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Della Divina Provvidenza

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Un anziano disse: «Se vuoi vivere, o uomo, secondo la legge di Dio, avrai per protettore l’autore stesso di quella legge».
*

La madre Eugenia diceva: «…Colui che preferisce i beni terreni ai beni spirituali, perderà gli uni e gli altri. Colui che desidera i beni spirituali, otterrà anche tutti i beni terreni».
[N., 447 *]

Dula, il discepolo dell’abate Bessarione, disse: «Camminavamo sulla riva del mare. Avevo sete e dissi all’abate Bessarione: “Padre, ho molta sete”. Dopo aver pregato, l’anziano mi disse: “Bevi l’acqua del mare”. L’acqua era diventata dolce, e ne bevvi. Poi ne misi un po’ in una borraccia, nel caso avessi ancora sete. L’anziano mi vide e mi disse: “Perché riempi quella borraccia?”. “Perdonami”, gli risposi, “è nel caso abbia ancora sete”. L’anziano replicò: “Dio è qui e in ogni luogo”».
[Bessarione, 1]

Un fratello, insultato da un altro fratello, se ne andò a trovare l’abate Sisoe di Tebe e gli disse: «Sono stato insultato da questo fratello e voglio vendicarmi». L’anziano lo supplicò: «Non farlo, figlio mio, lascia piuttosto a Dio la cura di vendicarti». Il fratello rispose: «Non avrò riposo, finché non mi sia vendicato». L’anziano disse allora: «Preghiamo fratello», e, alzandosi, soggiunse: «O Dio nostro, non abbiamo più bisogno che vi occupiate di noi, perché ci vendichiamo da soli». A queste parole, il fratello cadde ai piedi dell’anziano e gli disse: «A partire da ora, non disputerò più con quel fratello; ve ne prego, Padre, perdonatemi».
[Sisoe, 1]

L’abate Apfi, vescovo di Ossirinco, quando era monaco conduceva una vita eccessivamente severa. Divenuto vescovo, volle praticare nel mondo la stessa austerità che nel deserto, ma non ne ebbe la forza. Allora si prostrò
dinanzi a Dio: «Signore», disse, «la vostra grazia si è allontanata da me causa l’episcopato?». Ebbe questa rivelazione: «Non è questo, ma allora c’era il deserto, e, in mancanza degli uomini, Dio era il tuo sostegno. Ma ora tu sei nel mondo e di te si occupano gli uomini».
[Apfi 182]

Un monaco aveva un fratello che viveva nel mondo molto poveramente. Gli donava tutto il ricavato del proprio lavoro, ma più gli donava e più il fratello diventava povero. Il monaco andò allora a riferirlo a un anziano, il quale rispose: «Se vuoi ascoltarmi, non dargli più niente, ma digli questo: “Fratello mio, ti ho sostenuto sino a che ho avuto qualche cosa, ma a partire da ora, lavora e aiutami con ciò che guadagnerai”. E tu accetta ciò che tuo fratello ti porterà, donalo a uno straniero o a un anziano che ne abbia bisogno, chiedendogli di pregare per lui». Il monaco fece ciò che gli era stato detto. Quando suo fratello venne a trovarlo gli parlò come era stato convenuto. L’altro se ne andò triste; ma un giorno gli portò alcuni piccoli legumi che aveva fatto crescere nel suo giardino. Il monaco li accettò e li portò agli anziani chiedendo di pregare per suo fratello, poi, dopo aver ricevuto la benedizione, tornò da lui. Un’altra volta, suo fratello gli portò tre pani e ancora dei legumi; li accettò e li donò come la volta precedente, poi si ritirò con la benedizione degli anziani. Suo fratello ritornò una terza volta con molto danaro, vino e pesci. Vedendo questo, il monaco si meravigliò; chiamò i poveri per sfamarli, poi disse al fratello: «Hai bisogno di qualche pane?». «No, Signore, perché quando tu mi facevi un’offerta, una sorta di fuoco entrava nella mia casa e bruciava il tuo regalo. Ma ora che non ricevo più nulla da te, sono nell’abbondanza perché Dio mi ha benedetto». Il fratello andò a raccontare tutta la storia all’anziano, che rispose: «Non sai che il lavoro dei monaci è fuoco, che brucia là dove penetra? È molto più utile a tuo fratello fare l’elemosina con quello che guadagna, poi ottenere che i santi preghino per lui. Grazie alla loro benedizione, il frutto del suo lavoro si moltiplica».
[N., 286]

Un certo monaco non compiva alcun lavoro manuale ma pregava senza intermissione. La sera entrava nella sua cella, vi trovava del pane e mangiava. Un altro monaco venne a lui con delle foglie di palma e gli fece lavorare quelle foglie. Venuta la sera, rientrò come di consueto per mangiare, ma non trovò nulla. Si addormentò afflitto ed ebbe questa rivelazione: «Quando mi donavi tutte le tue ore, io ti nutrivo. Ma poiché ti sei messo a lavorare, procurati il nutrimento con l’opera delle tue mani».
[N., 440 (P.E., IV, 10, 1-2) *]

Se sei malato e chiedi a qualcuno di aver una cosa della quale hai bisogno, e costui non te la dà, non addolorarti contro di lui, ma di’ piuttosto [a te stesso]: «Se tu fossi stato degno di riceverla, Dio avrebbe persuaso il fratello a farti questa carità».
[N, 592/41 (P.E., I, 43, 1)]

Se, trattenuto a un’agape, ti si mette all’ultimo posto, il tuo pensiero non mormori, ma di’ invece: «Neppur di questo ero degno». Poiché, te lo assicuro, nessuna pena colpisce l’uomo che non venga dall’alto, da parte di Dio, per provarlo e purificare i suoi peccati. Colui che non si attiene a questo pensiero non crede che Dio sia un giudice giusto.
[N., 592/56 (P.E., I, 43, 2)]

…Il monaco, che possiede oro, argento o beni materiali, rifiuta di credere che Dio possa nutrirlo, quel Dio che nutre le bestie selvagge e i mostri marini. E se Dio non può darci del pane, non può neppure darci il suo Regno. Quale motivo d’inquietudine abbiamo dunque? Ditemi fratelli, gli angeli nel cielo sono avidi d’oro e d’argento, oppure della gloria di Dio? E noi, dunque, perché mai siamo separati dal mondo? È per ammassare ancora beni e ricchezze o per diventare angeli? Ignorate che sono i monaci a sostituire l’armata decaduta dal cielo? Ciò è ben evidente, poiché tutti dicono angelica la nostra vita.
[P.E., I, 22, 12b]

Un anziano cadde ammalato e non potè nutrirsi per molti giorni. Il suo discepolo gli chiese il permesso di preparargli qualcosa che giovasse a ristabilirlo e gli fece una pappa di farina. Vi era là, appeso al muro, un recipiente che conteneva un poco di miele, e un altro pieno di un olio di lino nauseabondo, che serviva soltanto per la lucerna. Il fratello si sbagliò e, invece del miele, mise olio di lino nella pappa. Assaggiandola, l’anziano non disse nulla e mangiò in silenzio. Il fratello insistè perché ne prendesse ancora e il vecchio si fece violenza per riprenderne. Per la terza volta il discepolo gliene servì, ma l’anziano rifiutò: «Figlio mio, non ne posso proprio più». Il discepolo continuava a incoraggiarlo: «Abba, è buona», diceva, «ne mangerò anch’io con te». Assaggiandola a sua volta, comprese quel che aveva fatto e cadde faccia a terra. «Povero me, Abba, ti ho rovinato, e tu m’hai gravato di questa colpa non dicendomi nulla». «Non affliggerti, figlio mio», rispose l’anziano, «se Dio avesse voluto che io mangiassi del miele, tu avresti messo del miele in questa pappa».
[N., 151 *]

Qualcuno offerse del danaro a un anziano dicendogli: «Sei vecchio e malato». Era, infatti, lebbroso. Ma egli rispose: «Sei tu che vieni, dopo sessant’anni, a togliermi Colui che mi provvede? Da tanto che sono in questo stato, non mancai mai di nulla». E non volle nulla accettare.
[N., 260 *]

Un fratello domandò a un anziano: «Mi permetti di conservare due pezzi d’oro per curare le mie infermità?». Il vegliardo s’avvide che il suo desiderio era quello di tenerli; perciò gli rispose: «Sì». Rientrato nella sua cella, il fratello fu preso dall’inquietudine e si domandò: “L’anziano era sincero, o no?”. Tornò a trovare il vegliardo; gli fece una metanìa e gli domandò con insistenza: «Nel nome del Signore, dimmi la verità, poiché io sono turbato dai miei pensieri causa questi due pezzi d’oro». L’anziano gli rispose: «Ti ho detto di tenerli perché ho visto che quello era il tuo desiderio; tuttavia non è bene conservare più del necessario per il proprio corpo. Se tu conserverai questi due pezzi d’oro, affiderai ad essi le tue speranze. E se viene il giorno in cui li perdi, Dio non si occuperà più di te. Gettiamo dunque i nostri dolori nel Signore, è lui che si prende cura di noi».
[N., 262]

Un anziano delle Celle cadde ammalato; viveva in anacoresi e siccome non vi era nessuno per servirlo, si alzava per mangiare quello che vi era nella sua cella. Fece questo per un certo tempo e nessuno venne a visitarlo. Dopo trenta giorni, poiché nessuno veniva, Dio inviò un angelo a servirlo. Fu così durante sette giorni, poi i padri si ricordarono dell’anziano: «Andiamo a vedere», si dissero, «se l’anziano non sia malato». Arrivando bussarono, e l’angelo se ne andò. Allora l’anziano si mise a gridare dall’interno: «Fratelli, andate via da qui». Gli altri spinsero la porta, entrarono e domandarono all’anziano perché gridasse. Il vegliardo rispose loro: «Da trenta giorni sono tormentato da questa infermità e nessuno mi ha fatto visita. Ed ecco, da una settimana il Signore mi ha inviato un angelo per curarmi, e l’angelo è partito al vostro arrivo». Con queste parole s’addormentò nella pace. Pieni d’ammirazione, essi glorificarono Dio, dicendo: «Il Signore non abbandona coloro che sperano in lui».
[N., 212]

Disse l’abate Giovanni: «Nulla di quello che accade con turbamento è bene, ma sempre proviene dal demonio. Se dunque sei turbato, non dir nulla al tuo prossimo o getterai anche l’altro in maggior turbamento, poiché non si elimina il male col male… Solo quando potrai parlargli secondo Dio, Dio stesso potrà placarlo come meglio gli piace».
[P.G. *]

…Mentre l’anziano [Barsanufio] parlava, io [abba Serido] pensavo: “Come potrò ritenere per scriverlo tutto ciò che egli mi dice? Se vi consentisse, potrei prendere carta e inchiostro e scrivere, udendolo, parola per parola”. Ma egli conobbe il mio pensiero, il suo volto si accese come fuoco e mi disse: «Va’, senza paura. Quand’anche io ti dettassi migliaia di parole, lo spirito di Dio non permetterà che tu tracci una sola lettera in più o in meno, sia pure involontariamente, ma guiderà la tua mano affinché tu le scriva nel giusto ordine».
[P.G. *]

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