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Della Perfezione

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Un anziano domandò: «Cos’è la vita del monaco?», ed egli rispose: «Una bocca sincera, un corpo santo, un cuore puro».
[P.E., II, 45, 1]

Disse un anziano: «Quando parli, parla da uomo libero e non da schiavo».
[M., 95]

Uno dei padri interrogò un saggio medico: «Sai tu il rimedio a tutti i mali, o saggio?». Il medico disse: «Lo so perfettamente: ascoltami. Prendi
lo zucchero della penitenza, il fiore della carità fraterna, la foglia dell’amore dei poveri, il frutto dell’umiltà, e riempine il mortaio della misericordia. Macina il tutto in ginocchio, spremilo nel tovagliolo dell’afflizione e bevilo mescolato alle lacrime nel mezzo della notte; ecco il rimedio a tutti i mali. Non soltanto guarisce l’uomo interiore, ma altresì purifica, restaura e purga l’uomo esteriore».
[Arm., I, 432 (46) A]

I fratelli raccontavano che un anziano aveva un discepolo che, quando si sedeva per mangiare, aveva l’abitudine di mettere i piedi sulla tavola. E l’anziano sopportò questa offesa per lunghi anni senza fargli alcun rimprovero. Alla lunga, nondimeno, andò a trovare un altro anziano e gli parlò del fratello; l’anziano gli disse: «Completa la tua carità e mandamelo». Quando il fratello venne dall’anziano, giusto nel momento del pasto, l’anziano si alzò e preparò la tavola. Quando si assisero, l’anziano mise immediatamente i piedi sulla tavola. Il fratello gli disse allora: «Abba, non è bene mettere i piedi sulla tavola». E l’anziano gli rispose: «Perdonami, figlio mio, tu hai detto il vero, poiché è un peccato». Il fratello ritornò dal proprio maestro e gli raccontò l’accaduto. Quando l’anziano l’ebbe saputo, comprese che il suo discepolo si era corretto. Dopo d’allora, il fratello non lo fece più.
[Bu., II, 64]

Un brigante, toccato da compunzione, venne a trovare un grande e mirabile anziano, che era igumeno. Questi ordinò di tenerlo in attesa sette giorni soltanto per vedere se resisteva. E dopo sette giorni l’igumeno gli domandò se gli piaceva abitare da lui. Ma lo voleva di cuore retto. Di nuovo l’interrogò sui suoi peccati. Egli subito si confessò spontaneamente. Lo provò ancora, dicendo: «Voglio mostrarti a tutti i tuoi fratelli». Egli accettò di buon grado. Allora l’abate radunò tutti i fratelli, duecentocinquanta, e, quando ebbe mostrato loro questo condannato innocente, certi fratelli lo tiranneggiavano, altri lo tormentavano con colpi. Ed egli era vestito di sacco, il capo pieno di cenere, così che tutti, alla sua vista, erano colti da timore e gridavano con lacrime. Ma lui, tremante, confessava tutti i suoi peccati, a uno a uno, e per questo stupiva tutti gli ascoltatori; poiché aveva commesso un gran numero di peccati. Allora l’abate raccontò ai fratelli: «Vedevo un personaggio temibile che aveva in mano una lettera scritta e un calamo; e mentre costui diceva così esattamente i propri peccati, cancellava tutto, poiché sta scritto: “Pubblicherò le mie iniquità contro me stesso e tu, tu rimetterai i delitti dei miei peccati, mio Signore, e mio Dio”».
[Arm., I, 562 (85) B]

L’abate Isaia disse: «La carità è assiduità presso Dio in una perpetua tesa di grazie, e Dio riceve la nostra resa di grazie. È questo il segno dell’hesychìa e dell’apàtheia».
[Arm., II, 365 (33) B]

Un fratello disse: «Il discepolo dell’abate Pafnuzio mi ha detto: Ho udito il padre mio, abba Pafnuzio, dire: “Ho visto tre volte Nostro Signore Gesù e mi ha detto tre parole. Osservale e sarai salvo. Povertà, mortificazione, pazienza”».
[Eth. Coll., 13, 58]

Ho saputo che alcuni fratelli avevano visitato il padre mio, l’abate Giuseppe, e che, nel momento in cui stavano per andarsene, l’abate Giuseppe disse loro: «Quando sarete tornati a casa, visitate l’abate Semyas e pregatelo di dirvi parole che vi diano la salvezza». Essi andarono da lui e rimasero presso di lui una notte e un giorno ed egli non disse loro nient’altro che questo: «I miei peccati sono come un muro di tenebre tra me e il Signore». Tornarono dall’abate Giuseppe una seconda volta e gli dissero: «Quando siamo venuti qui poco tempo fa, tu ci hai detto: “Al vostro ritorno visitate l’abate Semyas e pregatelo di dirvi una parola”. Noi siamo andati da lui ma non ci ha detto nient’altro che questo: “I miei peccati sono come un muro tra me e il Signore”». Avendo udito questo, l’abate Giuseppe clamò e pianse dicendo: «Ecco che lui ha trovato la via, ma io non l’ho ancora trovata».
[Eth. Coll., 13, 83]

Un fratello ha riferito che Zaccaria aveva detto all’abate Mosè: «Mostrami l’astinenza che pratichi dalla tua giovinezza, affinché anch’io la osservi». L’abate Mosè aveva risposto: «La mia astinenza, dalla mia giovinezza sino a questo giorno, eccola: Mangio un piccolo pane per giorno. Quando ho digiunato un giorno, ne mangio due. Se digiuno sino a sera, ne mangio uno solo». Zaccaria fece come aveva visto e udito. In seguito Zaccaria fu malato e vicino a morire. L’abate Mosè gli disse: «Non ti è apparso qualcosa?». Egli rispose: «Sì». L’abate Mosè gli disse: «Che cosa vedi?». Zaccaria disse: «È veramente opportuno che parli?». «No», disse l’abate Mosè. E Zaccaria morì.
[Eth. Coll., 14, 35]

Quando l’abate Pafnuzio il Sindonita stava per morire, i fratelli che abitavano con lui gli dissero: «Felice te, padre nostro, ché vai nel Regno». L’abate Pafnuzio disse loro: «Io, di certo, ho fatto della mia vita un motivo di scherno».
[Eth. Coll., 13, 82]

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