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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro I – (12) Capitolo XII – Giuseppe si ritirò a vivere da solo esercitando l’arte del falegname; alcune grazie che Dio gli fece e le virtù che PRATICÒ

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Libro I – (12) Capitolo XII – Giuseppe si ritirò a vivere da solo esercitando l’arte del falegname; alcune grazie che Dio gli fece e le virtù che PRATICÒ

Manifestatagli dall’Angelo la divina volontà, il nostro Giuseppe la
mise subito in esecuzione e, comprato quello che gli era necessario per esercitare
l’arte del falegname, si ritirò in una piccola bottega, che prese a pigione,
vicina al Tempio. In questa piccola stanza lavorava, dormiva e prendeva
il suo parco cibo; di qui non usciva mai se non per andare al Tempio ed a fare
quello che gli era necessario per vivere. Rare volte si faceva la minestra, e
di solito il suo cibo erano pane e frutti; beveva poco vino, e questo molto
temperato con acqua. La sua minestra più squisita erano erbe cotte, ovvero
legumi, e questi, molto di rado. Infatti il santo giovane fece una vita molto
stentata e penitente, e tutto soffriva con grande allegrezza e consolazione del
suo spirito.
Dio non tralasciava di riempirlo di celesti consolazioni; egli se ne
stava solitario, in silenzio; né mai si vide gente in quella sua bottega che si
trattenesse a parlare, perché il Santo non era amico di intrattenimenti inutili
e, poiché da tutti era stimato povero, semplice e idiota, [le persone] non gli si
accostavano e lo lasciavano vivere in pace nella sua quiete, da tutti derelitto
e del tutto sconosciuto.
La gente soltanto andava ad ordinargli i lavori in quanto ci trovava il
suo utile, perché il Santo prendeva quello che gli davano, rimettendosi sempre
alla loro discrezione; e quando riceveva la paga delle sue fatiche, la
prendeva a titolo di carità, ringraziando affettuosamente chi gliela dava. Di
quella paga ne riteneva quanto gli era necessario per i suoi bisogni, il resto lo
dispensava ai poveri. Così gli aveva ordinato l’Angelo, ed egli con puntualità
l’eseguiva.
Il santo giovane si trovava a volte in grande penuria e necessità, non
avendo di che cibarsi: in tale occorrenza se ne andava al Tempio a supplicare
il suo Dio di volerlo provvedere. Dio non mancava di consolare il suo servo
ispirando al cuore ora di una, ora di un’altra vicina, di fargli l’elemosina di
erbe, frutti, minestra, pane, secondo la sua necessità. Il Santo gradiva molto
questa elemosina e ne rendeva affettuose grazie, prima a Dio, poi a chi gliene
inviava.
Dio lo provvedeva poi nel mandargli spesso da lavorare senza che
egli lo andasse a cercare, perché era tanto grande la modestia del nostro Giuseppe,
che rischiava di non andare cercando cosa alcuna; e poi confidava
tanto nel suo Dio, che provvedeva ai suoi bisogni, e se ne stava sereno,
aspettando la divina Provvidenza, la quale mai gli mancò.
Il nostro Giuseppe stando in quella piccola officina, solo e da tutti
abbandonato, si prostrava spesso in terra e si offriva al suo Dio, dicendogli:
«Ecco, Dio mio, che io sono tutto vostro, né vi è cosa alcuna che possa separarmi
da Voi. Io non ho altro che Voi; Voi siete tutta la mia eredità, tutto il
mio sostegno. Voi la mia consolazione, Voi tutto il mio bene. Da Voi solo
spero aiuto e conforto, e fuori di Voi non voglio cosa alcuna. Rinunzio a tutto
ciò che può darmi il mondo, ed abbraccio volentieri la povertà,
l’umiliazione, i patimenti, perché così piace a Voi, mio Dio, unico mio Signore
e Padrone assoluto di tutto me stesso». In tale modo si tratteneva col
suo Dio.
Faceva più frequenti le visite al Tempio e vi si tratteneva molto a
pregare, e Dio permetteva che non fosse da alcuno osservato, perché non gli
fosse impedita questa consolazione.
Si trovava allora nel Tempio la santa fanciulla Maria, destinata Madre
del Divin Verbo, le cui mirabili virtù erano ammirate da tutte le altre
giovani nel Tempio, e specialmente da chi ne aveva la cura, in modo che se
ne conosceva la fama anche in città. Il nostro Giuseppe non ne seppe mai cosa
alcuna, perché non trattava né conversava con alcuno.
Una notte però gli parlò l’Angelo nel sonno e gli manifestò che nel
Tempio si trovava una fanciulla, la quale era tanto cara al suo Dio, tanto da
Lui amata e favorita sopra ogni dire: in lei Dio tanto si compiaceva per le sue
rare virtù e la mirabile purità e santità.
Questa era Maria, figlia di Gioacchino ed Anna, da lui ben conosciuti.
Gli diceva questo, perché lodasse e ringraziasse Dio delle grazie e favori
che le concedeva, e si rallegrasse che vi fosse al mondo una creatura così degna
e a Dio così cara.
Destatosi il santo giovane si alzò, e con grande giubilo del suo cuore
ringraziò e lodò il suo Dio, come PAngelo gli aveva ordinato.
Si rallegrò molto della notizia avuta, e intese istillare nel suo cuore
un amore santo verso la fanciulla, al punto che andava più spesso al Tempio,
attirato dall’affetto verso la medesima; e benché non la vide mai, tuttavia
l’amava per le sue rare virtù.
Nel Tempio si tratteneva poi a pregare e ringraziare Dio che si degnasse
di mandare al mondo la santa fanciulla nella quale Egli trovava il suo
compiacimento; e lo pregava di ricolmarla sempre più delle sue grazie e, nella
misura in cui cresceva nell’età, la facesse crescere nelle virtù.
Dio gradiva molto le preghiere del Santo, e di ciò diede una chiara
luce anche alla fanciulla Maria, facendole conoscere la virtù del suo servo e
quanto questi pregasse per lei. Così anche lei, da quel momento in poi, pregava
Dio per il Santo e lo supplicava a riempirlo del suo amore e della sua
grazia. Dio esaudiva mirabilmente le sue suppliche; così, sia san Giuseppe,
come la santissima Vergine Maria, si raccomandavano reciprocamente a
Dio, quantunque non si conoscessero né mai si fossero parlati, ma tutto sapevano
per divina rivelazione.
Anche Maria santissima amava il giovane, perché aveva una chiara
conoscenza delle sue rare virtù, e che Dio l’amava molto; e per lo spazio di
quasi dieci anni godettero l’uno e l’altra il beneficio delle loro sante orazioni
e si amarono santamente in Dio senza però mai vedersi né parlarsi. Ma
l’Angelo alcune volte ne parlava a Giuseppe nel sonno e lo assicurava che la
santa fanciulla pregava molto per lui, e ne sentiva una somma consolazione.
L’Angelo una volta gli disse che la fanciulla Maria si era dedicata
tutta a Dio ed aveva consacrata a lui, con voto, la sua verginità, e che di ciò
aveva goduto molto il suo Dio. Sentendo questo, il Santo si invaghì di imitarla
e consacrare anche lui con voto a Dio la sua purezza, ma poiché questa
era cosa nuova e non capita, il santo era perplesso se doveva fare ciò e se a
Dio sarebbe stato gradito. Andò al Tempio per supplicare Dio di manifestargli
la sua volontà in questo particolare, e dopo molte suppliche, Dio si degnò
manifestare la sua volontà parlandogli internamente.
Gli disse che gli avrebbe fatto una cosa molto gradita se gli avesse
consacrata la sua verginità con voto, e l’assicurò del suo aiuto e della sua
grazia particolare per poterlo perfettamente osservare. Si consolò molto il
nostro Giuseppe nel sentire la voce del suo Dio che gli parlò al cuore e gli
manifestò quello per cui egli lo pregava, e subito fece voto di verginità perpetua,
e nel farlo fu riempito il suo cuore di grande giubilo ed allegrezza inesplicabile.
Dio gliela fece sentire per assicurarlo maggiormente del gradimento
che aveva del voto da lui fatto.
Fu anche elevato ad altissima contemplazione e dopo in una dolcissima
estasi, nella quale Dio gli manifestò i molti pregi della nobile virtù della
purezza: così il Santo ne restò sempre più invaghito, e molto consolato per
il voto fatto; e rese affettuose grazie a Dio che gliel’aveva ispirato e che si
degnasse di accettare il voto con tanto gradimento. Il Santo se ne tornò alla
sua piccola bottega tutto consolato ed allegro, e la notte gli parlò di nuovo
l’Angelo e l’assicurò che Dio aveva sommamente gradito il voto da lui fatto
ad imitazione della santa fanciulla Maria.
L’Angelo gli disse anche che la santa fanciulla si struggeva di desiderio
della venuta del Messia e ne porgeva continue e calde suppliche al suo
Dio. Aggiunse che a Dio erano molto gradite le sue suppliche e che senza
dubbio si sarebbe accelerata la venuta del Messia nel mondo per le preghiere
della santa fanciulla, e che anche lui avrebbe dovuto imitata per rendersi
sempre più gradito al suo Dio. Il Santo, svegliatosi, si alzò subito e si mise a
supplicare il suo Dio con più fervore, perché si degnasse di inviare presto al
mondo il Messia promesso; dopo andò al Tempio e qui si pose di nuovo a
pregare Dio per la detta venuta.
Dopo lunga orazione fu elevato lo spirito di Giuseppe in altissima
contemplazione, dove gli furono manifestati molti segreti divini riguardo le
qualità e le virtù che avrebbe avuto il Messia quando avrebbe dimorato fra
gli uomini. Il Santo restò ancora più acceso di desiderio di questa venuta,
bramando ardentemente di conoscerlo e parlare con lui. Si riconosceva però,
per la sua grande umiltà, indegno di questo favore, ma confidava molto nella
bontà di Dio, la quale già la sperimentava tanto propizia verso di sé.
Con queste grazie che Dio faceva al Santo, e per le orazioni che per
lui faceva la santa fanciulla Maria, [Giuseppe] arrivò ad uno stato di vita tale
da non parere più creatura terrena, ma un angelo del Paradiso. La sua mente
era sempre assorta in Dio, il suo amore verso Lui sempre più ardente, il desiderio
di darGli gusto in tutte le sue operazioni era molto acceso; e per lo
più rimaneva tutto estatico e assorto in Dio.
Passava giorni interi, e buona parte della notte, in continua elevazione
di mente dimenticandosi di prendere cibo, perché si sentiva sazio per il
gusto che sentiva di trattare e intrattenersi col suo Dio; e spesso replicava:
«Dio mio, perché a me, creatura tanto miserabile dispensate tante grazie e
favori? Come è grande la bontà vostra verso di me!
Come siete generoso! Quanto fedele nelle vostre promesse! Che cosa
farò io per Voi, mio Dio?! Come potrò ringraziarvi per tante grazie? Per ora
non posso offrire altro che tutto me stesso e la mia servitù. Di buon cuore
tutto a Voi sacrifico, fate di me ciò che a Voi piace, perché io sono prontissimo
a sacrificarmi e spendermi tutto al vostro servizio».
Il santo Giovane ardeva di un vivo desiderio di fare molto per la gloria
del suo Dio, ma si riconosceva insufficiente, e di ciò ne sentiva pena, perché
gli sembrava di non poter effettuare il suo desiderio. Ma una notte gli
parlò l’Angelo e gli disse che sarebbe venuto il tempo in cui egli avrebbe
appagato il suo desiderio, perché avrebbe operato molto per il suo Dio e si
sarebbe molto affaticato.

Inteso ciò, Giuseppe ne ebbe una grande gioia per la consolazione,
perché aspettava con desiderio che arrivasse quel tempo, che chiamava tempo
felice. Di fatto così fu, perché sostenne molte fatiche per conservare in
irita il Verbo Incarnato, che alimentò con il lavoro delle sue mani; e quantunque
allora non sapesse in che si sarebbe impegnato per il suo Dio, tuttavia
he godeva molto e lo chiamava per lui tempo felice, tanto era grande il desiderio
che il Santo aveva di spendersi al servizio del suo Dio.
Viveva con una semplicità più che grande, né mai ricercò cosa alcuna
delle promesse che l’Angelo gli aveva fatte, e sulle quali mai gli diede
Spiegazioni, ed il Santo mai si curò di saperle, aspettandole con una santa indifferenza.
Soltanto si applicava a pregare Dio di dargli quello che
dall’Angelo gli aveva fatto promettere; e questo lo faceva perché sapeva che
Dio voleva essere pregato.
Infatti, in tutto e per tutto il nostro Giuseppe si rendeva gradito ed
accetto al suo Dio, dandogli gusto in tutte le sue opere, non discostandosi
mai dal suo santo volere, riconoscendo con somma gratitudine i benefici che
da Dio riceveva, mostrandosi grato, ringraziandolo continuamente, offrendogli
tutto se stesso senza alcuna riserva.

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