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Libro I – (7) Capitolo VII – Come Giuseppe fu molto travagliato per opera del demonio e LA SOFFERENZA CHE PATÌ IN TUTTI QUEI TRAVAGLI E IN QUELLE PERSECUZIONI

Il comune nemico fremeva di rabbia nel vedere le virtù mirabili che
risplendevano nel nostro Giuseppe e che con il suo esempio egli spronava
molti alla pratica delle virtù. Per questo, acceso di furore contro il santo giovanetto,
non sapendo come fare per farlo cadere in atti di sdegno e
d’impazienza, e per dissuaderlo dal suo fervore nel servizio e nell’amore del
suo Dio, si pose ad istigare alcuni di mala vita e mise nel loro cuore una
grande avversione ed odio verso il Santo, perché le sue azioni virtuose erano
ad essi di grande rimprovero e confusione. Si accordarono insieme che,
quando si fossero incontrati con lui, lo avrebbero motteggiato e schernito, e
gli avrebbero dette anche parole ingiuriose, come infatti fecero. Si incontrò il
nostro Giuseppe con questi giovani licenziosi, che a bella posta lo cercavano:
quelli incominciarono a motteggiarlo e schernirlo. Il Santo chinò la testa
e, rivolto il cuore a Dio, incominciò a supplicarlo, perché a lui desse la grazia
di soffrire30 ed a quelli luce per conoscere i loro errori.
Quelli, vedendo che Giuseppe non faceva conto alcuno dei loro
schemi, si posero a maltrattarlo con parole, chiamandolo sciocco, senza spirito,
vile e pauroso, e che neppure sapeva parlare. Giuseppe continuava il suo
cammino con tranquillità, e quelli lo seguivano con grande baldanza, dicendogli
sempre dei motti pungenti ed offensivi. Trovandosi il santo giovanetto
in perplessità, se doveva loro rispondere perché si quietassero, oppure tacere
e soffrire tutto con pazienza, intese suggerirsi internamente che soffrisse e
tacesse perché così avrebbe dato molto piacere al suo Dio.
Questo bastò perché si risolvesse a soffrire anche con allegrezza
quella persecuzione, senza mai parlare; tanto che quei giovani restarono confusi,
ed il demonio abbattuto. Non si quietarono perciò i cattivi giovani, ma
continuarono per molto tempo a maltrattarlo, finché alla fine, stanchi di offenderlo,
lo lasciarono. Durò però molto tempo questa persecuzione, al punto
che, quando Giuseppe usciva di casa per qualche affare che il suo genitore
gli ordinava, era sempre preparato a soffrire il cattivo incontro.
Di ciò il Santo mai si lamentò con nessuno, nemmeno con i suoi genitori,
stando sempre con volto sereno e gioviale.
Fu però avvisato il suo genitore della persecuzione che il figliuolo
soffriva, e cercò [di appurare] se ciò era vero, volendovi rispondere con la
doverosa difesa. Giuseppe gli rispose con tutta serenità che egli piuttosto godeva
in quelle cose e che lo pregava di tacere, perché era sicuro che, soffrendo
ciò con pazienza, dava gusto al suo Dio.
Poi soggiunse: «Voi sapete, padre mio, come hanno sofferto volentieri
ingiurie i nostri Patriarchi e Profeti; come il Re David soffrì di essere
perseguitato ed ingiuriato, e noi sappiamo che questi erano gli amici e i favoriti
del nostro Dio: dunque dobbiamo imitarli, poiché Dio ce ne manda
l’occasione». Di questo ne restava il suo genitore molto edificato, e compiaceva
il figliuolo, lasciandogli soffrire i travagli senza fame risentimento alcuno.
Il demonio vedendo, che non solo non poteva acquistare cosa alcuna
dal santo giovanetto, ma ne restava sempre confuso e svergognato, tentò altre
vie per turbargli la pace del cuore e farlo cadere nell’impazienza. Istigò
una donna, che per la sua poco buona vita vedeva mal volentieri il Santo, e
andava spesso dalla madre di Giuseppe a dire male del figliuolo: [le ripeteva]
che era da tutti biasimato e deriso, che non era buono a nulla, che col
tempo avrebbe consumato tutto il suoi beni, essendo molto facile a dare
l’elemosina a chi gliela domandava, e che molti poveri accortosi di ciò, lo
seguivano quando usciva di casa.
Quantunque la madre del Santo fosse molto saggia e prudente e ben
conosceva il suo figliuolo, tuttavia per il continuo dire della donna, e per divina
permissione, si turbò e molte volte fece degli aspri rimproveri al figliuolo,
il quale li soffriva con grande pazienza senza scusarsi; e sebbene sapesse
da dove il tutto venisse, non provò mai alcun risentimento.
Solo una volta disse alla madre, con tutta sottomissione, che si informasse
bene di quello che le era stato riferito, perché avrebbe trovato che
non corrispondevano a verità, ma che tutte [quelle notizie] erano opera del
comune nemico, per inquietarla e turbare la loro pace. La madre aderì alle
parole del figlio, ed avvedutasi della frode del nemico, scacciò dalla sua casa
quella donna che in vari modi tentava introdurvi la guerra.
Il demonio, vedendosi confuso, non desistette dall’impresa, ma trovò
un altro stratagemma per inquietare e turbare il Santo. Dio permettendolo,
incominciò a tentarlo di vanagloria, con varie suggestioni riguardo alla vita
che conduceva, del tutto irreprensibile sia agli occhi di Dio che a quelli degli
uomini. Inorridiva il Santo a queste suggestioni e si raccomandava a Dio,
umiliandosi molto al suo cospetto, chiamandosi creatura miserabile e peccatore.
Il nemico mosse alcuni a lodarlo e a magnificare le sue virtù; di questo,
il nostro Giuseppe sentiva una grande confusione, diceva spesso: «Io sono
una creatura miserabile: lodiamo il nostro Dio, perché Egli è degno di lode.
Egli è perfettissimo in tutte le opere sue divine. Egli solo è degno di essere
lodato ed esaltato»
In tutti i modi fu tentato dal nemico; solo contro la purezza non gli
fu mai permesso di poterlo fare, e di ciò ne fremeva il demonio, e non mancava
di cercare dei modi perché il Santo avesse almeno inteso qualche parola
contro questa virtù; ma poiché il Santo aveva una grande innocenza e semplicità,
quella non fu mai da lui né capita, né appresa.
Trovandosi il santo Giovanetto in questi conflitti di tentazioni e suggestioni,
si raccomandava al suo Dio con ferventi orazioni; e una volta fu
ammonito nel sonno dall’Angelo, perché accompagnasse all’orazione anche
il digiuno; e ciò [Giuseppe] fece con grande rigore, spesso digiunando ed affliggendo
la carne, che mai trovò ribelle allo spirito. Con questo atteggiamento
fracassava la testa al nemico infernale, ed egli restava sempre vittorioso.
Il nemico, sebbene per breve tempo, desisteva di tentarlo; non lasciò
però, di quanto in quando, di tentarlo con le sue frodi. La vita ritirata e solitaria
che il Santo conduceva era molto biasimata da alcuni, e molte volte andavano
a casa sua alcuni giovani suoi coetanei per condurlo a divertirsi, ma
il nostro Giuseppe sempre si scusava con belle maniere, dicendo che il suo
divertimento era di studiare e leggere la Sacra Scrittura e la vita dei Patriarchi
e Profeti, per poterli imitare nelle loro virtù, poiché questi erano stati
graditi al suo Dio e da Lui molto amati e favoriti; ed esortava anche loro a
fare lo stesso. Non mancò chi ascoltasse le sue parole e procurasse di imitarlo,
perché Giuseppe lo diceva con così tanta grazia che le sue parole penetravano
i loro cuori.
Dopo avere dato questi salutari consigli e buone esortazioni, si ritirava
a pregare Dio, perché quelli non mancassero di fare ciò che lui aveva
loro detto. Pregava instancabilmente Dio di dare loro il suo aiuto particolare
e la grazia di poterlo fare. Dio non mancò di esaudire le sue preghiere, e
quando il santo giovanetto sentiva dire che coloro per i quali pregava mettevano
in pratica i suoi consigli, si rallegrava molto, e ne rendeva affettuose
grazie al suo Dio.
Non mancò però chi lo biasimò e prese i suoi consigli in malo modo.
Giuseppe di ciò si doleva incolpando se stesso, e [pensava] che ciò avveniva
perché egli era peccatore, e non meritava che altri approfittassero delle sue
esortazioni. In questi casi si ritirava a piangere e a pregare il suo Dio, affinché
usasse misericordia verso chi si faceva beffe dei suoi consigli, e non
guardasse ai suoi demeriti, ma al merito grande che Egli aveva di essere lodato
e servito fedelmente. Lo pregava di illuminarli e di fare loro conoscere
le verità da Lui manifestate.
Di ciò molto si compiaceva Dio e non lasciava che andassero a vuoto
le sue suppliche, mentre essi si ravvedevano e tornavano dal nostro Giuseppe
per ascoltare di nuovo le sue esortazioni, che poi eseguivano fedelmente;
e Giuseppe ne rendeva affettuose grazie al suo Dio.