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La Vita di San Giuseppe della Serva di Dio Cecilia Baij O.S.B. (versione audio e testo) - audiolibro mp3 online

Libro I – (5) Capitolo V – Giuseppe comincia a parlare e camminare; come si comportò durante tutto il tempo della sua infanzia

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Libro I – (5) Capitolo V – Giuseppe comincia a parlare e camminare; come si comportò durante tutto il tempo della sua infanzia

Il nostro Giuseppe cominciò molto presto a parlare e camminare; le
prime parole che proferì furono il nome del suo Dio, come era stato ammonito
dall’Angelo nel sonno. La mattina che parlò, appena svegliato, disse:
«Mio Dio!» Fu inteso dai suoi genitori che, stupiti ed attoniti, si riempirono
di giubilo, godendo che il loro figliuolo incominciasse a parlare, e molto più
perché le sue prime parole fossero dirette a Dio, invocandolo in suo aiuto e
chiamandolo suo Dio.
Questa parola la pronunciava spesso il nostro Giuseppe, e con ragione,
perché essendosi donato tutto a Dio, questi era tutto suo. Quando sentiva
dire dai suoi genitori che Dio si era chiamato il Dio di Abramo, d’Isacco e di
Giacobbe, egli soggiungeva: «E di Giuseppe»; e lo diceva con tanta grazia,
a quell’età così tenera, che i suoi genitori ne godevano molto, e per sentire
queste parole, spesso gliele ripetevano.
Era tanto il sentimento con cui il fanciullo le diceva che sembrava,
come infatti era, che Dio fosse tutto il suo bene e lo scopo di tutti i suoi affetti
e desideri, e che altro pensiero ed amore non avesse che per il suo Dio.
Perciò si vedeva esultare e giubilare quando lo sentiva nominare; ed i suoi
genitori spesso glielo nominavano con grande affetto e riverenza, per apportare
al loro figliuolo questa consolazione.
I primi passi che fece il nostro Giuseppe, furono dal medesimo offerti
a Dio, per supplicarlo della grazia che in tutti i suoi passi Dio restasse glorificato
e mai offeso. Così fece anche delle sue parole, come era stato ammaestrato
dall’Angelo. Dio udì le sue suppliche e l’esaudì, affinché nelle sue
parole come nei suoi passi ed in tutte le sue opere, Dio fosse sempre glorificato
e mai offeso o disgustato. In tutte le sue azioni, [Giuseppe] coltivò il
nobile esercizio di mirare sempre il cielo ed invocare il suo Dio, supplicarlo
del suo aiuto e della sua santa grazia per quell’azione che faceva, perché fosse
secondo il suo divino beneplacito; sia il cibarsi che il riposare, sia il parlare
che il camminare. Sebbene in quella tenera età non gli era permesso di fare
quelle azioni virtuose che lui bramava, offriva a Dio il suo desiderio e
quelle azioni indifferenti che sono comuni a tutti per conservare là vita, come
il mangiare, il bere, il dormire, il ricrearsi. Il nostro Giuseppe impreziosiva
tutte queste azioni con la retta intenzione, facendo tutto per amore del
suo Dio. Per amore del medesimo, si privava spesso di ciò che più gli piaceva,
come era ammaestrato dal suo Angelo, perché in quella tenera età non
poteva fare altro per il suo Dio che tanto amava. Spesso si offriva in dono a
lui, rinnovando quegli atti che già fece quando fu presentato al Tempio.
Vedendo poi la sua genitrice come il figliuolo avesse molta capacità,
lo istruiva insegnandogli vari atti di affetto verso Dio, secondo l’uso degli
Ebrei. Il nostro Giuseppe mostrava molta gioia nel sentirli e li praticava mirabilmente,
con ammirazione della madre e di chi lo udiva.
Quando camminava speditamente, spesso si nascondeva a pregare
con le mani sollevate al cielo, facendo atti di ringraziamento a Dio, perché lo
beneficava, e stava ore intere inginocchiato in terra. Era grande meraviglia
vedere quel piccolo fanciullo in tale posizione, ma più meraviglioso era vedere
come il suo spirito si deliziava nella contemplazione delle perfezioni
divine. Tutto ciò si conosceva anche dall’esterno, perché il suo volto appariva
gioioso e dimostrava, con gli occhi sfavillanti, che si deliziava col Creatore,
e che la grazia ricolmava l’anima sua.
La madre lo sentiva spesso che con destrezza si poneva in luogo dove
ella non lo poteva vedere. Esclamava: «Dio di bontà infinita, quanto mi
avete beneficato! Perciò quanto vi debbo!» Tutto ciò diceva ancora con lingua
incerta, ma con un cuore infiammato d’amore verso il suo Dio.
La madre, che ciò udiva, anch’ella accompagnava il figlio con atti di
amore e di ringraziamento e piangeva di tenerezza nel vedere il suo figliuolo
tanto favorito da Dio e arricchito di tanti doni.
Gli fu manifestato dai suoi genitori che Dio aveva promesso di mandare
il Messia nel mondo: lo si stava aspettando con desiderio, visto che
già gli antichi Patriarchi tanto lo bramavano. Ciò gli fu manifestato anche
dall’Angelo nel sonno. Così il nostro Giuseppe si accese di un vivo e ardente
desiderio di questa venuta e ne porgeva calde suppliche a Dio, perché si degnasse
di accelerarne il tempo. Da questo momento tutte le sue preghiere
erano orientate a questo fine. Dio udiva con gusto le suppliche
dell’innocente Giuseppe e di esse molto si compiaceva, e gliene dava una
chiara testimonianza, perché quando Giuseppe gli porgeva queste suppliche,
Dio gli riempiva il cuore di giubilo e di consolazione.
Così il nostro Giuseppe sempre più si animava nel fare la richiesta, e
avanzava nell’amore verso il suo Dio e nelle suppliche premurose.
Quando succedeva in casa qualche cosa, per la quale Dio poteva esserne
disgustato – ciò succedeva fra quelli di servizio per la loro fragilità -,
allora sì che il nostro Giuseppe si faceva vedere afflitto e mesto, e amaramente
piangeva; poiché in quella tenera età non poteva riprendere, dimostrava
col pianto quanto fosse grande il suo dolore. La madre, che avvertì ciò, gli
domandò un giorno perché piangesse tanto e si affliggesse, ed egli rispose
con grande sentimento: «Voi più volte mi avete detto quello che devo fare
per piacere a Dio, e quello che si deve fuggire per non disgustarlo. Ora, vedendo
che nella nostra casa Lo si disgusta, non volete che io mi affligga e
pianga?»
Ciò disse alla madre, perché da lei era stato più volte istruito come
fuggire le divine offese, anche se ella non arrivava a comprendere i doni che
Dio aveva partecipato a suo figlio, quali erano l’uso di ragione e la chiara
cognizione delle divine offese; per questi doni egli molto si affliggeva, capendo
come Iddio meritava di essere amato, onorato e non offeso, e che le
colpe molto disgustavano il suo Dio, che egli tanto amava.
Inteso ciò, la madre procurava di stare molto vigilante, perché Dio
non fosse offeso da nessuno della sua casa, e riprendeva aspramente i trasgressori.
Così il nostro Giuseppe, con questo suo atteggiamento, fu
l’occasione per cui la casa dei suoi genitori si poté chiamare una scuola di
virtù, vivendo tutti in essa con un’esatta osservanza della divina legge.
La madre era molto accorta e prudente nel tener nascosto quanto il
figliuolo le diceva, e quanto in lui scorgeva di doni e di grazie soprannaturali;
né si scordò mai di quanto le disse l’Angelo del Signore in sogno, cioè
che il suo figlio avrebbe veduto il Messia e avrebbe conversato con lui. La
madre perciò non faceva grande meraviglia nel vedere suo figlio tanto favorito
da Dio, e si impegnava nel lodare e ringraziare la liberalità di Dio tanto
grande verso il suo Giuseppe. Alle volte lo guardava con grande tenerezza e
affetto, piangendo di consolazione nel sentire e pensare che il suo figliuolo
avrebbe avuto la bella sorte che non avevano avuto tanti Patriarchi e Profeti,
nel vedere la venuta nel mondo del promesso Messia. Spesso diceva a suo
figlio, invidiando santamente la sua felice sorte: «Figlio mio, beato te!».

Il nostro Giuseppe una volta le domandò perché gli dicesse ciò. La
saggia madre gli rispose: «Così ti dico, perché conosco che il nostro Dio ti
ama molto», celandogli il mistero. Giuseppe nel sentire queste parole, alzava
le mani al cielo esclamando: «Sì, mi ama il mio Dio!». E si infiammava tutto
nel volto, esultando per la gioia e piangendo di dolcezza.
Poi soggiungeva: «Io l’amo? Poco l’amo, ma lo voglio amare molto
più di quello che l’amo [ora]; e nel crescere che farò negli anni e nelle forze,
crescerò anche nell’amore del mio Dio». E così fu, perché a misura che cresceva
nell’età, cresceva anche nell’amore.
I genitori vedevano che il figliuolo era tanto capace di intendere e
incominciarono ad istruirlo nelle lettere. Fece lo stesso suo padre, perché era
molto dotto nella Legge, e non volle consegnare ad altri il figliuolo perché
fosse istruito, poiché col frequentare altri il suo figliuolo non venisse a perdere
quello spirito che Dio gli aveva comunicato. Così il nostro Giuseppe
incominciò a imparare a leggere e gli riusciva mirabilmente, in modo che il
suo genitore non ebbe mai occasione di riprenderlo.
Aveva appena tre anni quando già incominciava a leggere, con molta
consolazione dei suoi genitori e suo profitto. Si esercitava nella lettura della
Sacra Scrittura e nei Salmi di David, che poi il padre gli spiegava. Era molta
la consolazione che sperimentava il nostro Giuseppe nel leggere e sentire
spiegare dal padre quello che leggeva. In questo esercizio vi pose tutto il suo
studio, non tralasciando però mai i soliti esercizi di orazioni e preghiere a
Dio. Tutto il suo tempo lo spendeva in questo esercizio: pregare, studiare e
leggere, avendo per tutto il suo tempo assegnato.
II nostro Giuseppe non fu veduto mai, quantunque fanciullo, né adirato,
né impaziente, ma conservava sempre serenità di volto ed una somma
quiete, sebbene molte volte Dio permettesse che ne avesse l’occasione, perché
maltrattato da quelli di casa in assenza dei suoi genitori; egli tutto soffriva
con pazienza ed allegrezza. Il demonio si ingegnava spesso e istigava
quelli di servizio di casa, perché lo maltrattassero, e ciò per vederlo perdere
la virtù della pazienza. Ma ciò non riuscì loro mai, perché il nostro Giuseppe
stava tanto immerso nel pensiero dell’amore per il suo Dio e tanto godeva
della sua presenza nella sua anima, che non vi era cosa, per grande che fosse,
che gli turbasse la pace del cuore e la serenità dello spirito. Fremeva il demonio
nel vedere tanta virtù in Giuseppe, e molto più perché non poteva avvicinarsi
a lui con tentazioni, perché Dio lo teneva lontano. Un giorno tanto
fece che lo precipitò per una scala della casa, permettendolo Dio per esercitare
la virtù del nostro Giuseppe, e per maggior confusione del nemico infernale.
Il fanciullo, vedendosi così precipitato, chiamò Dio in suo aiuto, e Dio
non tardò a soccorrerlo liberandolo da ogni male. Da questo fatto Giuseppe
ebbe occasione di riconoscere la grazia del suo Dio e ringraziarlo, così il
demonio si partì confuso.

Il nostro Giuseppe non fu mai veduto, quantunque in quella tenera
età, fare cose fanciullesche, né mai si curò di trattare con altri fanciulli suoi
coetanei, stando sempre ritirato in casa, e applicato allo studio, all’orazione,
e non perdendo mai il suo tempo. Prestava una esatta obbedienza ai suoi genitori
non tralasciando mai di fare tutto quello che da essi gli era ordinato.
Tutto il suo divertimento era nel trattenersi spesso a guardare il cielo, perché
sapeva che qui abitava il suo Dio e gli inviava caldi sospiri suppliche, perché
mandasse presto nel mondo il Messia promesso.
Giuseppe portava un grande affetto ai patriarchi Abramo, Isacco e
Giacobbe, ed al profeta Davide, e spesso supplicava il suo genitore di narrargli
la vita che costoro avevano condotto, col desiderio di imitarli; perché
sapeva che erano stati tanto amati e favoriti dal suo Dio.
Il padre lo compiaceva e gli narrava la vita, ora di uno, ora dell’altro.
Il nostro Giuseppe lo ascoltava con molta attenzione e poi diceva: «Questi
sono stati amici e favoriti dal nostro Dio, e questi dobbiamo imitare nelle loro
virtù». Sentendo come il Padre Abramo aveva camminato sempre alla
presenza di Dio, e come il medesimo gli aveva ordinato se voleva essere perfetto,
procurò di imitarlo perfettamente. Il nostro Giuseppe era giunto appena
all’età di sette anni e già era capace di tutte le virtù che questi Patriarchi
avevano esercitato e, per quanto lo permettevano le sue forze, si applicava ad
imitarli nella fede e nella confidenza nell’amore verso il suo Dio. Così cresceva
il nostro Giuseppe nelle virtù e sempre più si rendeva grato a Dio.
Sentendo come il santo Davide sette volte al giorno lodava il suo
Dio in modo speciale, anch’egli lo volle praticare, e per questo supplicò il
suo Angelo di svegliarlo per tempo, perché potesse anche nelle ore notturne,
lodare il suo Creatore. Già sapeva varie cose a memoria a lode del Suo Dio,
e queste le ripeteva spesso, sia di giorno che di notte, con molto gusto del
suo spirito.
Dio non mancava di illuminarlo sempre più e accresceva in lui i suoi
doni. Giuseppe era così acceso di amore verso il suo Dio, nel tempo che lo
lodava, che molte volte, sebbene fosse di notte, apriva la finestra della sua
stanza e si poneva a guardare il Cielo e dava adito al suo cuore, pieno di
amore e diceva: «Beato colui che avrà la sorte di vedere coi propri occhi il
Messia promesso! Beato chi avrà la fortuna di servirlo e di trattare con lui!
Che sorte sarà la sua!» Ciò diceva con tanto ardore che restava estatico per
molto tempo, acceso da un vivo desiderio di poterlo servire e prestargli tutto
l’onore e la sottomissione.
Ardeva nel petto di Giuseppe un grande amore verso il prossimo e
bramava di giovare a tutti, perciò diceva spesso ai suoi genitori di fare elemosine
ai poveri bisognosi e di non mettere da parte beni per lui, perché si
contentava di essere povero, purché gli altri non avessero da patire. I suoi
genitori non mancavano di assecondare il suo desiderio, facendo larghe elemosine
ai poveri, essendo anch’essi inclini ad usare grande carità verso i bisognosi.
Il nostro Giuseppe era giunto all’età di sette anni in questo tenore di
vita che abbiamo detto, e aveva conservato sempre un illibato candore ed innocenza,
in modo tale che non solo non diede mai un minimo disgusto a suoi
genitori, ma non fece mai azione alcuna che non fosse gradita e di compiacimento
al suo Dio.
Quanto più cresceva negli anni, tanto più si rendeva gradito a Dio,
operando sempre con maggior perfezione. Oltre l’amore che egli nutriva [da
se stesso] per la purità, avendoglielo Dio infuso in modo mirabile, questa gli
fu molto raccomandata dal suo Angelo, che una volta in sogno gli fece un
grande elogio di questa virtù, soggiungendogli che era molto cara al suo Dio.
Il nostro Giuseppe se ne invaghì [allora] molto di più e propose di
conservarla per tutta la sua vita; e perché ciò potesse realizzare, ne face suppliche
al suo Dio, perché gli avesse data la grazia.
Propose anche di fuggire tutte le occasioni pericolose, perché non
avesse mai a patire alcun detrimento il suo ammirabile candore. Infatti
l’eseguì con tutto lo studio immaginabile, custodendo tutti i suoi sensi con
grande rigore, e in particolare gli occhi, che teneva per più fìssi in terra o rivolti
al cielo.
Ben si vedeva dal suo aspetto quanto grande fosse la purezza della
sua anima e del suo corpo, al punto che sembrava un Angelo vestito di carne
mortale. La madre più volte osservò gli splendori del volto, così anche il suo
genitore. Da questo ben conoscevano quanto grande fosse la purezza e
l’innocenza del loro figliuolo e come Iddio si compiaceva di abitare nella sua
purissima anima per mezzo della sua grazia.
Ciò capitava quando il nostro Giuseppe si levava dall’orazione e che
da solo a solo aveva trattato con il suo Dio.
I suoi genitori in queste occasioni si sentivano riempire l’anima di
una insolita consolazione e di un amore riverenziale verso il loro figliuolo e
lo guardavano sempre più come un tesoro ed un dono del Cielo.
Non lasciavano però di esercitare sopra di lui l’autorità propria dei
genitori verso la loro prole, e spesso lo provavano perché fosse obbediente ai
loro cenni: egli si mostrava in tutto obbedientissimo.
II nostro Giuseppe era molto incline al digiuno ed alla mortificazione,
ma quando i suoi genitori gliele proibivano, egli si sottometteva alla loro
volontà con rassegnazione, né mai replicava in cosa alcuna. Quando desiderava
di fare digiuni e vigilie, ne domandava ad essi il permesso con tanta sottomissione
che difficilmente gliela potevano negare, tanto era il modo che
aveva per accattivarseli; e quando gli negavano il permesso, lo facevano con
pena, perché avevano difficoltà nel contraddirlo.
Molte volte il padre gli dava del denaro perché desse l’elemosina ai
poveri che gliela domandavano; egli lo pigliava con tanta sommissione e
umiltà, come se l’elemosina l’avessero fatta a lui stesso, e ben presto la dispensava
ai poveri, non ritenendo mai presso di sé cosa alcuna.
Quando vedeva qualche povero venire in sua casa a domandare la
carità, egli andava dalla madre e gliela domandava come se fosse per sé, e lo
faceva con tanta sottomissione al punto che la madre si meravigliava della
virtù di suo figliuolo, e gliela faceva largamente. Era tanto grande il piacere
che il nostro Giuseppe aveva nel dare l’elemosina ai poveri: lo si conosceva
dal suo volto. Se vedeva un povero si affliggeva e subito si rallegrava quando
gli dava l’elemosina.
Già era molto incline alla pratica di tutte le virtù, ma poiché
l’Angelo gliene parlava nel sonno e gliene manifestava il pregio, le amava
molto di più. Altro non voleva il nostro Giuseppe che innamorarsi delle virtù.
Il solo sentire che erano di gradimento al suo Dio, era sufficiente perché
egli si ponesse con tutto l’impegno a praticarle.

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Libro I – (5) Capitolo V – Giuseppe comincia a parlare e camminare; come si comportò durante tutto il tempo della sua infanzia