
anche in mezzo al colmo delle consolazioni e che non stesse senza soffrire
pene, per accrescergli il merito che nel soffrire si acquista.
Così il nostro Giuseppe andava sempre più arricchendosi di meriti e
di grazie mentre compativa il divino Redentore fra le sue pene.
Sebbene Egli non fosse ancora uscito alla luce, [Giuseppe] si acquistò
il merito di compatire l’appassionato suo Redentore: benché non fu presente
alla sua Passione, per tutto il tempo della sua vita si afflisse e ne compassionò
le atroci pene, come si racconterà in questa storia.
A volte, mentre il nostro Giuseppe si tratteneva in sacri colloqui con
la divina Madre, era illuminato da Dio e chiaramente conosceva come il
Verbo Incarnato si affliggeva per le offese fatte al Divino Padre, ed egli
amaramente piangeva e lo manifestava alla sua Sposa: Insieme si affliggevano
e offrivano al Divino Padre le loro lacrime per placare il suo sdegno verso
il genere umano e lo supplicavano per la conversione dei peccatori.
Il nostro Giuseppe esclamava: «Mio Dio, che cosa enorme vedervi
così gravemente offeso nel tempo che Voi avete usata al mondo una misericordia
così grande! Mandare il vostro Unigenito a farsi uomo per salvare gli
uomini! Com’è possibile che un amore sì grande debba essere ripagato con
tanta ingratitudine? Il mondo non sa ancora il grande beneficio che Voi gli
avete fatto; io, che ho avuto la fortuna di saperlo, dovrei struggermi per amore
e corrispondere a questo grande beneficio e supplire al mancamento di tutti.
Dichiaro, benché miserabile e indegno, che desidero e intendo, a nome di
tutti, amarvi, ringraziarvi, benedirvi e lodarvi. Date Voi spirito e virtù al vostro
indegno servo, perché possa farlo degnamente».

Godeva molto Dio delle espressioni affettuose del suo amato Giuseppe
e gliene dava chiari segni, riempiendo il suo spirito di consolazione e
il suo cuore di amore, di modo che trascorreva giorni interi estatico e tutto
acceso nel volto; non si poteva distinguere se fosse uomo terreno o celeste,
stando per dei giorni senza altro cibo che di quella pienezza di consolazioni
che Dio comunicava alla sua anima.
Il nostro Giuseppe visse sempre dimentico di tutte le cose caduche e
terrene, stando sempre con il suo cuore e col pensiero fisso nel suo Dio, unico
oggetto di tutto il suo amore. Ma ciò si accrebbe molto in lui dopo che gli
fu rivelato il mistero dell’Incarnazione, al punto che la sua mente non fu più
capace di ricevere in sé altri oggetti. Sempre fisso nell’Umanato suo Dio,
con lui parlava sempre internamente, e quanti atti di amore, di gratitudine, di
ossequio continuamente gli faceva! Bisognerebbe contare tutti i momenti
della sua vita per numerare questi atti che il nostro Giuseppe faceva.
Le stesse parole che lui diceva, erano per lo più tutte indirizzate a
questo suo amato Oggetto: anche quando andava gente ad ordinargli il lavoro,
altra risposta non sapeva dare che lodare il suo Dio ed esaltare la Sua infinita
bontà e misericordia, dicendo a tutti: «Lodiamo il nostro Dio, lodiamolo
sempre. Quanto è mirabile nelle opere sue, quanto è grande il suo amore!».

Alcuni timorati di Dio restavano edificati e approfittavano delle sue
parole, ma alcuni miserabili immersi nelle colpe si facevano beffe di lui, lo
schernivano e motteggiavano, né manco chi più volte lo calunniasse e lo ritenesse
alterato dal vino, come fu detto dagli Ebrei agli Apostoli, quando furono
riempiti di Spirito Santo ed ebbri di amore di Dio. Soffriva tutto allegramente
il nostro Giuseppe, né di ciò mai si dolse, né lasciò per questo di
trattare e narrare la bontà e liberalità grande del suo Dio. Offriva a Dio tutti i
dispregi e derisioni che riceveva, e lo supplicava di perdonare a tutti quelli
che lo schernivano.
Si accrebbero ancora, nel nostro Giuseppe, l’orazione e le suppliche
che prima faceva per la salvezza del suo prossimo e in particolare per i moribondi;
e quando sapeva che vi era qualche infermo grave si prostrava davanti
all’Umanato Verbo, e tanto lo supplicava sin che ne otteneva la grazia,
o della salute corporale, se era volontà di Dio, o della salvezza eterna.
Similmente faceva per i peccatori, e quando sapeva che ve ne era
qualcuno ostinato, spargeva calde lacrime avanti al divino Redentore, e tanto
pregava sin che ne otteneva la conversione. Si univano alle sue suppliche anche
quelle della divina Madre, le quali erano tanto gradite a Dio e tanto gusto
ne riceveva.

La divina Madre era ammaestrata dall’eterna divina sapienza che nel
suo seno abitava, e anche il nostro Giuseppe ne veniva ammaestrato con mirabili
illustrazioni e ispirazioni, stando quasi di continuo alla sua presenza.
Quantunque la divina Madre in quel tempo parlasse molto di rado,
stando per lo più in profondo silenzio e tutta assorta ed attenta a trattare con
l’incarnato Verbo, tuttavia anche il nostro Giuseppe riceveva degli ammaestramenti
dalla sua Sposa, essendo le sue parole misteriose e colme di celeste
sapienza. Così il fortunato Giuseppe era tutto attento aspettando con desiderio
che la sua Sposa proferisse qualche parola, che poi conservava nel più
intimo del suo cuore, e la meditava, e da essa cavava grandi ammaestramenti.
Era tanto il desiderio che il nostro Giuseppe aveva di fare qualche cosa
che fosse gradita all’incarnato suo Dio che non poteva trattenersi dal domandarne
alla divina Madre, e ciò lo faceva spesso, supplicandola a dirgli
che cosa poteva fare per darGli gusto; e la divina Madre si umiliava.
Allora il suo Giuseppe soggiungeva che non doveva meravigliarsi
della sua richiesta: lei [del resto] vedeva che lui le domandava ciò per non
altro motivo al di fuori del fatto che, abitando in lei il Dio Umanato, facilmente,
come sua vera madre, avrebbe conosciuto quale era il Suo gusto; egli,
infatti, avrebbe fatto ciò [che le avrebbe indicato] per compiacere [il Verbo
Incarnato], essendo tale il suo obbligo.
La divina Madre lo consolava, rispondendogli con tutta umiltà, grazia
e cortesia, ed ora gli consigliava la pratica di una virtù, ora di un’altra; e
per lo più gli diceva: «Il Verbo Incarnato desidera molto che gli si doni il
cuore. E noi, avendoglielo già donato da che fummo favoriti dell’uso di ragione,
torniamo a fargli di nuovo questo dono! E facciamolo spesso, col desiderio
di donarGli anche tutti i cuori, se fossero nelle nostre mani». Godeva
molto il nostro Giuseppe nell’udire le parole della divina Madre, e piangeva
per dolcezza, e dopo la ringraziava e supplicava il divino Verbo Incarnato di
rimunerarla e ad arricchirla sempre più delle sue grazie.
Il fortunato Giuseppe a volte, quando era acceso d’amore più che
mai, anche lui componeva qualche versetto in lode al suo Umanato Signore,
e poi glielo diceva. Ne godeva molto la divina Madre e, per soddisfare il suo
Giuseppe, lei stessa li cantava al suo divin Figlio a nome di Giuseppe.
Godeva tanto di ciò il Santo che se ne andava subito in dolcissima
estasi, dove gli era manifestato chiaramente dal Divin Verbo, quanto da ciò
Egli ne ricevesse gusto.
Il nostro Giuseppe a volte si trovava ridotto a tanta povertà, che non
aveva di che cibarsi, perciò si crucciava molto per non avere niente con cui
sovvenire la sua amata Sposa, tanto più che aveva sempre timore che lei patisse
fame e sete. Si raccomandava al suo Dio, perché si degnasse di provvederlo
e gli diceva: «Signore mio, non per me, che non lo merito, ma provvedetemi
per la mia santa Sposa, perché io possa somministrarle l’alimento necessario
». E di fatto non tardava Dio a provvederlo, o per mezzo delle creature,
o per mano degli Angeli, trovando essi, a volte, preparata la mensa con
pane e frutti e altri cibi necessari, secondo il loro bisogno. Si mostrava poi
[Giuseppe] molto grato al suo Dio, riconoscendo il suo beneficio e la sua liberalità,
e gliene rendeva affettuosissime grazie.
Era di una continua pena, al cuore di Giuseppe, la sua tanta povertà,
non già per se stesso – che di ciò ne godeva -, ma perché, conoscendo la dignità
e il merito della sua Sposa, e vedendola in tanta povertà, ciò gli pareva
una cosa indegna. La divina Madre però non tralasciava di consolarlo, manifestandogli
i pregi di questa virtù e come sia molto amata dal suo Dio, il quale
così volentieri l’abbracciò, volendo nascere e vivere povero, come avrebbe
veduto nel corso della sua vita.
E gli diceva: «Vedete voi come si è eletta una madre povera? Credete
che, se avesse voluto vivere fra gli agi e le ricchezze, avrebbe eletto una
madre nobile, non solo, ma anche molto ricca? Lodiamo il nostro Dio e ringraziamolo
che, essendo ricco ed infinito, si è degnato abbracciare la povertà
per insegnarla al mondo tutto. A noi è toccata così bella sorte, e se non
fossimo stati poveri, chi sa se ci sarebbe toccata questa fortuna!»
Restava ammirato e consolato il nostro Giuseppe nell’udire le parole
della divina Madre, e rendeva grazie a Dio della sua povertà, e spesso meditava
le parole che la divina Madre gli diceva su questo argomento, restando
sempre più ammirato come il suo Dio avesse scelto di vivere in così estrema
povertà. E tra sé diceva: «Quante volte mi converrà di vedere il mio Umanato
Signore soffrire fame e sete! Come potrà soffrirlo il mio cuore?! Egli così
vuole, devo dunque volerlo anch’io. Che raro esempio di povertà, che ora il
mondo non capisce, né intende! Ma verrà il tempo in cui l’intenderà e lo capirà,
e spero che da molti sarà imitato il mio amato Signore».
Il nostro Giuseppe aveva un ardente desiderio che tutto il mondo sapesse
il beneficio grande dell’Incarnazione del Divin Verbo, perché tutti fossero
riconoscenti al suo Dio. Lo supplicava spesso di questa grazia e più volte
ripeteva queste parole: «O Verbo Incarnato, manifestatevi presto al mondo,
perché tutti lodino la vostra bontà, esaltino la vostra misericordia e corrispondano
al vostro amore!» Ciò faceva perché ancora non sapeva come il
mondo avrebbe trattato male il suo Dio e che gli avrebbe corrisposto con offese
e ingratitudini. La divina Madre, che tutto sapeva, gli manifestava come
il suo divin Figlio sarebbe stato trattato molto male dal mondo.
A queste parole restava ferito dal dolore il cuore amante del nostro
Giuseppe, ed esclamava sovente: «Ma sarà possibile, o mio Dio, che il mondo
Vi abbia a trattare male e a mostrarsi ingrato a così grande beneficio?! Il
mio cuore non lo potrà soffrire. Eppure sarà così, perché la vostra divina
Madre me lo ha detto, forse perché mi prepari a soffrire questo grande travaglio.
Date Voi, mio Dio, forza e virtù al vostro servo, altrimenti come potrò
soffrire ima così grande ingratitudine ed un torto così grande alla vostra bontà,
al vostro infinito amore!».
Per queste cose – che dalla divina Madre erano manifestate al nostro
Giuseppe, in lui si amareggiava la grande consolazione che di continuo sperimentava
nello stare alla presenza dell’Umanato suo Dio e nel trattare con la
divina Madre. Così in mezzo alle consolazioni il suo cuore era trafitto da
acuto dolore al pensiero di quanto il divin Redentore avrebbe sofferto e patito
nel corso della sua vita, e diceva spesso alla sua Sposa: «Sposa mia, come
il nostro Dio mi tiene in un mare di consolazioni, per le molte grazie che ci
concede e per essersi degnato di stare con noi volendo nascere da voi, mia
cara ed amata Sposa! Ma nello stesso tempo sono in un mare di amarezza,
facendomi intendere per mezzo vostro quello che Lui soffrirà e patirà nel
corso della sua vita! E sarà possibile che il nostro Dio non sia da tutti amato
e che il mondo non voglia conoscerlo?! O Verbo Incarnato, Voi dunque sarete
sconosciuto al mondo, Voi sarete pagato con ingratitudine?! Oh, Dio
mio!»
E qui si poneva a piangere dirottamente sin che la divina Madre lo
consolava e gli diceva: «Fatevi coraggio, Sposo mio, e ringraziamo la divina
Bontà che ha fatto a noi grazia così grande di conoscerlo e di essere grati a
così grandi benefici. Rallegriamoci che a noi sia toccata così bella sorte!».
A queste parole si asciugava le lacrime il nostro Giuseppe, e si consolava,
e diceva alla sua Sposa: «Sì, è vero, voi, Sposa mia, lodatelo e ringraziatelo
per me, che così bene lo sapete fare, ed anch’io mi unirò con voi a
lodare e ringraziare la sua infinita bontà». La divina Madre componeva nuovi
cantici di lodi e di ringraziamenti e li cantava dolcemente al suo Dio, e il
nostro Giuseppe le faceva compagnia e così tutto si rallegrava. Godeva molto
l’incarnato Verbo delle lodi che dalla divina Madre riceveva, come anche
degli affetti e desideri del suo amatissimo Giuseppe, e gliene dava chiare testimonianze,
riempiendo il di lui cuore di gioia.
Al pensiero sempre fisso, che aveva nella mente, che l’Umanato suo
Dio abitava nel seno verginale dell’amata sua Sposa, [Giuseppe] si sentiva
riempire di confusione e riverenza. Non ardiva alzare gli occhi per mirare la
divina Madre, sentendosi atterrire dalla maestà, ma nello stesso tempo si sentiva
ardere il cuore di un violento amore e tirare gli sguardi a rimirare
l’amato Oggetto in seno alla sua Sposa, e riempirsi di fiducia e confidenza.
Infatti, spesso si effondeva in colloqui amorosi col suo Umanato Signore e
gli esprimeva le brame ardenti dell’infiammato suo cuore e l’acceso desiderio,
che aveva, di presto vederlo uscire alla luce. E diceva sovente: «O mio
Umanato Signore, quando avrò la sorte di vedervi con gli occhi corporali e
di ricevervi fra le mie braccia?! La mia anima, senza dubbio, uscirà dal carcere
angusto di questo corpo per la violenza del gaudio che sentirà! Perciò
converrà che Voi facciate un nuovo miracolo di conservarmi la vita, se volete
che io goda dei vostri dolcissimi amplessi. Oh, Verbo Incarnato! Sarà vero
che avrò la bella sorte di vedervi, di stringervi fra le mie braccia, di alimentarvi
con il lavoro delle mie mani?! Ecco che è arrivato il tempo da Voi promessomi
e da me tanto bramato, in cui io mi impegnerò tutto per Voi! Tempo
troppo felice per me! Grazia del mio Dio fatta a me, servo vilissimo e indegno!
E chi poteva immaginarsi che il mio Dio mi avesse eletto a tale posto,
così degno e sublime sopra ogni altro? Quanti Patriarchi e Profeti hanno
sospirato e bramato la vostra venuta al mondo, e non sono stati fatti degni di
vedervi; ed io, vilissimo schiavo, non solo vi vedrò, ma tratterò con voi, vi
alimenterò e vi stringerò fra le mie braccia. Oh, grazia sublime! E favore
inenarrabile!». Nel dire questo se ne andava in dolcissima estasi e tutto si infiammava
di amore. In queste estasi poi, trattava l’anima sua con l’Umanato
suo Dio, e riceveva contrassegni del grande amore che gli portava. L’Infante
divino accarezzandolo gli faceva godere un paradiso di gioia per la sua dolcissima
presenza.
Poi tornavano alla memoria del nostro Giuseppe, le parole che gli
diceva la sua santa madre quando era fanciullo, cioè: «Figlio, beato voi!»; e
diceva: «Aveva ben ragione di dirmi la mia genitrice: beato! Perché infatti
così è. Ed essendo lei molto saggia e timorata di Dio aveva ben saputo la
sorte felice che mi doveva toccare, e ben ragione aveva di esortarmi a bramare
la venuta del Messia e di dirmi che il mio Dio avrebbe adempiute le
mie suppliche e assecondato i miei desideri.
Se ella fosse adesso al mondo [adesso], quanto giubilo ne sentirebbe,
e quanta consolazione ne riceverebbe il suo spirito!» Così il nostro Giuseppe
si ricordava di tutte le parole che la sua buona madre gli diceva quando era
fanciullo, e allora capiva come sua madre era stata fatta partecipe della grazia
sublime che avrebbe fatto a lui il suo Dio.
Ammirava anche la virtù della sua madre, la prudenza ed il segreto
che aveva conservato, non manifestandogli mai chiaramente il favore, ma
solo animandolo e dargli speranza della venuta del Messia, ed esortarlo a
porgerne suppliche al suo Dio. Spesso la lodava [parlandone] con la divina
Madre, e le raccontava le sue rare virtù, e le diceva: «Sposa mia, se la mia
genitrice avesse avuta la sorte di conoscervi e trattare con voi in questo tempo,
ne sarebbe morta per la consolazione! Quanto meglio di me vi avrebbe
servito e onorato, come richiede il vostro merito! Ma il nostro Dio ha voluto
che noi restassimo soli e poveri e che voi siate sconosciuta da tutti. Ed io,
che ho la sorte di conoscervi e di stare in vostra compagnia, non so servirvi
come dovrei: perciò vi prego di compatire la mia sciocchezza, e molto più
l’indegnità mia; e vi prego ancora di volere voi rendere per me le dovute
grazie al nostro Dio, perché io non so farlo come dovrei».
Si umiliava molto la divina Madre alle espressioni cordiali del suo
Giuseppe, e lo pregava di non volere dire quelle parole in sua lode perché,
quantunque lei le indirizzasse tutte a lode del suo Creatore, tuttavia sentiva
confusione nel sentirsi lodare, mentre lei si stimava per se stessa la più vile
fra tutte le creature.
Restava confuso il nostro Giuseppe, e soffriva nel trattenersi di lodare
il merito di lei, perché egli non avrebbe fatto altro che lodare sempre il
suo Dio e la sua Santissima Sposa. Per compiacerla, però, taceva e solo si
applicava a lodare il suo Dio Umanato, ed allora la divina Madre ne restava
soddisfatta e contenta. Non lasciava però di lodarla in assenza, benché lo facesse
con molta prudenza e cautela.
Quando da qualcuno gli veniva chiesto come lo trattasse la sua Sposa
e come con lui si portasse, rispondeva che meglio non poteva desiderare,
trovandosi in lei tutte le virtù e qualità necessarie ad una buona e fedele sposa.
Non più si estendeva, tenendo il tutto segreto, e ciò faceva per compiacere
la sua Sposa, perché così ella desiderava.

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Libro II – (4) Capitolo IV – Comportamento di san Giuseppe con il Verbo Incarnato e con la divina Madre sino al tempo della nascita del Redentore