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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro I – (8) Capitolo VIII – Affetto e compassione particolare di Giuseppe per i moribondi; E COME PROCURAVA DI TROVARSI AD ASSISTERLI ALL’ULTIMA LORO AGONIA

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Libro I – (8) Capitolo VIII – Affetto e compassione particolare di Giuseppe per i moribondi; E COME PROCURAVA DI TROVARSI AD ASSISTERLI ALL’ULTIMA LORO AGONIA

Oltre i molti doni che Dio si compiacque di dare al nostro Giuseppe,
uno fu singolare: l’amore ai poveri moribondi. Era tanta la compassione che
egli aveva verso i morenti che non aveva quiete quando sapeva che alcuno si
ritrovava in tale stato, perché ben capiva il Santo, quanto grandi siano i pericoli
che s’incontrano alla fine della vita, e come i demoni fanno ogni sforzo
per guadagnare i morenti e condurli all’eterne pene. Fu anche avvisato nel
sonno dal suo Angelo, che gli manifestò il grande pericolo in cui si trovano i
moribondi, e la necessità che hanno di essere aiutati in quell’ultimo conflitto.
Mentre l’Angelo gli manifestava ciò, Dio istillò nel suo cuore una
grande compassione e carità verso i moribondi.
Ciò fece con somma provvidenza perché Dio, avendolo destinato ad
essere avvocato dei moribondi, volle che anche in vita si esercitasse in
quest’opera di tanta carità.
Gli diede un grande amore e compassione verso gli agonizzanti, facendogli
intendere i bisogni grandi che costoro hanno in quegli ultimi momenti,
dai quali dipende un’eternità, o di beatitudine, o di infelicità e miseria.
Perciò, acceso il nostro Giuseppe di un vivo desiderio di giovare ai moribondi,
si preoccupava molto quando sapeva che qualcheduno si trovava in
agonia; e stava ore intere genuflesso a supplicare il suo Dio per il felice passaggio
di quell’anima, finché fosse andata a riposarsi nel seno di Abramo.
Non vi era per lui né cibo, né sonno quando sapeva di qualche moribondo,
ma si poneva a supplicare Dio per i bisogni di costui; e quando aveva
la fortuna di trovarsi presente, non lo lasciava finché non avesse terminata la
vita. Lo animava a confidare nella divina misericordia ed a superare gli assalti
dei nemici infernali. I moribondi sentivano grande conforto per
l’assistenza del Santo, e i demoni restavano molto abbattuti di forze per le
sue orazioni. Dio gli usò la seguente grazia: tutti quelli alla cui morte il Santo
si trovò presente, non perirono, ma andarono parte al Limbo e parte in
Purgatorio. Il Santo lo sapeva con grande chiarezza e di ciò molto si consolava
e ne rendeva grazie a Dio.
Si infuriò molto il demonio per quest’ufficio di carità grande che il
Santo praticava. Una notte, che aveva perduto un’anima per l’assistenza del
Santo, gli apparve in modo spaventoso e di orribile aspetto e lo minacciò di
volerlo precipitare [nell’infemo], se non desisteva da un tale ufficio. Si intimorì
il Santo, nel vedere queU’orribile mostro e fece ricorso a Dio doman dandogli il suo aiuto;
così disparve il dragone infernale e, restando il nostro
Giuseppe in orazione, intese la voce del suo Dio che l’animava a non temere,
ma a continuare a fare la carità ai moribondi: egli ne aveva un grande compiacimento.
Animato dalla voce interna, il Santo, tutto consolato, si infiammò
molto più di carità verso i moribondi, e continuava con le sue ferventi
orazioni ad aiutarli.
Si stimavano felici quelli che lo potevano avere presente alla loro
morte. Il moribondo era felice, non solo perché era liberato dagli assalti furiosi
dei nemici infernali, ma perché la sua anima andava in luogo di salvezza
per le orazioni del Santo. Per questa carità che esercitava, il nostro Giuseppe
ebbe molti travagli e persecuzioni da gente malvagia e istigata dal demonio,
ma egli non desistette mai dal fare questo ufficio tanto grato a Dio e
tanto utile al prossimo. Spesso il suo Angelo gli parlava per animarlo.
Una volta, essendo il santo giovanetto molto afflitto per le persecuzioni,
l’Angelo gli parlò nel sonno e gli disse da parte di Dio che stesse di
buon animo e che continuasse a fare quell’opera di tanta carità, perché Lui
gli prometteva di fargli una grazia grande e specialissima alla sua morte.
Non gli manifestò che grazia fosse, ma fu ben grande, perché ebbe la sorte di
morire tra Gesù e Maria, e con la loro amorosa assistenza.
Giuseppe, animato dall’avviso dell’Angelo, continuò l’opera di carità,
né mai desistette per quanto gli si ponessero ostacoli o per un motivo o
per l’altro. Infatti il demonio si affaticava molto per dissuaderlo, ma non gli
riuscì mai, essendo il santo giovane animato e fortificato dalla divina grazia,
e poiché si trattava di fare cosa gradita al suo Dio, vi si impegnava, e non vi
era chi lo potesse distogliere dall’opera intrapresa per gloria di Dio e profitto
del suo prossimo.
A volte era avvisato dal suo Angelo della necessità che aveva qualche
moribondo delle sue orazioni; il Santo si svegliava e si poneva subito in
orazione, pregando Dio perché si degnasse di assistere con la sua grazia quel
povero agonizzante, e non cessava dall’orazione sin tanto che Dio non lo assicurava
del suo aiuto.
Molte volte gli era anche manifestato dall’Angelo che era molto
grande il numero di quelli che perivano eternamente. Il santo giovane si rattristava
tanto che tutto quel giorno lo trascorreva in amarissimo pianto e si
addolorava di non potersi ritrovare presente alla morte di ciascuno, per poter
aiutare tutti a ben morire. Rivolto al suo Dio con caldi sospiri, lo pregava di
mandare presto il Messia promesso, perché liberasse le anime dalla dura
schiavitù di Lucifero e le riscattasse col mezzo della Redenzione.
Quando stava così afflitto e piangente, i suoi genitori cercavano di
conoscere la causa del suo pianto, Giuseppe rispondeva con tutta franchezza
e con grande umiltà: «Piango la perdita irreparabile di tante anime che il nostro
Dio ha create per condurle all’eterno riposo ma esse, per la loro colpa, si
perdono. Grande dominio ha il demonio sopra il genere umano, perciò preghiamo
che si degni di mandare presto il Messia, perché gli tolga il dominio
e la forza, e le anime restino libere dalla tirannia di così feroce dragone».
Ciò diceva con grande sentimento e compassione in modo tale che
anche i suoi genitori piangevano in sua compagnia, e si applicavano a pregare
Dio perché si degnasse di mandare presto il Messia promesso.
Molte volte impetrò da Dio la salvezza dei peccatori ostinati, i quali
stavano in procinto di perdersi, ed il Santo si poneva in orazione supplicando
Dio di restituire loro la salute affinché si ravvedessero dai loro errori e si
salvassero. Per ottenere questa grazia impiegava giorni interi nell’orazione,
accompagnandovi anche il digiuno; rare volte capitava che il Santo non ottenesse
la grazia che domandava; tutto quello che faceva era ascosto agli occhi
degli uomini e manifesto solo al suo Dio.
Quanto poi fossero gradite a Dio le orazioni del nostro Giuseppe, e
la carità che esercitava verso i moribondi, egli stesso ne era testimone, perché
Dio non tralasciava di esaudirlo e molto spesso lo consolava con le divine
consolazioni. Faceva godere al suo spirito ben spesso la soavità e la dolcezza
Sua in modo tale che alle volte ne restava tutto assorto, e diceva col
santo Re David: Defecit caro mea et cor meum, Deus cordis mei et pars mea
in aeternum. E ripieno della divina consolazione stava per giorni interi senza
cibarsi, sentendo una sazietà mirabile, e tutto ripieno dello spirito di Dio,
non sapeva né parlare né pensare ad altro che al suo Dio, l’amore del quale
tutto lo riempiva ed occupava.

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Libro I – (8) Capitolo VIII – Affetto e compassione particolare di Giuseppe per i moribondi; E COME PROCURAVA DI TROVARSI AD ASSISTERLI ALL’ULTIMA LORO AGONIA