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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro I – (11) Capitolo XI – Giuseppe partì da Nazaret ed andò ad abitare a Gerusalemme

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Libro I – (11) Capitolo XI – Giuseppe partì da Nazaret ed andò ad abitare a Gerusalemme

Il nostro Giuseppe, alzatosi la mattina prima del giorno, e fatto un
piccolo fardello di pochi panni per suo uso, si pose in orazione supplicando
il suo Dio di volerlo assistere in quel viaggio. Disse il santo giovane: «Dio
mio, lascio la patria e, povero e mendico, vengo a Gerusalemme per adempiere
la vostra volontà divina. Quanto più mi vedo povero, tanto più sono
contento, perché così piace a Voi; e poiché nella mia patria sono stato oltraggiato
con fatti e con parole, e sono stato spogliato dei miei beni, vi supplico
di non castigarli, ma perdonate loro tutti gli affronti che mi hanno fatto,
perché io di buon cuore perdono a tutti, ed a tutti desidero ogni bene.
E se nella città ove io ora vengo ad abitare, piacerà a Voi che io sia
trattato come sono stato trattato dai miei concittadini e congiunti, sono prontissimo
a soffrire tutto per adempire la divina vostra volontà. Vi prego, perciò,
di non abbandonarmi, perché avendo Voi in mio aiuto e favore, non temerò
cosa alcuna. Vi prego pertanto di darmi ora la vostra patema benedizione:
questa mi difenda nel cammino, mi regga la vostra destra onnipotente,
perché io mi ponga tutto nelle vostre braccia paterne ed amorose».
Detto ciò si alzò dall’orazione tutto allegro, avendolo Dio assicurato
della sua benedizione. Preso il suo piccolo fardello, partì da Nazaret prima
del giorno e si pose in cammino a piedi verso Gerusalemme, senza che alcuno
lo vedesse. Il Santo andava in viaggio da solo, lodando e benedicendo il
suo Dio e recitando vari Salmi di Davide con grande allegrezza del suo spirito,
e spesso ripeteva: «Ecco, o mio Dio, che vengo ad adempiere la vostra
divina volontà ed il desiderio, che ho sempre avuto, di abitare in Gerusalemme
per poter frequentare il Tempio».
A misura che si inoltrava nel cammino, si accendeva nel suo cuore il
desiderio di arrivare presto, e qui nel Tempio, adorare il suo Dio e di nuovo a
Lui consacrarsi. Si divulgò a Nazaret la notizia che Giuseppe era partito.
Non vi fu alcuno che lo cercasse o andasse sulle sue tracce, anzi molti si rallegrarono,
perché pensavano di godersi in pace quello che gli avevano usurpato.
Così da tutti dimenticato non si fece di lui menzione alcuna nella sua
patria, pagandolo tutti con ingratitudine. Il santo giovane riseppe ciò, e ne
godette molto perché, diceva, così mi lasciano vivere in pace e stare nella
mia quiete.

Il nostro Giuseppe, arrivato che fu a Gerusalemme, andò subito al
Tempio e adorato, il suo Dio, si offrì di nuovo a lui, lo ringraziò della cura
ed assistenza che gli aveva fatto nel viaggio e lo pregò a manifestargli la sua
volontà. Qui Iddio gli parlò internamente, ordinandogli quello che doveva
fare; e poiché il Santo era stanco per il viaggio fatto, partì per andare a riposarsi.
Domandata la benedizione a Dio, tutto lieto uscì dal Tempio, e andò ad
un albergo a riposarsi e cibarsi secondo il bisogno.
Nel sonno poi gli parlò di nuovo l’Angelo, e gli confermò quello che
Dio gli aveva interiormente detto e gli ordinò che, di quel denaro che aveva
portato, ne desse due parti al Tempio; della terza parte, metà gli sarebbe servita
per sé in quei primi giorni, e l’altra metà l’avrebbe dispensata ai poveri.
E così fece.
La mattina si alzò per tempo, e fatte le sue solite orazioni, se ne andò
al Tempio, e diede il denaro in elemosina al Tempio con grande allegrezza, e
si pose a pregare lodando e ringraziando il suo Dio del beneficio che gli aveva
fatto nel manifestargli la sua volontà, offrendosi di nuovo pronto ad ubbidire
ad ogni minimo cenno che dall’Angelo gli fosse manifestato. Trattenutosi
alquanto in orazione, si partì dal Tempio, ed incominciò a fare
dell’elemosina ai poveri, ed in breve tempo dispensò tutto quello che doveva
secondo l’ordine avuto.
Si mise a cercare uno che lo provvedesse del vitto necessario e che
facesse l’arte di falegname perché glielo insegnasse. Non stentò molto a ritrovarlo,
disponendo Dio che il suo servo trovasse subito modo da effettuare
l’ordine avuto. Era una persona timorata. Si accordò con lui circa la paga
sufficiente, e il nostro Giuseppe si pose ad imparare l’arte, che gli riuscì molto
facile: non sentiva la fatica, perché l’amore con cui adempiva la divina
volontà gli faceva sembrare tutto facile e gustoso. Quantunque si applicasse
ad imparare l’arte, non tralasciò mai i suoi soliti esercizi di orazione e la recita
dei Salmi.
Il santo giovane stava con grande umiltà e sottomissione, soggetto in
tutto e per tutto al padrone, gli obbediva con grande puntualità ed esattezza;
così per le sue rare virtù era molto amato da lui. Il nostro Giuseppe lo mirava
ed ossequiava come suo maggiore, né mai parlò della sua nascita, delle sue
ricchezze, né di altra cosa. La sua lingua non proferiva altre parole che quelle
che erano necessarie, tutto attento ad imparare l’arte, non distraendosi
mai. Quando voleva andare al Tempio, ne domandava licenza al padrone, e
se quello gliela dava, vi andava, se no ubbidiva prontamente, privandosi di
quella pia soddisfazione.
Qui il nostro Giuseppe mostrò le sue eroiche virtù perché ne ebbe
molte occasioni.
Era spesso motteggiato dalle persone oziose e vagabonde, che insinuavano
che stava ad imparare l’arte perché fino ad allora aveva fatto il vagabondo,
e lo schernivano. Il santo Giovane chinava la testa e non rispondeva
parola alcuna. E quando vi si trovava presente il padrone, che li riprendeva
e scacciava dalla bottega, allora Giuseppe lo pregava di lasciarli stare,
perché a lui non davano né fastidio né pena.
Fu singolare poi la modestia di Giuseppe, non alzando mai gli occhi
per guardare cose nuove e curiose; stava a Gerusalemme, e non sapeva ciò
che ci fosse di curioso nella città, né cosa si facesse. Altra strada non fece
che quella dalla bottega al Tempio e dal Tempio alla bottega, e nella bottega
vi stava non come giovane apprendista, ma come un fattorino, servendo in
tutto e per tutto il padrone negli uffici più bassi.
Il suo padrone si accorse che il santo giovane faceva delle elemosine
ai poveri, perciò un giorno gli parlò esortandolo a tener da conto, perché anche
lui era povero e aveva bisogno; ma il Santo gli rispose: «Lasciate che
faccia l’elemosina ai poveri, perché per me c’è Dio che ci penserà e provvederà
ai miei bisogni»; il padrone ne restò molto edificato.
Il nostro Giuseppe sentiva un gusto inesplicabile nell’esercitare
l’arte e nello stare sottomesso, godendo di essere povero, e abbietto agli occhi
degli uomini. Di questo ne godeva perché l’Angelo gli diceva che queste
virtù erano care a Dio, e che chi le praticava era da Dio molto amato. Questo
bastò perché il nostro Giuseppe se ne invaghisse sempre più e con tutto
l’impegno le praticasse.
Il nostro Giuseppe aveva allora l’età di vent’anni, ed era cresciuto
molto nelle virtù e nell’amore verso il suo Dio. La sua mente non si allontanava
mai da Dio, unico oggetto del suo amore; spesso, mentre lavorava, restava
estatico per la contemplazione delle divine perfezioni, delle quali ebbe
una grande intelligenza.
Erano frequenti i suoi digiuni e le sue veglie, e spesso passava le
notti in orazione, assorto in Dio. Continuò ad usare la solita carità verso i
moribondi, e perché non poteva andare ad assisterli di persona, lo faceva con
le continue orazioni raccomandandoli caldamente a Dio.
Passò qualche anno in questo tenore di vita. Il nostro Giuseppe aveva
già imparato l’arte. Aspettava che l’Angelo gli manifestasse la divina volontà,
se dovesse ritirarsi a stare da solo, oppure seguitare a stare nella bottega
del padrone, quando questi si ammalò e, aggravato da infermità mortale,
terminò la sua vita felicemente.
Il nostro Giuseppe lo assistette con grande carità ed amore, come se
fosse stato il suo proprio padre; fece molte suppliche a Dio per la sua salute
eterna, e Dio esaudì le sue ferventi preghiere.
Restato libero, Giuseppe se ne andò al Tempio a pregare e supplicare
il suo Dio perché gli manifestasse la sua volontà e in che modo volesse essere
da lui servito. Ebbe grande luce in questa orazione e fu molto confortato
con interna consolazione.

La notte seguente gli parlò l’Angelo nel sonno, e gli manifestò quello
che doveva fare per adempiere la divina volontà; cioè che si fosse ritirato
a vivere solo e che, comprato quello che era necessario per esercitare l’arte
sua, avesse continuato a vivere in povertà. Giuseppe così fece, e restò molto
consolato per l’avviso datogli dall’Angelo; e subito svegliato si alzò e si prostrò
in terra a lodare e ringraziare Dio dell’avviso datogli.

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Libro I – (11) Capitolo XI – Giuseppe partì da Nazaret ed andò ad abitare a Gerusalemme