L’abate Poemen disse: «Vi sono quelli che percuotono l’albero per molto tempo senza poterlo abbattere; altri che danno solamente tre colpi e l’abbattono. Umiltà di spirito, timore del Signore e penthos, ecco quel che bisogna possedere per abbattere l’albero».
[Eth. Coll., 14, 11]
Un anziano disse: «Come ogni peccato che l’uomo commette è fuori dal corpo, il fornicatore pecca contro il proprio corpo perché la macchia viene dal corpo; così ogni buona opera che fa l’uomo è fuori dal corpo, mentre colui che piange purifica e la sua anima e il suo corpo; poiché le lacrime, venendo dall’alto, lavano tutto il corpo e lo santificano».
[N., 540]
Un fratello domandò a sant’Antonio: «Che cosa devo fare per i miei peccati?». «Chi vuol essere liberato dai peccati», rispose, «lo sarà con i lamenti e le lacrime; chi vuol progredire nell’edificazione della virtù progredirà con i pianti e le lacrime. La stessa lode dei Salmi è un gemito. Ricordati dell’esempio d’Ezechia, re di Giuda, come sta scritto nel profeta Isaia: “Piangendo, non solo ritrovò la salvezza ma meritò di vivere quindici anni di più, e grazie al flusso delle proprie lacrime la potenza del Signore abbandonò alla morte l’armata nemica che arrivò forte di centottantacinquemila uomini”. L’Apostolo san Pietro ritrovò piangendo quello che aveva perduto rinnegando il Cristo. Maria, dopo aver bagnato di lacrime i piedi del Signore, meritò di sentir dire che ella aveva scelto la miglior parte. Tale è il santo timore del Signore che dimora nei secoli dei secoli».
[Pa., 38, 1]
Si racconta che l’abate Arsenio durante la sua vita, mentre stava seduto per il suo lavoro manuale, tenesse un lino sul petto per le lacrime che senza sosta scendevano dai suoi occhi.
[Arsenio, 41]
L’arcivescovo Atanasio,77 di santa memoria, aveva chiesto all’abate Pambo di scendere dal deserto ad Alessandria. Come arrivò, l’anziano vide una commediante e si mise a piangere. Alcuni presenti gli domandarono perché. «Due cose mi hanno turbato», rispose: «La prima, che questa donna si sia perduta, la seconda, non aver io lo stesso zelo di piacere a Dio che ella mostra di avere per piacere a uomini depravati».
[Pambo, 4]
Un giorno l’abate Silvano era seduto con i fratelli, quando entrò in estasi e cadde con la faccia contro terra. Molto tempo dopo, si rialzò in lacrime. I fratelli gli domandarono: «Che hai, Padre?». Ma egli piangeva in silenzio. Poiché insistevano, disse loro: «Sono stato portato al luogo del giudizio; ho visto molti di quelli che portavano il nostro abito andare al supplizio e molta gente del mondo entrare nel Regno». Da allora l’anziano si consegnò al penthos e non volle più uscire dalla sua cella. Se lo si forzava, si copriva il viso con il suo cappuccio e diceva: «Che bisogno ha esso di vedere questa effimera luce, che non ci serve a niente».
[Silvano, 2]
Un anziano ha detto: «Colui che, seduto nella sua cella, medita i Salmi, somiglia un uomo che cerchi un re. Ma colui che prega senza intermissione somiglia un uomo che può parlare al re. Quanto a quello che supplica con lacrime, egli tiene i piedi del re e ne invoca pietà, come fece la cortigiana che in pochi attimi lavò con le lacrime tutti i propri peccati».
[N., 572 *]
L’abate Longino aveva una grande compunzione nella preghiera e nella salmodia, e il suo discepolo gli disse un giorno: «Abba, il canone spirituale è che il monaco pianga nel suo Uffizio?». E l’anziano disse: «Sì, figlio mio, è il canone che Dio domanda; poiché Dio non ha fatto l’uomo per i pianti, ma per la gioia e l’allegrezza, affinché lo glorifichi con la sua purezza e la sua impeccabilità, a somiglianza degli angeli. Ma, essendo caduto nel peccato, l’uomo ha avuto bisogno delle lacrime; poiché, dove non vi è peccato, non vi è bisogno di pianti».
[N., 561]
Se non hai compunzione, sappi che hai o la vanagloria o l’attaccamento al piacere; perché è questo che impedisce all’anima d’essere toccata dalla compunzione.
[N., 592/30 (P.E., II, 32, 40)]
Si diceva dell’abate Arsenio che alcuni fratelli di Scete vennero da lui, ma egli non potè riceverli per la grande afflizione e tristezza che aveva; visto ciò, i fratelli, presi da terrore, se ne andarono.
[Arm., I, 521 (9) A]