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«Che devo fare», domandò un fratello a un anziano

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«Che devo fare», domandò un fratello a un anziano, «poiché i pensieri mi impediscono di restare anche un’ora solo dentro la mia cella?». L’anziano rispose: «Torna alla cella, figlio mio, restaci, lavora con le tue mani, prega Dio senza intermissione, getta in lui le tue cure e che nessuno t’induca ad uscirne». Aggiunse questo racconto: «Un giovane che aveva ancora il padre, desiderava farsi monaco. Ardentemente supplicò il padre di lasciarlo entrare in monastero, ma quello non voleva. Più tardi, persuaso da amici fedeli, finì con l’acconsentirvi a malincuore. L’adolescente partì ed entrò in monastero: divenne monaco, compiendo alla perfezione tutto il lavoro del cenobio e digiunando ogni giorno. Giungeva persino a non prender nulla durante due giorni o a mangiare una volta la settimana. Il suo abate, al vederlo, si meravigliava, benedicendo Iddio per quei digiuni e quell’ascesi. Poco tempo dopo il giovane si mise a supplicare il suo abate: “Abba, ti prego; lasciami andare nel deserto”. “Figlio mio”, gli rispose, “non pensarci neppure, una prova simile non la puoi reggere, senza contare le tentazioni e le astuzie del demonio. Alla prima tentazione, non troverai laggiù nessuno che ti conforti del turbamento in cui ti getterà il nemico”.

Ma il fratello insistette per ottenere il permesso. L’abate, vedendo che non lo poteva trattenere, si mise in preghiera, poi lo lasciò andare. Disse il fratello: “Abba, consenti che mi sia mostrata la via”. L’abate gli assegnò due monaci e se ne andarono insieme. Camminarono un giorno, poi un altro. Stremati dal caldo, si stesero a terra. Mentre prendevano un poco di sonno, un’aquila li sfiorò con le sue ali, poi, precedendoli, si posò più lontano. I monaci si svegliarono, videro l’aquila e dissero al fratello: “È il tuo angelo, levati e seguilo”. Il fratello disse loro addio e raggiunse il luogo ove si trovava l’aquila, che riprese subito il volo per posarsi a uno stadio di distanza. Il fratello la seguì. L’aquila volò via di nuovo, si posò a uno stadio di là e così via, per tre ore. Il fratello seguì l’aquila fin quando questa curvò a destra e disparve. Il fratello seguitò il cammino e scorse tre palmizi, una polla e una grotticella. “Ecco”, gridò, “il luogo che mi ha preparato il Signore”. Entrò e vi prese dimora; mangiava i datteri e beveva l’acqua della sorgente. Vi rimase sei anni solitario, senza veder nessuno. Ma un giorno gli si presentò il demonio, sotto le spoglie di un vecchio monaco di terribile aspetto. Quella vista impaurì il fratello: si prostrò in orazione.

Quando si rialzò, il demonio gli disse: “Preghiamo ancora, fratello”. Come l’ebbero fatto, riprese: “Da quanto tempo sei qui?”. “Da sei anni”. “Ah, ed io sono il tuo vicino e sino a quattro giorni fa non sapevo che tu abitassi qui. La mia cella non è lontana. Non ne uscivo da undici anni, poi seppi che tu eri il mio vicino. Pensai: Andiamo a vedere quell’uomo di Dio e parliamo insieme della salvezza dell’anima. Fratello, restare in cella non ci è profittevole perché non riceviamo il Corpo e il Sangue di Cristo e io temo che saremo rigettati da lui se ci teniamo lontani da questi Misteri; ma io so, fratello, che esiste a tre miglia da qui un monastero dove si trova un sacerdote. Andiamoci ogni domenica, o se vuoi ogni due settimane, a ricevervi il Corpo e il Sangue di Cristo, poi torneremo alle nostre celle”. Questa astuzia del demonio fu bene accolta dal fratello. La domenica, dunque, il demonio si presentò e disse: “Andiamo, è l’ora”. Andarono al monastero e là si trovava il sacerdote.

Entrati in chiesa si misero in preghiera; ma allorquando il fratello si rialzò, non vide più colui che l’aveva condotto. “Guarda”, si disse, “di dove è passato? Forse è uscito per un bisogno”. Attese a lungo, ma nessuno venne. Uscito a cercarlo e non trovandolo, chiese ai fratelli del monastero: “Dov’è l’abate col quale ero entrato in chiesa?”. Ma quelli risposero: “Non abbiamo visto nessuno all’infuori di te”. Allota il fratello comprese che era stato il demonio. “Vedi dunque”, disse, “di quale astuzia si è servito per gettarmi fuori dalla mia cella! Ma poco importa, poiché sono venuto per un buon motivo: riceverò il Corpo e il Sangue di Cristo e tornerò alla mia cella”. Compiute le cerimonie in chiesa, il fratello volle far ritorno alla sua cella: ma l’abate del monastero lo trattenne: “Non ti lasceremo andare se prima non mangi con noi”. Egli non tornò dunque alla sua cella se non dopo aver mangiato. E di nuovo il demonio si presentò, sotto le spoglie di un giovane secolare che prese a squadrarlo da capo a piedi, dicendo: “Ma è proprio lui? No, è un altro”. Siccome continuava a guardarlo, il fratello gli domandò: “Perché mi guardi così?”. “Vedo che non mi riconosci”, rispose l’altro, “d’altronde, dopo tanto tempo potresti forse riconoscermi? Sono il figlio del vicino di tuo padre. Non è forse il tale, tuo padre? Tua madre non si chiama forse così, e tua sorella, e tu stesso e i vostri schiavi non sono il tale e il tal altro? Ma da tre anni ormai tua madre e tua sorella sono morte. Tuo padre è morto a sua volta, or sono pochi giorni, e ti ha lasciato suo erede; ha detto: Non dovrei forse lasciare i miei beni a mio figlio, il sant’uomo che ha abbandonato il mondo per seguire Iddio?

Gli lascio tutto il mio; colui che teme il Signore e sa dove sia mio figlio, gli dica di tornare per distribuire il mio avere ai poveri, per la salute della mia anima e della sua. Molti sono partiti in cerca di te senza trovarti. Venendo qui per un affare, io t’ho riconosciuto. Orbene, non tardar più, vieni a vendere tutto, secondo il volere di tuo padre”. Il fratello rispose: “Non è necessario che io ritorni nel mondo”. “Ma se non torni”, riprese il diavolo, “tanta fortuna andrà dispersa e ne dovrai render conto. Che c’è di male a tornare, da buon amministratore, per donare quel danaro ai poveri e agli infelici? Così che non sia dilapidato tra cortigiane e gaudenti. Chi t’impedisce di venire a fare l’elemosina secondo il volere di tuo padre, per la salvezza della sua anima e della tua? Tornerai poi alla tua cella. Perché indugiare?”. Il demonio finì col persuadere il fratello e lo rimandò nel mondo. Lo accompagnò sino in città, poi lo lasciò. Il fratello volle entrare nella casa di suo padre che credeva morto: ora, il padre ne usciva, vivo e vegeto, in quell’attimo; ma non lo riconobbe. Gli chiese: “Chi sei?”. Turbato, suo figlio non seppe replicare, ma poiché il padre insisteva per sapere donde venisse, rispose confuso: “Sono tuo figlio”. “Perché sei tornato?”. Vergognandosi di dire la verità, rispose: “Sono tornato per amore di te: desideravo rivederti”. E rimase con lui. Poco tempo dopo cadde nella fornicazione. Duramente punito da suo padre, l’infelice non si pentì e rimase nel mondo. Fratelli, io vi dico:

Il monaco non ha da uscir mai dalla sua cella a istigazione di un altro, per qualsivoglia ragione».
[N., 193 *]

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